martedì 28 agosto 2018

Gocce d'inchiostro #19: in cui sbarchiamo su Instagram e finiamo sbattute dalle onde su uno scoglio

Quant'era che non scrivevo uno di questi post a goccia d'inchiostro, eh? Sembra trascorsa un'eternità, e non solo dal punto di vista temporale. Parecchie cose sono successe dietro le quinte, negli ultimi mesi; e, anche se raramente io e la mia socia ne abbiamo chiacchierato in queste pagine, capita che, prima o poi, si debba fare i conti anche con quelle. Perché...
Ma no, cosa dite! Nessuna di noi è incinta. Diamine, come siete sospettosi! Siamo solo staaaaaanche (in lettura inserite pure tutte le "a" che ritenete opportune, ndr), un po' abbattute per alcune questioni personali e bisognose di relax, almeno per qualche giorno. Perciò, ecco le news:

1. Staaaaaanchezza (vedi sopra). Ne abbiamo addosso tantissima, quindi ecco svelato il perché della nostra latitanza delle ultime settimane: stiamo cercando di prendere le cose con un po' di calma, e poi abbiamo anche altri progetti nel calderone. Volete conoscerne uno? Sì? No? Manco per il piripillo? E invece ve lo beccate lo stesso. Dovete sapere che già l'anno scorso io e Francesca abbiamo tenuto un corso di scrittura creativa nella nostra città: un'esperienza magnifica, frizzante, che non vediamo l'ora (nonostante la staaaaaaanchezza) di riproporre. Siccome accadrà a breve (in autunno terremo un corso di scrittura avanzata, mentre in inverno rifaremo quello base), ci sono tante cose - dalle lezioni, agli esercizi da ideare - che reclamano la nostra attenzione. A proposito: per chiunque fosse interessato e vivesse a La Spezia e dintorni, può scriverci un messaggio qui o per e-mail.

2. Instagram! Ebbene sì: pochi giorni fa abbiamo fatto fare al blog il salto della quaglia, facendolo sbarcare in versione bookstagrammer su Instagram. Se avete voglia di sfogliare i nostri primi, maldestri tentativi di realizzare foto artistiche a tema libroso, e scoprire le chicche che dedicheremo solo a questo social network, correte a trovarci a questo indirizzo :D

3. Ero tentata di scrivere di nuovo staaaaaanchezza, ma poi mi sono fermata. Cioè, più o meno. In realtà, i problemi dietro le quinte sono parecchi e non è questa la sede per parlarne. Parlo per me, sicuramente mi sentirei meglio se avessi un buon libro a cui affidare i miei occhi un po' spenti e segnati, la sera, invece non c'è niente che mi appassioni. Ho un sacco di libri da iniziare, molti dei quali fanno proprio capo al mio genere (romanzo americano da una parte, fantascienza postapocalittica e/o pandemica dall'altra), eppure non riesco proprio a trovare qualcosa che... beh, che abbia un sapore.
Che aggiunga non solo sale alla mia vita, ma che me la strappi a mani nude di dosso e faccia riemergere la mia fantasia, la febbre della lettura, il desiderio. La curiosità. Quello che cerco è un libro che mi raccolga da questo grigiore e mi sbatta con violenza sullo scoglio di un altro mondo, mi schiaffeggi, mi faccia reagire; ho bisogno di una storia che mi impedisca di tornare alla vita reale e mi costringa a girare una pagina dopo l'altra, come solo la saga di "Hunger Games" della Collins, negli ultimi due anni, è riuscita a fare. Considerando che ho già letto "Battle Royale", la saga di "Divergent", "The giver", "Maze Runner" e il primo di "Osama game"... consigli?

Bene, anche queste striminzite gocce d'inchiostro sono terminate. Ce ne sono così poche che colano dalla mia penna, ormai. Non riesco a scrivere, non riesco nemmeno a pensare. Beh, sarà solo un momento. Un lungo momento, ma passerà. Mi è già capitato e, dopo la tempesta, tutto è stato molto più bello. Quieto, ripulito, brulicante di nuove idee, come la spiaggia dopo un temporale.
Il casino è quando ci sei in mezzo. E' allora che fa veramente schifo. Ma tant'è.
Tant'è.


- Alice

venerdì 17 agosto 2018

Cose che possono succedere quando si entra in libreria #2

Ok, vi ricordate il risultato disastroso di quando sono entrata in libreria l'ultima volta? Disastroso per il mio portafoglio, eh, mica per me. Ebbene, questa volta ho fatto anche di peggio, come potete ammirare nella foto sottostante, ma c'è un barbatrucco: non ho comprato queste meraviglie in una botta sola, perché leggere mi piace, certo, ma anche mangiare. No, questi gioiellini li ho accumulati in mesi di binge letterar compulsion episodi depress ponderati acquisti. E li amo. Dio, quanto li amo.


