lunedì 9 settembre 2013

Osama Game



Avete presente quella sitcom anni '80 intitolata "Super Vicki"? Quella in cui una ragazzina robotica sui dieci anni leggeva i libri sfogliando le pagine alla velocità della luce?
Ecco, io mi sono sentita un po' come lei leggendo "Osama Game" (letteralmente, King Game, ossia Il gioco del Re). Non perché fosse particolarmente bello, però. Nemmeno lo stile di scrittura è la causa di tanta avidità, perché è pieno - ma pieno zeppo - di tanti di quegli errori e di quelle lacune per cui l'80% degli editori e degli agenti letterari porterebbe il manoscritto alle cene di lavoro per scompisciarsi coi colleghi.
L'effetto incatenante è dato da due fattori principali: la bassezza dell'animo umano, la stessa che porta la gente ad assieparsi intorno a un incidente stradale per poi correre a casa e condire il racconto con dettagli via via sempre più scabrosi; e la curiosità. Ma andiamo con ordine.
Il meccanismo ricorda moltissimo i ben più celebri (e migliori, sotto ogni punto di vista, almeno per me) Battle Royale e il più recente Hunger Games, che a sua volta è praticamente identico a Battle Royale di Takami (pur essendo quest'ultimo di livello superiore, almeno per il mio personale parere): trentuno studenti devono uccidersi fra loro fino a decretare il vincitore, l'unico sopravvissuto.
L'aspetto positivo è che seppur il meccanismo sia noto, la trama è ben diversa: il Gioco del Re non è altro che l'oggetto di una mail che tutti i trentuno studenti ricevono puntualmente ogni sera a mezzanotte. Il contenuto è chiaro e brutale: di volta in volta, uno o più degli studenti dovranno compiere una determinata azione nei confronti o ai danni di un altro/altri studente/i. A nessuno è consentito rifiutarsi di giocare né disobbedire. Gli ordini del Re sono assoluti. All'inizio gli ordini sono fattibili, ma poi...
Beh, avete capito il meccanismo, no? La mente umana vuole sapere, brama l'oscurità, e continua a leggere. Sono pochi quelli che davvero non hanno interesse per questo genere di cose, ancor meno quelli che non sono almeno curiosi di vedere fin dove si spingerà la morbosa crudeltà del Re. Perciò continuerete a leggere, questo è certo. Al di là del pessimo stile di scrittura, dei modi di dire inseriti a casaccio quasi in ogni frase; al di là delle parolacce frequentissime, della psicologia quasi inesistente, della banalità di molti dialoghi, delle descrizioni a dir poco banali... continuerete a leggere. E a giocare.
In definitiva, il libro non mi è dispiaciuto. Cioè, detesto tutto di com'è stato scritto, ma l'idea è buona e il modo in cui è stata messa a punto a tratti è interessante. Un paio di personaggi sono buoni, soprattutto Ria, ma non vi dirò perché. E' anche possibile che voi la vediate diversamente da me. In quanto scrittrice, ammetto di essere molto pignola nei riguardi di ciò che leggo. Mi farebbe piacere che chi ha letto il romanzo, il fumetto o magari ha visto il film - è gradito il link al sub ITA, grazie! :D - mi facesse sapere se gli/le sono piaciuti.
Una curiosità? Il nome del protagonista è anche quello dello scrittore.
Un'altra curiosità? In Giappone sono già usciti i primi numeri del sequel sotto forma di fumetto... suppongo che nel giro di un annetto, o al massimo due, avremo anche il seguito del romanzo! Stay tuned!

P.S.: Scusate se non ho scritto per tanto tempo, ma purtroppo sto attraversando diversi problemi di salute e inoltre mi sto dedicando alla revisione delle ultime pagine del mio primo romanzo. Farò del mio meglio per essere sempre più presente! ;)

