domenica 31 gennaio 2016

Per il ciclo recensioni librose: "Le strade delle montagne" di Mary Austin

Ri-buonday e felice domenica a todos *_*
Mentre io mi gusto il pranzetto che io e i miei genitori abbiamo preparato per il mio compleanno - e anche una robusta dose di antiacidi *burp* - il mio pensiero va a voi e quanto mi piacerebbe festeggiare tutto ciò con un altro GIVEAWAY.
Ebbene sì. Giveaway. Libri. Felicità.
Non lo indico oggi, no. Almeno, non credo. Non si sa mai. Ma stavo pensando di farlo e, soprattutto, stavo valutando quali libri mettere in palio. In genere preferisco optare per titoli che già conosco e che mi sento di consigliare, ma per citare Paper Moon, "siccome sono generosa, non milionaria", dovrò valutare cosa scegliere. Mumble. Dubbio. Perplessità.

A parte questo, vi volevo parlare di un libricino piccino picciò che ho finito di leggere da poco: trattasi di "Le strade delle montagne" di Mary Austin, edito per la prima volta nel 1903, di cui abbiamo chiacchierato insieme nei miei ultimi post sul blog. Voi direte: beh, piccino picciò davvero, avrà sì e no 60 pagine! Vero, vero. Devo ammettere che ultimamente sto concentrando le mie energie su letture non troppo pesanti o impegnative, non so nemmeno io perché. Ansia? Periodo sfavato per la lettura? Chissà.
In mia difesa posso dire che questo libro l'ho letto contemporaneamente al primo volume della trilogia dedicata a "Wayward Pines", che sto ancora leggendo, perciò posso ritenermi parzialmente scagionata.

Trattasi di un breve trattato - anzi, lo definirei più un mini saggio descrittivo - firmato dalla penna di una autrice che, nata nel 1868, conosceva più di chiunque altro il deserto californiano. Vi viene in mente Thoreau? Bravi, bravi. Anche a me veniva in mente, e non solo lui: anime solitarie e camminatrici come Borroughs e Muir, ma anche i più recenti McCandless e Krakauer, per non parlare di Jack London... tutti scrittori che hanno parlato dei sentieri e della natura selvaggia, alcuni vivendola intensamente; altri, morendoci. Quello della Austin, però, è un punto di vista diverso da quello degli altri autori sopra citati: per questi, chi più chi meno, camminare acquisiva le connotazioni della fuga, della repulsione per le norme sociali, il denaro, le carriere politiche e lavorative, oppure di riscoperta dei veri valori intrinsechi alla natura umana, strettamente connessi alla natura selvaggia e alla sua riscoperta attraverso il libero vagabondaggio, il passeggiare per il gusto stesso di sentire il sangue scorrere, lo scricchiolio della ghiaia sotto le suole, il peso dello zaino sulle spalle, il bruciante falò notturno su cui cuocere un pezzo di carne procacciata con le proprie mani.


La Austin, invece, guarda con occhio squisitamente femminile il panorama del deserto californiano: non a caso, i tre racconti presenti in questa breve raccolta parlano uno dei corsi d'acqua, dei ghiacciai, dei laghi delle montagne; un altro dei sentieri di montagna, aspri e rocciosi, e della fauna e flora che li popolano; il terzo, della furia degli elementi nel deserto come in collina, delle persone che abitano questi luoghi e di come essi affrontano le tempeste, siano essi di fulmini o di sabbia.
Bellino, devo dire. Per i miei gusti forse è un po' troppo descrittivo, femminile e ottocentesco, ma in fondo era l'intento dell'autrice quello di offrire ai lettori lo sguardo di una donna sulla natura e sulle meraviglie che essa può offrire. Personalmente apprezzo di più uno stile secco, non necessariamente asciutto ma dove i singoli elementi di rilievo appaiono come pennellate gialle su uno sfondo nero: impossibili da negare. C'è differenza fra dire, per fare un esempio del piffero: "La collina era ricoperta di arbusti verdi e ogni filo d'erba era luminoso nella luce del sole; il sole stesso era caldo, luccicante, e le ghiandaie trillavano sugli alberi, i pettirossi cinguettavano, le talpe scavavano le loro tane sotto le margherite, i nasturzi, le piante di soia tenere e verde chiaro, con le foglie più scure sulle punte. Alberi grandi e altissimi spandevano la loro ombra sull'erba, coprendo alla vista a tratti un cielo di un bellissimo azzurro, con l'aria tiepida e solenne e piena del ronzio delle api. Tra l'erba scorrevano ruscelli limpidi e chiari e il sole faceva luccicare le goccioline d'acqua che..." e dire: "Su per la collina l'erba ondeggiava come i capelli di una donna pettinati dal vento. Piccoli fermagli di luce scintillavano dove il sole colpiva una pozzanghera ornata di fiori. Luce, verde e azzurro, a perdita d'occhio. in alto, un sole tiepido scaldava l'aria colma del ronzio delle api, intente a solleticare le margherite con i piedini gialli di polline."