Belli, eh? Eh? Eh?
Dio santo, devo trovarmi un fidanzato.
Comunque, vi lascio qualche riga sulle varie trame, perché secondo me meritano. In particolare "Un uomo da marciapiede" di Herlihy, ma andiamo con ordine.

1) "L'ultima stagione" di Don Robertson (Nutrimenti)

Ci sono due cose che rimangono impresse nell'anima, quando toccate questo libro: la prima è la consistenza porosa della copertina (ah, Nutrimenti, quanto amo questa Casa Editrice), come se per le mani avessimo un manoscritto antico, caldo, polveroso, rinvenuto nella soffitta dei nonni; e poi, naturalmente, c'è la frase riportata sul retro:
"Il mondo reale può anche sfuggirci, ma il nostro mondo no."
Il nostro mondo. Non è strano? Anche io parlo spesso del mio mondo, quella particolare versione personale in cui apro le persiane, un bel mattino, e d'un tratto mi accorgo che era tutto un errore, solo un brutto sogno, perché il mio vero corpo era un altro, e la mia vera casa era sulla strada,  e la strada conduce sempre verso ovest.
Proprio di questo parla "L'ultima stagione", la storia del "viaggio on the road di una coppia di anziani nel cuore dell'America, alla ricerca del significato di un'intera esistenza. La storia di un amore che ha attraversato i decenni, una straordinaria celebrazione del senso della vita". Inutile dire che mi ha subito colpita, anche perché Don Robertson è uno degli Autori più amati da Stephen King.

2) "Un uomo da marciapiede" di James Leo Herlihy (Beat)

Tutti conosciamo il film. Tutti abbiamo ben presente il volto di Dustin Hoffman, stanco, solitario,Percorso creativo. Un viaggio chiamato scrittura" di Laura Scaramozzino. E per fortuna che l'ho letto, perché questo romanzo si presenta, sulla carta, come il potenziale mio nuovo libro preferito. Sì, è del filone del romanzo americano. Sì, sono fissata. Fatevene una ragione. Vi voglio bene.
mentre fuma una sigaretta nella grigia e crudele New York. O meglio, forse lo conoscete voi, perché io questo film non lo avevo mai sentito nominare, prima di leggere un gran bel manuale di scrittura creativa, "
"Il giovane texano Joe Buck, stanco della sua noiosa e insoddisfacente vita e del suo lavoro di lavapiatti in una tavola calda, decide di partire per New York. Nella Grande Mela, Joe, nelle vesti d'un cowboy da rodeo, spera di guadagnarsi da vivere facendo il gigolò in quanto, per sua stessa ammissione, l'unica cosa che gli riesce bene è fare l'amore. I primi tempi a New York si rivelano, fallimentari, crudeli, spietati. Solo l'incontro con il ladruncolo Rico, un italo-americano zoppo, figlio d'un lustrascarpe, che tira avanti riuscendo a malapena a non morire di fame e della malattia che lo sta consumando, permetterà a Joe di capire se stesso e riscoprire il valore dell'amicizia, di cercare di salvare l'altro nonostante la propria miseria."
Ho già detto che questo ha le potenzialità per diventare il mio nuovo libro preferito?

3) "L'ultimo serpente" di A. B. Guthrie (Mattioli 1885)

So che non è il suo romanzo più celebre - o meglio, il libro, dato che questa è una raccolta di racconti; ma mi hanno colpita, vuoi per lo stile, vuoi per l'ambientazione (qualcuno ha detto America?).
Sul retro della copertina leggiamo questo estratto:
"Non sono mai stata nell'ovest, prima", disse. "E'..." Fece un ampio gesto rassegnato mentre con la mano si sforzava inutilmente di trovare la parola giusta. "E' tutto così?" A est le colline nude, scure come la pelle di una pantera, risalivano fino a trasformarsi in lunghi altipiani che si perdevano a vista d'occhio. A ovest la catena principale delle Montagne Rocciose si stagliava in lontananza, blu e viola, e con le sue pietre e i pini sempreverdi."
Dai, non si può non comprare un libro scritto così. E poi, parla dell'Ovest, e di tutto ciò che riguarda la "condizione umana, il rapporto dell'uomo con la natura, la violenza e l'amore per il mondo, il senso dell'avventura e del tempo che passa e divora le forze degli uomini, il viaggio e la libertà." Tredici piccoli classici della letteratura americana mai tradotti prima, proprio come piace a me.