martedì 9 luglio 2013

La ricerca della felicità


Un padre e il suo bambino: esiste un legame più potente?
La risposta ce la danno Will Smith e Jaden Smith, padre e figlio nella realtà così come nella finzione della celluloide, che nel 2006 ci hanno regalato questa perla da collezione sotto la regia del celeberrimo Gabriele Muccino.
Al centro della narrazione fluttua la Dichiarazione d'indipendenza americana, che dà anche il titolo al film: "Noi riteniamo che [...] tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità."
Tratto fedelmente da una storia vera, "La ricerca della felicità" racconta la vita di Chris Gardner, uomo dei primi anni '80 che tenta di realizzare il cosiddetto sogno americano acquistando come libero professionista centinaia di macchinari rivoluzionari in ambito medico.
Purtroppo, presto Chris deve confrontarsi con una realtà crudele: il macchinario è davvero rivoluzionario, ma anche tremendamente costoso e sono ben pochi gli studi medici e gli ospedali disposti ad acquistarlo.
Avendo speso tutti i risparmi di una vita per gli apparecchi, lui e la moglie si ritrovano a dover fare i doppi turni, cercando disperatamente di guadagnare il necessario per mandare a scuola il figlioletto di cinque anni (in un asilo abusivo cinese) e tirare avanti fra litigi sempre più frustranti.
Il rapporto fra i genitori arriva a un punto critico quando Linda decide di andarsene e urla a Chris che lei non è più felice. A nulla serve rivelarle che Chris ha appena consegnato il proprio curriculum alla Dean Witter, un'imponente azienda di consulenza finanziaria, in quanto come stagista non guadagnerebbe nulla fino all'assunzione. Che è difficilissima da ottenere: solo venti candidati vengono scelti per il colloquio, e di questi soltanto uno, dopo aver sostenuto non solo i mesi da stagista (con l'obiettivo di vendere quante più azioni possibile) ma anche un durissimo esame scritto, viene selezionato per l'assunzione.
Contro ogni pronostico, grazie a un incredibile colpo di fortuna che gli permette di sfoggiare la sua intelligenza nella risoluzione del Cubo di Rubik, il gioco-tormentone dell'anno, Chris riesce a passare la prima scrematura e viene chiamato per il colloquio alla Dean Witter.
Nel frattempo i debiti si accumulano (non avendo pagato le tasse per troppo tempo, lo Stato gli preleva la somma direttamente dal conto, lasciandolo con poco più di venti dollari; il padrone di casa lo sfratta; a stento riesce a comprare qualcosa da mangiare), fino a quando, in un climax commovente di disgrazie, lui e il piccolo Christopher si ritrovano a vagare per le strade della città, alla disperata ricerca di un giaciglio, di cibo, di soldi.
A Chris resta ancora un solo macchinario da vendere, ma quando si ritrova a proporlo a un dottore interessato all'acquisto si rende conto che è guasto. L'unica speranza per Chris è riuscire ad aggiustarlo, ma non può acquistare gli strumenti per farlo. Nel frattempo lavora fino allo stremo come stagista, per poi correre ogni sera dall'altra parte della città per mettersi in coda davanti a un ricovero per mendicanti con il suo bambino.
"Non può piovere per sempre" diceva il Corvo, ma i mesi passano e sembra che per Chris le nubi non si debbano mai aprire. E' qui che scopriamo a cosa può arrivare un uomo disperato ma con una dignità aurea, cosa si può arrivare a vendere pur di dare da mangiare al proprio bambino.
Poi, un giorno...

Beh, vi ho detto fin troppo.
In realtà non pensavo che avrei scritto tanto, ma questa è una di quelle storie impossibili da dimenticare, corredate da una colonna sonora che è essa stessa una fiaba.
Una chicca: due anni dopo, Muccino e Smith lavorano nuovamente insieme sul set di "Sette anime", una delle storie più drammatiche e tragiche che siano mai state portate sul grande schermo. Parla di...
No, non mi fregate. Non vi dirò di cosa parla "Sette anime", non in questo post.
"Questa è un'altra storia" direbbe Michael Ende... e così vi dico io.

lunedì 8 luglio 2013

Robin Cook: "Coma"