Per dire. Sono le prime frasi del cappero che mi sono saltate alle dita, inventate lì per lì, e forse non rendono troppo l'idea perché entrambe sono descrittive, ma io preferisco la seconda, ecco. Più stringata, più ricordabile, poche immagini evocative, stop.
Però so che molti preferiscono immergersi e lasciarsi avvolgere da lunghe descrizioni di ambienti esterni: per voi, questo libricino è l'ideale. Cinquanta pagine di descrizioni e poco altro.
Lo so, a leggermi sembra che non mi sia piaciuto, ma non è male, davvero XD son gusti, ecco.
Molto bello, invece, il saggio introduttivo: scritto da Lucia Cardone, che non conoscevo, mette in relazione le descrizioni della Austin con il filone della narrativa ricca di descrizioni di esterni dell'epoca. Da Jane Austen e Emily Dickinson alla più recente Virginia Woolf, questo breve saggio sottolinea i tratti caratteristici della letteratura fatta da donne che riscoprivano il loro spazio interiore, quella "stanza tutta per sé", di aria e erba invece che di pareti, che la Woolf descrisse così bene nel suo omonimo saggio. Grazie alla Cardone ho scoperto che è stata proprio Jane Austen a inventare la "passeggiata letteraria", in cui le donne protagoniste dei suoi romanzi potevano sfogare i loro pensieri, interrogarsi, esprimere i loro tormenti interiori e, allontanandosi dal focolare, proporre in senso più ampio a tutte le donne dell'epoca un'idea rivoluzionaria di libertà della donna.
Lo posso dire?
Questo saggio è stata la parte più bella del libro, per i miei gusti.
Complessivamente, mi sento di dare comunque una valutazione positiva a questi racconti e sicuramente li consiglio a lettrici e lettori appassionati del genere :)

2 commenti:

  1. Mi hai fatto ricordare di un libro, citato sul sul blog di una stilista: Il giardino di Elizabeth, di Elizabeth von Arnim. Anche qui una scrittrice, con una scrittura semplice e apparentemente disimpegnata, parla del desiderio di fuga dalla città e della fortuna di vivere in mezzo alla natura, facendo accenni di tanto in tanto a problematiche di coppia e contrasti sociali. Non un gran libro mi sembra, eppure s'è preso un posticino.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao, benvenuto sul blog :-)
      Sai che non conoscevo questo libro? Ora vado a sbirciare su Amazon, magari esiste anche in ebook, così potrei scaricarne gratuitamente le prime pagine e darci un'occhiata.
      Devo dire che già per conto mio non amo molto la letteratura femminile, ma ci sono le dovute eccezioni. Harry Potter, ad esempio. Cime tempestose. Il racconto dell'ancella. La Pitzorno e la Solinas Donghi. Emily Dickinson. E direi poco altro.
      In ogni caso, ho ordinato alla mia libreria di fiducia Camminare di Thoreau: non vedo l'ora di ritirarlo, dall'estratto su Amazon sembrava parecchio interessante :D

      Elimina

Tu.
Sì, proprio tu.
Ti trovi in un luogo fra lo spazio e il tempo, dove l'educazione e il rispetto sono la regola internazionale. Se ciò che stai scrivendo è offensivo, sei pregata/o di contare fino a dieci e ricordarti che nell'eternità siderale la stupidità non ha luogo.