4) "Mi chiamo Lucy Barton" di Elizabeth Strout (Einaudi)

"In una stanza d'ospedale nel cuore di Manhattan, davanti allo scintillio del grattacielo Chrysler che si staglia oltre la finestra, per cinque giorni e cinque notti due donne parlano con intensità. Non si vedono da molti anni, ma il flusso delle parole sembra poter cancellare il tempo e coprire l'assordante rumore del non detto. In quella stanza d'ospedale, per cinque giorni e cinque notti, le due donne non sono altro che la cosa più antica e pericolosa e struggente: una madre e una figlia che ricordano di amarsi."
D'accordo, questo non è proprio il mio genere. A costo di venire linciata pubblicamente, qui lo dico e non lo nego: è molto raro che mi piaccia un libro scritto da una donna, o che abbia protagoniste femminili, per tutta una serie di motivi che non mi sento di dover spiegare in questa sede. Il fatto è, attenendoci all'aspetto letterario, che la stragrande maggioranza di Autrici ha il vizio di scrivere con uno stile femminile, che non coincide con il parlare d'amore, matrimoni o frivolezze, bensì proprio con una metrica in genere lenta, ponderata, con ritmi cantilenanti e frasi infarcite di dubbi, immagini, riflessioni. Sì, sono una donna anch'io, lo so, grazie per avermelo ricordato. Ma anche Suzanne Collins la è, eppure il suo stile di scrittura è secco, scattante, crudo, sanguinolento, urticante. Come il suo personaggio - donna, sì, ma donna aspra, amara, disposta a scuoiare vivo un animale se questo può dare da mangiare alla sua sorellina. Una donna d'azione.
C'è da dire che anche alcuni uomini hanno uno stile di scrittura femminile (proprio come la Collins ne ha uno maschile), quindi il genere dell'Autore non è detto che si rifletta su quello che traspare dallo stile, ma spesso capita che sia così.
E comunque, gusti a parte, ho deciso lo stesso di dare una possibilità alla Strout. Perché il suo modo di scrivere, per quanto trapunto di quella - scusatemi la franchezza - noiosità tipica dello stile femminile, contiene anche pennellate vivide e oggetti che restano impressi. E anche perché ne hanno parlato bene troppi lettori perché questo libro non contenga, almeno in parte, qualcosa che streghi anche me.

5) "Il messaggero" e "Il figlio" di Lois Lowry (Giunti)

Questi sono gli ultimi due capitoli della saga dedicata a "The giver", celeberrima serie distopica dalla quale è stato tratto - perlomeno, dal primo libro - l'omonimo film. Film che, nei primi dieci minuti, mi stava facendo montare il criste, come dicono a Torino, perché sembrava un minestrone di "Divergent" misto a "Ember - la città di luce". Poi, però, ha cambiato rotta e devo dire che, specialmente verso la fine, è stato davvero capace di emozionarmi. E non è facile riuscirci, ma la Lowry (sì, è una donna, e sì, ricordo perfettamente ciò che ho scritto poche righe fa) applica il suo essere donna non allo stile di scrittura, che resta molto fluido e scorrevole, bensì per rovesciare i classici canoni della donna puericultrice e dell'uomo rigido capo della famiglia.


Jonas, il protagonista di questi libri, ha un lato materno molto sviluppato, che lo porta a rischiare la propria vita pur di salvare un neonato innocente, Gabriel, e abbandonare il mondo che conosceva fin dall'infanzia. A proposito, due righe su "The giver": "Jonas ha dodici anni e vive in un mondo perfetto. Nella sua Comunità non esistono più guerre, differenze sociali o sofferenze. Tutto quello che può causare dolore o disturbo è stato abolito, compresi gli impulsi sessuali, le stagioni e i colori. Le regole da rispettare sono ferree ma tutti i membri della Comunità si adeguano al modello di controllo governativo che non lascia spazio a scelte o profondità emotive, ma neppure a incertezze o rischi. Ogni unità familiare è formata da un uomo e una donna a cui vengono assegnati un figlio maschio e una femmina. Ogni membro della Comunità svolge la professione che gli viene affidata dal Consiglio degli Anziani nella Cerimonia annuale di dicembre. E per Jonas quel momento sta arrivando...".

6) "L'ultimo spettacolo" di Larry McMurtry (Mattioli 1885)

Ok, questo Autore non lo avevo mai sentito nominare prima di scovarlo su uno scaffale piuttosto nascosto della libreria, ma una volta letta qualche riga non ho potuto fare a meno di stringere forte questo libro e portarlo al sicuro con me.
Vi riporto un estratto:
"A volte Sonny si sentiva l'unico essere umano in città. Non era una bella sensazione e in genere gli capitava al mattino presto, quando le strade erano completamente deserte, proprio come quel sabato di tardo novembre. La sera prima, Sonny aveva disputato l'ultima partita del campionato di football con la squadra della scuola superiore di Thalia, ma non era quello a farlo sentire così strano e solo. Era l'aspetto della città."
Ebbene, forse alcuni di voi ricorderanno questo romanzo dall'omonimo film di Peter Bogdanovich con i giovanissimi Jeff Bridges, Cybill Shepherd e Timothy Bottoms. La storia è ambientata in America (strano, nevvero?) e precisamente in Texas, negli anni '50: in una piccola città di provincia, tre adolescenti muovono i primi passi nel mondo adulto. Non che abbiano molto spazio in cui sgambare: gli echi del mondo arrivano attraverso la radio e il cinema è l'unico divertimento. E ciò è particolarmente pericoloso, perché, fra tre giovani allo sbando, il confine tra noi e dramma è pericolosamente labile.
Beh, che dire? Non vedo l'ora di iniziarlo, anche se credo che darò la precedenza ad altri.