Due parole prima di parlarvi di questo romanzo mozzafiato: oggi ricorre il 66° anniversario dell'incidente di Roswell (sì, quello di American Dad per i più giovani; sì, quello che nel '47 mise in fibrillazione l'intero globo sulla possibilità che un UFO si fosse schiantato nel New Mexico per tutti gli altri), pertanto la mia prima idea era quella di recensire qualcosa del tipo "L'uomo che cadde sulla Terra" di W. Tevis o "Contact" del maestro C. Sagan, ma poi ho deciso di fare in modo che in una giornata popolata da racconti alieni il mio blog di astrolettrice si distinguesse dagli altri, proprio come un alieno in mezzo ai terrestri.
Perciò: stasera vi parlo di "Coma", 1977, da cui l'anno successivo è stato tratto il film "Coma profondo", regia di un altro maestro: Michael Chricton.
"Coma" appartiene a quel genere definito come medical thriller, di cui Robin Cook è il padre fondatore.
Parte con un prologo magistrale in cui una ragazza, Nancy Greenly, sta per subire una semplice operazione chirurgica. O almeno, dovrebbe essere semplice: infatti, una volta iniziata l'anestesia i macchinari registrano reazioni anomale nel corpo della ragazza. L'anestesista è perplesso, ma cerca di stabilizzare le irregolarità. Senza riuscirci: Nancy cade in coma irreversibile.
La telecamera si sposta su Susan Wheeler, un'apprendista dottoressa che insieme ai compagni di facoltà deve affrontare un periodo di tirocinio al Boston Memorial Hospital.
Bellissima ma disinteressata alla propria avvenenza, Susan si addentra in questo piccolo mondo di uomini in camice bianco da femmina (e quindi discriminata) e studentessa modello. Ben presto si accorge che la mera conoscenza teorica le è inutile, ma la sua inesperienza ha anche un risvolto positivo: quasi immediatamente si accorge che qualcosa non va nell'ospedale e i suoi sospetti si concentrano sul numero di casi di coma post-operatorio, stranamente alto in confronto alla media nazionale.
Inizia così la sua battaglia per la verità, che la porterà dapprima a scontrarsi con il medico responsabile del suo tirocinio, Mark Bellows, segretamente (e in maniera spiccatamente misogina) attratto da lei, via via con figure sempre più importanti all'interno del Memorial, che la umilieranno e cercheranno in tutti i modi di farla desistere. Ma Susan non si arrende: più le mettono i bastoni fra le ruote, più è certa di aver fiutato qualcosa di grosso.
Ma quando un sicario viene assoldato per distruggerla, Susan è costretta a decidere se preferisce vivere o tentare il tutto e per tutto per smascherare un complotto molto più grande di lei...
"Coma" di Robin Cook è uno di quei romanzi che non si possono mai smettere di leggere: in bagno, a pranzo, al lavoro, ovunque vi troverete continuerà a saltarvi in mente costringendovi a escogitare un modo per chiudervi da qualche parte a divorarlo febbrilmente.
Alta tensione? Sì.
Colpi di scena? Diamine, a bizzeffe.
Il mio consiglio è di correre in libreria - ne leggerete delle belle!

domenica 7 luglio 2013

Giacomo Gardumi: "La notte eterna del coniglio"




C'è chi la attribuisce a Stephen King, ma la storia horror più breve del mondo (mi dispiace, zio Steve, stavolta non posso difenderti) l'ha in realtà scritta Fredric William Brown (1906 - 1972), scrittore statunitense noto soprattutto per le sue incredibili capacità di sintesi e umoristiche.
Altro che sintesi!
Sentite un po':

"L'ultimo uomo sulla Terra siede in una stanza. Bussano alla porta."

Brr. Decisamente brr.
Lo so, uno si aspetterebbe di leggere commenti magniloquenti e pieni di criptici riferimenti bibliografici ai più disparati testi di fantascienza dell'ultimo secolo, ma in questo caso brr è più che sufficiente (sintesi, ragazzi, sintesi!).
Su questa frase (che in realtà è l'incipit di un racconto più lungo di Brown, "Knock") si basa "La notte eterna del coniglio" di Giacomo Gardumi, uno di quei libri che non penso dimenticherò mai. Specie di notte.
Ma andiamo con ordine.
Il genere è uno dei miei preferiti: disastro post-apocalittico, un mondo morto e spettrale per colpa di un dito sbagliato sull'interruttore sbagliato al momento sbagliato. KABOOM. 
Quattro piccoli gruppi familiari sopravvivono all'ecatombe atomica grazie all'ossessione del padre della protagonista: possedere dei bunker antiatomici dove potersi rifugiare in caso di guerra nucleare. Collegati fra loro tramite webcam, i quattro gruppi cercano di affrontare problemi come la mancanza di scorte di cibo e acqua sufficienti per sopravvivere ai lunghi mesi (o forse anni?) dell'inverno nucleare, i crolli psicologici, il terrore di essere rimasti i soli esseri umani sulla Terra. Per non parlare delle webcam: preoccupato per i costi dell'operazione, il padre della protagonista non ha pagato per le videochiamate simultanee. In pratica, se due dei bunker sono collegati, gli altri sono isolati dai primi due. 
Passa qualche giorno e le persone in uno dei bunker cominciano a sentire uno strano rumore alla porta, come un
(toc toc)
bussare lezioso di nocche. Terrorizzati, si consultano con gli altri familiari, ma nessuno riesce a capire di cosa si tratti. Nemmeno la telecamera esterna rivela la presenza di qualcosa - o qualcuno - che possa generare quel rumore.
Le ore passano e la paranoia sale alle stelle, fino a quando succede l'impossibile: l'essere riesce a entrare. L'ultima trasmissione via webcam da questo bunker mostra una scena raccapricciante in cui entrambi gli occupanti sembrano essere stati massacrati da una creatura con indosso un perverso costume da coniglio rosa.
Da questo momento, uno dopo l'altro tutti i bunker cominciano a sentire il medesimo, educato bussare, dopodiché le comunicazioni vengono bruscamente interrotte e, quando riprendono, si vede il medesimo coniglio rosa che fa a pezzi gli occupanti del rifugio.
In preda alla paranoia più totale (come fa a entrare? E' un alieno? Come fa a sopravvivere all'esterno? Come fa a trovarci? Passa attraverso i muri? Ci fiuta? Legge nella mente?), i sopravvissuti cercano di proteggersi alternandosi in turni di veglia e sonno sempre più frenetici e deliranti, fino a quando rimane un solo bunker a separare il coniglio assassino dagli ultimi uomini sulla Terra...
"La notte eterna del coniglio" è un romanzo lucido, crudo, che deve alla suggestione del lettore e a una prosa avvincente l'effetto disturbante che vi terrà svegli per ore e ore, l'orecchio teso nell'oscurità per cogliere
(toc toc)
un rumorino, un cigolio... o due nocche leggere che bussano alla porta.
Suggerirvi di leggere questo libro? Senz'altro. E' il mio compito.
Così come avvisarvi di ciò a cui andate incontro...