7) "Nessuno scompare davvero" di Catherine Lacey (BigSur)

Altra scrittrice femminile, altro consiglio da parte di un'amica, altro rischio. Su questo romanzo posso dirvi due cose: la prima, che la copertina è veramente magnifica. E' come se fosse la pagina di un fumetto, in cui una donna, sdraiata sull'acqua, si immerge sempre di più fino a quando, al terzo fotogramma, non è completamente sommersa. Tentativo di suicidio? Simpatica burla?
Andiamo a scoprirlo.
"Elyria, ventotto anni, ha un lavoro stabile e un marito a New York: ma un giorno, senza dare spiegazioni, molla tutto e parte con un volo di sola andata per la Nuova Zelanda. Passerà mesi a vagare in autostop fra le campagne di quel paese sconosciuto, incrociando le vite di altre persone e tentando di dare un po' di pace alla sua. Scopriamo che Elyria ha un passato difficile (una madre alcolizzata, una sorella adottiva suicida, allieva del professore che è poi diventato suo marito), ma la fuga non è causata da crimini o violenze: nasce da un malessere esistenziale tanto profondo quanto difficile da definire; e il romanzo è, di fatto, un viaggio nella mente della narratrice, capace di osservazioni acutissime sul mondo, ma anche preda di improvvisi squilibri; dentro di lei, dice, si muove un bufalo riottoso che non riesce a placare."
Ora capite perché mi ha incuriosita? Il tema è uno di quelli a me più cari: la fuga, il viaggio verso l'ignoto, la riscoperta di sé, l'incisione di una ferita purulenta che, se non fossimo partiti, ci avrebbe infettati completamente, portandoci alla morte. E' uno dei temi che affronto anche nel romanzo che sto tentando di scrivere, un grandissimo bastardo che mi sta dando un mucchio di problemi e per il quale ho già buttato via qualcosa come 800 pagine. A oggi, dopo mesi, sono inchiodata come non mai, a fissare il muro e chiedermi se ne sono davvero capace. Dove sia finito l'estro del primo libro, o del secondo. Dove sia finita io.
Beh, sfogo a parte - scusate, ma ci sto dannatamente male -, il romanzo della Lacey mi incuriosisce non poco. Anche qui, lo stile di scrittura mi sembra godibile. Vi riporto un estratto:
"Il rumore sconosciuto non era altro che il fruscio delle pecore nell'erba, ma quelle scapparono via, e io non potevo certo biasimarle perché anch'io sarei fuggita se fossi stata una pecora invece che me stessa, e anzi alcune mattine, pur essendo me stessa, vorrei comunque essere una cosa che fugge lontano da me piuttosto che quella cosa cucita dentro di me per sempre."
Bene, fantastico. Solo trascrivendo questa frase mi è uscita la lacrimuccia. Mi sa che questo romanzo lo leggerò prima di tutti gli altri.


Ordunque!
Che ne pensate di questa carrellata? Conoscete qualcuno di questi romanzi? Volete uccidermi per ciò che ho detto sulle scrittrici femminili? Sono qui a disposizione. Si accettano mutilazioni.
Anche perché - zan zan ZAAAN - ho ancora una cosa da dirvi. E, cioè, che io e la mia collega saremo un pochino meno attive, nei prossimi giorni, per via di qualche giorno di ferie che abbiamo deciso di prenderci. Quindi, potrete continuare a seguirci sia qui che sulla pagina Facebook, noi ci siamo, solo che saremo un tantino più lente nel rispondere. Abbiamo bisogno di recuperare le forze, le idee e le energie non solo per il blog, ma anche per i nostri libri, al momento entrambi in marcia d'arresto, e per i corsi di scrittura creativa che stiamo imbastendo. A proposito, se qualcuno di voi è di La Spezia o territori limitrofi e desidera partecipare, qui potete trovare qualche info e recensione sul corso dell'anno scorso, oltre a novità che piano piano riportiamo sui corsi (base e avanzato) che abbiamo in programma per questo autunno/inverno.
Buone ferie a tutti! :)


- Alice

giovedì 9 agosto 2018

Per il ciclo recensioni librose: "New York 14a" di Alessandro Barbero

Quante volte vi sarà capitato? E' pomeriggio, tutti i vostri amici sono impegnati, e voi vi state annoiando da morire. Fate zapping, ma dato che da giugno a settembre in TV non passano altro che repliche, non trovate niente che vi sfizi. Il frigo è vuoto. Insomma, 'na chiavica. In una giornata così, ciascuno reagisce a modo proprio: alcuni si vestono e filano a comprare una vaschetta di gelato al cioccolato (io), qualcun altro si spara le cuffie nelle orecchie per ascoltare musica deprimente (ancora io), e poi ci sono quelli che decidono di rifugiarsi nella prima libreria a dar fondo ai propri risparmi (sempre io).
Ebbene, si dà il caso che l'altro giorno mi stessi annoiando, e in più avessi qualche risparmio da parte; così, ho fatto quello che, parafrasando il famoso slogan, un vero uomo deve fare.

La libreria vicino a casa mia è una piccola perla. Non è di catena, perciò non è fornitissima, ma in compenso è fresca, tranquilla, ed è possibile soffermarsi a frugare tra gli scaffali per tutto il tempo che si vuole. Dicono che leggere romanzi è il modo che abbiamo per riportare equilibrio e linearità nell'imprevedibilità delle nostre vite; ebbene, se è vero, e lo è, allora anche questa libreria è una specie di romanzo. Lì nessuno ti obbliga a comprare, o ti disturba, perciò capita di entrare con l'animo in subbuglio e uscirne con le idee chiare. O, perlomeno, con una busta di plastica piena di libri strani, dimenticati, chicche della letteratura che sarebbe impossibile scovare altrove.

No, non è lei.
Non ci ho pensato a fotografarla mentre ero lì, però ci somiglia.
O, almeno, somiglia a come la percepisco io.
Come "New York 14a", ad esempio, una breve raccolta di racconti firmata dalla penna di Alessandro Barbero, noto soprattutto per il suo romanzo d'esordio, "Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle e gentiluomo", vincitore del Premio Strega nel 1996, e per i suoi numerosi saggi, incentrati soprattutto sulla storia del Medioevo. Non è fantastico? Voglio dire, il fatto che in questa libreria non ci fosse nemmeno una delle opere più famose di Barbero. Solo questa minuscola raccolta di racconti, che in qualunque altro posto sarebbe stato impossibile da reperire anche ordinandola. E' una cosa che mi piace: avvicinarmi a un Autore con dolcezza, alle spalle, togliendogli la giacca di dosso come una moglie affettuosa. Adoro partire da storie che nessuno conosce, e poi, semmai, leggere anche il resto. Mi fa sentire in intimità con lo scrittore, e poi mi dà più opportunità di uscire silenziosamente, in punta di piedi, dalla stanza dove sta riposando, nel caso non mi piaccia, senza ferirlo troppo.

Qualcosa che non penso accadrà con Barbero, perché questi racconti sono, nella loro estrema brevità, una bomba. E sono tutti molto diversi tra loro, una cosa che apprezzo sempre, in una raccolta. Non sono contro le antologie tematiche, per carità, ma preferisco leggere gli scarti. Tutto ciò che l'Autore non sapeva dove inserire, i suoi ritagli, le folli crisi di rabbia, il bisogno impellente di sgravare una storia solo per il gusto di partorirla, anche se è figlia unica.

In "New York 14a", in realtà, i parti sono più d'uno, e tuttavia nessuna storia è solitaria. Le prime due hanno come protagoniste due ragazze allo sbando, scappate di casa solo per finire a fare le barbone rispettivamente a Torino e New York: Heidi Homeless, senzatetto anche nel nome, vive di stenti nella stazione torinese di Porta Nuova, e ogni giorno deve avere a che fare con le figure inquietanti che la popolano dopo un certo orario, alcune innocue, altre letali - soprattutto per una donna. E' da parecchio che tira avanti così, e infatti è sagace, smaliziata, e sa come sopravvivere in mezzo agli altri mendicanti; ma quella vita fatta di rifiuti, e di sentirsi un rifiuto, l'ha anche fatta marcire dentro, strappandole ciò che ci rende umani: il coraggio di aiutare un nostro simile. Di stampo diverso è la protagonista della seconda storia, Linda, che per disperazione arriva a mettere in vendita il proprio corpo in uno squallido seminterrato di New York per guadagnare cinquecento dollari e non morire di fame. Fra l'altro, questa seconda storia mi ha fatto salire il nervoso, perché avevo avuto un'idea molto simile qualche anno fa, e l'avevo anche iniziata a buttare giù; questo racconto mi ha dato la spinta per riprenderla in mano, ma già adesso che non è ancora conclusa mi rendo conto che i due testi rischiano di somigliarsi. Una cosa che non posso tollerare, ma spero di riuscire a diversificarli in fase di revisione. Staremo a vedere.