Alice Bassi

Marina Morpurgo: "La scrittrice criminale"




Lo scrittore non crea i personaggi.
Li facilita, per usare un termine caro a Michael Doyle: un attimo prima esistono solo sotto forma di potenziale inespresso e un attimo dopo - zac - lo scrittore li ha inchiodati sulla carta come falene. Sorride, il sadico. Crede che d'ora in avanti potrà farne quello che vuole.
Purtroppo non è così. E' facile cadere nell'illusione del controllo, ma poi guardi la libreria - proprio come la protagonista di questo spregiudicato romanzo breve - e ti senti un verme pensando a personaggi come Roland Deschain, Thomas Jerome Newton - tutte personcine molto poco raccomandabili che Scrittori (con la S maiuscola) come Stephen King e Walter Tevis non si sono proprio sentiti di far fuori. Si capisce il motivo per cui lo zio Steve si è dovuto consolare (ATTENZIONE, SPOILER!) sterminando tutti gli altri personaggi.
Anche la protagonista di Marina Morpurgo (che poi è lei stessa) è fatta della stessa pasta. Fin dalle prime pagine si afferma con prepotenza, sfornando un'arguzia dopo l'altra in un crescendo di plaisanteries pungenti e sottolineature sardoniche.
Marina - dapprima Scrittrice Potenziale, ma molti sono i suoi pseudonimi man mano che il plot procede - è esattamente ciò che appare: una donna di mezz'età, sola, che cerca di sbarcare il lunario scrivendo racconti. Cioè, per ora ha scritto solo uno striminzito libricino di racconti brevi, ma lei ha la stoffa della Grande Romanziera, sicuro, nessuno come lei è destinata alla grandezza. Glielo ricordano i parenti (che non hanno fiducia in lei), l'editore (che forse ne ha anche troppa) e fondamentalmente chiunque incontri per strada.
Si getta perciò a capofitto nella libreria di casa, dove spera di trovare l'ispirazione per una Storia con la S maiuscola. Qualcosa che sia un po' Stephen King, un po' Robert Musil e perché no, anche un po' Sophie Kinsella.
Per mesi non riesce a spremere sul foglio bianco neanche una parola, fino a quando viene folgorata da un'illuminazione: non prenderà spunto da uno di quei libroni gargantueschi (lei è una di quelle che riuscirebbe a condensare la trilogia di Tolkien in un foglio protocollo), no; lei lo plagerà. Che poi, plagiare, che brutta parola! Si tratterà più di una scopiazzatina innocente, un nome qui, un luogo là, niente di grave.
Inizia così la sua carriera di plagiatrice di professione, che la porterà prima al successo con una riscrittura frivola e degradante de I promessi sposi, poi alla perdita d'identità e alla follia, in un susseguirsi di fissazioni e rituali maniacali via via che i suoi pseudonimi soffocano la vera Marina.
Ma allora è morta!, direte. Se l'hanno soffocata!
E invece il finale è sorprendente, cinico e inevitabile. Sì, perché con personaggi - persone - potenti come Marina non si può fare diversamente. Gridano attraverso la penna e impongono il proprio finale.
"La scrittrice criminale" è uno di quei romanzi che si leggono tutto d'un fiato, e non perché non si vede l'ora di finirlo; è semplicemente magico leggerlo. Divertente, ironico, a tratti evocativo, si conficca nel cuore e lì si scava un posto a unghiate e spintoni. Siamo così diversi da Marina, Scrittrice Potenziale, Scrittrice Dozzinale, Sof'ja? Non viviamo anche noi indossando una maschera?
It takes a fool to remain sane dicevano i The Ark e io vi dico: leggete questo libro. E' leggero, di un bel colore, s'intona anche con la borsetta. Basta una riga per farvi
(plagiare)
catturare.
E alla fine vi sorprenderete a chiedervi se in fondo, ma proprio in fondo, un altro epilogo non sarebbe stato possibile...


 Alice Bassi