Tornando all'antologia, dopo queste due storie gemelle il libro cambia registro: il terzo racconto, quello che fa da anello fra i due sfondi tematici della raccolta - le città moderne e i nuovi poveri da una parte, la desolazione delle guerre del passato dall'altra - mette in scena il dramma di un'altra donna, Galja, costretta ad abbandonare il suo rifugio a Kabul per via dei bombardamenti. Sempre la guerra fa da timone conduttore per i brani successivi, davvero brevi, ma vividi, con protagonisti soldati buoni, altri cattivi, che si scambiano dialoghi brevi e taglienti come il freddo mostruoso del Tadzikistan, fino ad arrivare all'ultimo racconto, quello che chiude magistralmente la raccolta.
Protagonista è un importante ufficiale dell'esercito di cui non si conosce il nome fino alla fine, il quale, passando per Parigi negli anni '40, decide di fermarsi a farsi predire il futuro da una cartomante. Non è la prima volta che ricorre a una sensitiva, e fino a quel momento ogni previsione è stata un successo, così come la sua vita. Tronfio e sicuro di sé, l'uomo interroga l'indovina, ma lei gli rivela una realtà sconcertante: tra cinque anni, non solo lui, ma anche tutti i soldati del suo plotone, la moglie, l'amante, i bambini, saranno morti. Naturalmente lui comincia ad agitarsi e minacciare la donna, e anche noi lettori siamo portati a patteggiare per lui, finché il colpo di scena finale non ci trafigge come la lama di un pugnale, facendoci chiudere il libro con lo shock dipinto sul volto.

Bello. Ma bello bello, e soprattutto breve, un po' alla Raymond Carver, il maestro indiscusso della massima espressività compressa nel minor numero di parole. Se vi riesce, cercate di reperire questa antologia, perché vale veramente la pena di averla in casa, per consultarla, rileggerla e ritrovarvi nelle scelte di questi personaggi; decisioni viscide, o mosse dall'ira, o disperate, certo, ma anche profondamente umane.


- Alice



mercoledì 1 agosto 2018

Stroncature, rifiuti e due di picche

«Trovati un lavoro.»

Chi di voi scrive a tempo pieno saprà già di cosa sto parlando: delle persone che, quando scoprono la tua passione, ti guardano con un sopracciglio inarcato, un mezzo sorriso sulla faccia, e ti dicono: «Bello, sì. Ma trovarsi un vero lavoro no, eh?»
Simpatici, davvero. Eppure, nonostante io sia dalla parte di quelli che scrivono, c'è da dire che un po' li capisco. Scrivere - non tanto per hobby, o perché sei un calciatore o uno youtuber e ti viene commissionato un libro con tanto di ghostwriter in omaggio, ma perché per te è La Chiamata, la vocazione che senti dentro fin dalla nascita, e magari hai passato le estati della tua infanzia a scrivere storie sui quaderni invece di correre fuori a giocare - è arduo, e campare di scrittura è praticamente impossibile. La vita è cara, i soldi indispensabili. Quanti ragazzi conoscete che, scrivendo libri, riescono a pagarsi il mutuo? Non so voi, ma io non credo di conoscerne. In un paese dove, all'anno, escono circa 65000 nuovi titoli, sono pochi gli autori in grado di poter vivere solo di scrittura. E pensate a tutti gli altri scrittori che non riescono nemmeno a farsi pubblicare! Gente che magari ha speso anni nella stesura di un romanzo e poi continua a ricevere un rifiuto dopo l'altro. Non perché non sia bravo a scrivere, eh. Magari ha partorito qualcosa di nicchia, difficile da vendere. O magari è solo sfortunato.

Eh, sì. Scrivere mette a dura prova. Fare arte, generalmente, o perlomeno provarci, mette a dura prova. Pensate ai musicisti. Sin da ragazzini passano i pomeriggi a suonare, a cantare, a comporre... a spendere risparmi per quel bel microfono che sognano da un sacco. Partecipano a festival, talent show. Spendono soldi su soldi per iscriversi a quella bella scuola di musica che potrebbe dar loro una spinta nel mondo di cui sognano di far parte da una vita. Consumano fino all'ultimo centesimo per incidere cd, nella speranza che questo piaccia (e che non venga piratato). E poi? Personalmente, di ragazzi di questo tipo ne conosco parecchi. Volete sapere quanti di loro sono (già) arrivati? Neanche uno.


Eppure, noi sognatori continuiamo ad andare avanti, instancabili lottatori. Nonostante i dubbi, i pregiudizi e le paure continuiamo a pensare ai nostri personaggi, alle nostre canzoni. Continuiamo a sperare di riuscire a pubblicare le nostre storie, affinché altri possano leggerle. Continuiamo a suonare e cantare e creare, nella speranza che, prima o poi, qualcuno creda finalmente in noi e che ascoltando la nostra musica possa sentirsi meno solo. E no, non è per le ricchezze che lo facciamo. Nessuno di voi vuole (credo) diventare il nuovo riccone italiano, pronto a sollazzarsi tra ville e festini. Vogliamo solo raccontare storie. Vogliamo solo poter essere noi stessi. Comunicare. E, sì, magari cavar fuori anche due soldini di numero, ma questo solo perché scrivere E' un lavoro, e come tale è giusto che venga retribuito, anche se difficilmente sarà sufficiente a saldare il mutuo.

Quindi, sognatori, voglio rivolgervi un appello: non arrendetevi. A volte può essere dura andare avanti, quando tutto il mondo vi rema contro. Potrete credere di non valere niente, perché Tizio ha pubblicato e Caio ha vinto quel talent show, mentre voi siete ancora a casa, in pantofole, a chiedervi dove abbiate sbagliato. Non rinunciate nemmeno quando vi chiudono il portone in faccia o quando vi suggeriscono di cambiare mestiere. Continuate a credere nei vostri sogni, perché se non sarete voi a farlo, non lo farà nessun altro.


Vi lascio un piccolo elenco di artisti che nonostante le difficoltà, i rifiuti e le paure ce l’hanno fatta. Sia mai che la cosa possa ripetersi.


J.K. Rowling


Come non parlare di zia Rowling? Dopo aver perso sua madre per sclerosi multipla, sposa il giornalista televisivo Jorge Arantes, con cui ha una bambina. Purtroppo, le cose non vanno  bene e, ad appena un anno dal lieto evento, il matrimonio finisce (secondo voci non confermate, per sospetta violenza domestica). Zia Rowling fugge con la bambina a Edimburgo, dalla sorella, dove la storia di Harry Potter inizia a formarsi, tassello dopo tassello. Possiamo definire questo periodo come quello più oscuro della Rowling. Separata, disoccupata, con una figlia a carico e con un ex marito che la tormenta, arriva a pensare al suicidio. Fortunatamente non lo fa e continua a scrivere "Harry Potter". Dopo aver concluso il primo libro, contatta un agente letterario che prima la rifiuta, ritenendo il romanzo non vendibile, poi torna a cercarla dopo aver letto una recensione entusiasta di una delle sue collaboratrici. Lo stesso agente letterario riceverà poi 11 RIFIUTI dalle Case Editrici a cui proporrà il romanzo. La motivazione? "I libri per bambini non vendono". Quando ormai il destino fallimentare della Rowling sembra inevitabile, il presidente della Bloomsbury, una casa editrice piccola e poco conosciuta di Londra, prova a far leggere i primi capitoli di "Harry Potter e la pietra filosofale" alla figlioletta Alice (Dio, speriamo che questo nome porti bene anche a me), la quale chiede il seguito. La Bloomsbury, dunque, che aveva appena inaugurato una collana per bambini, emette una tiratura di sole mille copie e poiché i nomi femminili sulle copertine, di solito, respingono il lettore maschio, chiede alla Rowling di firmarsi con un vago J.K. (che richiama J.R.R. Tolkien). Nonostante la pubblicazione, l'Editore le consiglia comunque di trovarsi un lavoro redditizio con cui poter mantenere la bambina. Notate bene, il suo Editore! A discapito dei dubbi, quelle mille copie andarono a ruba e adesso valgono tra i 16 e i 25 mila euro. Oggi, quella giovane donna che pensava al suicidio è conosciuta in tutto il mondo ed è diventata più ricca della regina Elisabetta.


Stephen King


Che dire dell’uomo dalla mente più perversa d'America? Abbandonato da suo padre, che era uscito per andare a comprare le sigarette per non fare più ritorno, Stephen, il fratello e la madre iniziano a girovagare per gli Stati Uniti in cerca di fortuna. La madre, donna di carattere, accetta ogni lavoro che le capita ma, nonostante le assenze, riesce comunque a indirizzare i figli sulla strada della buona musica e della lettura dei classici della letteratura. Stephen comincia a leggere da solo tutto ciò che trova. A sette anni scopre nella soffitta i libri del padre, appassionato di Edgar Allan Poe, Lovecraft e Matheson. Scopre così che il padre non era solo un marinaio (come raccontato in casa), ma anche un aspirante scrittore, affascinato dalla fantascienza e dall’horror. Nel 1969, anno in cui sposa Tabitha Jane Spruce, Stephen inizia a occuparsi di uno spazio sulla rivista “The Maine Campus” e già qui si capisce il suo talento: è in grado di scrivere un racconto perfetto cinque minuti prima che il giornale vada in stampa. Mica come me, che quando realizzavo di aver dimenticato di fare i compiti mi ritrovavo a compilarli per metà, spulciando quelli della mia vicina di banco (che il più delle volte li sbagliava, ma almeno li faceva!).
Ma torniamo a King. Nel 1972 nasce il suo secondo figlio e il bilancio della famiglia comincia a farsi davvero problematico. King inizia a pensare che diventare uno scrittore sia un'utopia. Non riesce a pagare le bollette, e decide di rinunciare prima al telefono, poi all’automobile. E, si sa, quando le cose vanno male non possono che peggiorare. Inizia così a bere e, inevitabilmente, la situazione precipita. Sarà sua moglie a salvarlo, spingendolo a lavorare su “Carrie”, un manoscritto incompleto che aveva ritrovato per puro caso nella spazzatura. King, finita la revisione, sottoporrà il romanzo a svariate Case Editrici, che rifiuteranno il romanzo perché "la distopia non vende". Finalmente, il suo agente riesce a strappare alla Casa Editrice Doubleday un assegno di 2500 dollari come anticipo per la pubblicazione. Pochi mesi dopo, arriva la grandiosa notizia: la Casa Editrice ha venduto i diritti dell’opera alla NewAmerican Library per 400000 dollari, metà dei quali spettano a King. I problemi economici sono risolti e Stephen lascia immediatamente l’insegnamento per dedicarsi a tempo pieno alla professione di scrittore. Inutile dirvi dove sia arrivato oggi.


Kathryn Stockett


Scrittrice americana cresciuta a Jackson, in Mississipi. Sulla sua biografia ammetto di non saperne molto, ma so che il suo romanzo, “The Help”, da cui hanno tratto anche un film, ha ricevuto 60 rifiuti da parte di agenti letterari. Sì, avete letto bene. Sessanta rifiuti. Sessanta. Dopo il sessantesimo no, il romanzo è stato finalmente accettato da Susan Ramer. Oggi, il libro è diventato un bestseller ed è stato pubblicato in 35 Paesi e tradotto in tre lingue diverse.


Agatha Christie


Nemmeno i geni del giallo si salvano. Nata nel 1890, Agatha (il cui vero nome è Agatha Mary Clarissa Miller) è l’unica dei suoi fratelli a non frequentare una scuola, ma a essere istruita in casa dalla madre, dalla nonna e da numerose governanti. Si trasferisce a Parigi da ragazzina, per perfezionarsi in musica e canto nella speranza di diventare una cantante lirica, ma due anni dopo capisce di non averne la stoffa e inizia a dedicarsi alla scrittura. Grande scelta, Agatha! Sotto pseudonimo, riesce a pubblicare alcune poesie su “The Poetry Review”, ma ahimè i suoi racconti vengono puntualmente respinti. Sarà solo nel 1920, dopo aver prestato servizio come crocerossina durante la prima guerra mondiale ed essersi sposata con il tenente Archibald Christie, che Agatha pubblicherà finalmente il suo primo romanzo, “Poirot a Styles Court”, un giallo. In seguito, scrive altri romanzi, ma con risultati modesti, fino a quando, nel 1926, si avvia finalmente al successo con “L'assassinio di Roger Ackroyd”.
Nel 1971, a coronamento di una brillante carriera, Agatha Christie riceve la massima onorificenza concessa a una donna, quella di Dama dell’Impero Britannico. Dalla serie, preghi per anni affinché qualcuno pubblichi i tuoi racconti e poi ti ritrovi Dama. Mica male, eh?


Anna Frank


Già. Sembra impossibile che proprio lei e la sua opera, su cui tutti noi abbiamo studiato, siano state inizialmente rifiutate non da uno, ma da QUINDICI editori. Sì, ho detto quindici. 15. Tra le varie motivazioni: «Questa ragazza non ha, perlomeno dal mio punto di vista, un sentimento o una percezione della realtà tali da elevare il romanzo al di sopra della banale curiosità.» Ciononostante, nel 1947 la Contact di Amsterdam decise di pubblicare il libro, pur chiedendo al padre di Anna, Otto Frank, di rivedere il testo e tagliare i passaggi in cui Anna parlava della propria sessualità. Il romanzo non ottenne comunque un gran successo, fino a quando, con il passare del tempo, il pubblico venne a conoscenza dei fatti gravissimi della Shoah. Solo allora, il libro suscitò un vasto interesse. Ora ditemi, esiste qualcuno, tra voi, che non conosce il "Diario di Anna Frank"? Ne dubito fortemente.

Ma questi non sono gli unici casi. Pensiamo a C.S Lewis, l’Autore di “Le cronache di Narnia”, che prima di vendere un solo libro ha ottenuto il record di 800 stroncature. A George Orwell, al quale bocciarono “La fattoria degli animali” dicendo che sarebbe stato impossibile vendere storie di animali negli Stati Uniti. A Herman Melville, a cui Peter J. Bentley, della casa editrice Bentley & Son suggeriva di sostituire l’antagonista del Capitano, la balena, con lotta con la propria depravazione verso giovani e voluttuose signorine. Di conseguenza, come non citare "Lolita" di Vladimir Nabokov, rifiutato perché ritenuto nauseante?

Alla faccia dei no!

Questo ci insegna a non demordere mai, perché per quanto possa essere dura andare avanti, per quanto i muri che ci dividono dall’avercela fatta possano essere enormi e pieni di filo spinato, non è detta l’ultima parola.
Come direbbe Walt Disney (anche lui rifiutato in quanto “CARENTE in fantasia”) se puoi sognarlo, puoi farlo.

E voi? Conoscete scrittori (ma anche altri artisti) stroncati dalla critica prima di ottenere successo? Quale libro stronchereste? A quale avreste negato la pubblicazione?
Non dite il mio, o quello di Alice, o vengo a cercarvi.


- Francesca