lunedì 30 novembre 2015

Storia di come arrivai in biblioteca, sgusciai dei cioccolatini e finii per adottare tre libri

Buonday!
Oggi vorrei raccontarvi la mia seconda esperienza con il Club del libro.
Due parole di premessa: i Club del libro (o dei lettori) sono quelle libere aggregazioni di persone accomunate da una grande passione per la lettura che decidono, di volta in volta, di leggere uno stesso libro per poi commentarlo. In genere ci si dà un mese di tempo e poi ci si rincontra, magari nella sede di qualche fondazione che promuove la lettura o, più comunemente, in una biblioteca.
Questo secondo caso è quello del Club del libro della mia città. Peraltro, mi viene in mente solo adesso che non ci siamo ancora dati un nome °_° non che sia obbligatorio, sono io che ho questa scimmia di dover dare un nome anche alla gomma per cancellare, pertanto... lo proporrò. Anzi, sarebbe bello leggere anche le vostre proposte. Potrebbe essere... gngnrnrnn... "Piccole lettrici crescono", dato che siamo tutte donne? Oppure "Lettrici in cerca di autore"? O "Una biblioteca tutta per sé"? O ancora "Le lettrici della mezzanotte"? O magari "Dieci piccole lettrici"? Mi piace quest'ultimo in particolare, ma potrebbe legare troppo il fatto che ci sia un numero nel titolo, nel caso si aggiungesse qualcun altro... boh. Dubbio.

A parte questo delirio made in Alice, torniamo a bomba: il secondo incontro.
Le cineprese si accendono su un parcheggio buio, accanto a un bosco e una chiesetta di campagna. E' lì vicino che hanno spostato la biblioteca che prima pulsava nel cuore del mio paese, S. Stefano Magra. Ora quel cuore batte più piano ed è difficile udirne il richiamo, ma io ho udito fine e ora sono qui, con il motore della macchina che ticchetta nel cofano mentre si raffredda, lo zaino pieno di libri, le mani gelide.
La biblioteca, buia, con solo un lumicino acceso, è di fronte a me. M'incammino e intanto mi pongo tante domande: come sarà questo Club del libro? Le altre ci sono già state, per me invece è la prima volta. Sì, insieme a loro ho deciso di leggere "Ritratto di signora" di Henry James, ma non ho mai partecipato a una discussione su un libro. Sarà come a scuola? Analogie, ossimori e sineddoche? Dovrò fare un'analisi del testo? Dei personaggi? Dubbi. Dubbi come fantasmi nel buio.

Entro e noto due cose positive: i numerosi caloriferi (bene) e un cesto di Lindor (fottutamente bene) gentilmente offerti dalla biblioteca. Me ne riempio il grembo e, mentre li sguscio uno a uno come uno scoiattolo, ascolto la conversazione sul libro: gioiagaudio! Non è un'analisi del testo, bensì una ricca, emozionante conversazione sui personaggi, su come potrebbero evolversi anche oltre il finale proposto da James, sul perché hanno agito in un certo modo e via così. Lo so che può suonare noioso, invece mi sono divertita un sacco: tutte le mie compagne di lettura hanno mostrato un sincero interesse per l'evoluzione psicologica dei personaggi e addirittura per leggere brani autentici in cui James raccontava cosa pensava lui di certi dettagli rimasti in sospeso, tanto che dalla nostra analisi è scaturito un calderone di idee che borbottava e scoppiettava sul fuoco della nostra passione.
E' questo che ho provato in mezzo a loro: mi sono sentita a casa, in una zona sicura, dove persone simili a me si confrontavano su tematiche gustose e interessanti. Ed erano magnifiche, queste donne, e a nessuna di noi importava se qualcuna avesse i capelli in disordine o vestisse abiti fuori moda o se fosse grassa o struccata: tutti quegli elementi che ci avrebbero rese vulnerabili fuori dalla biblioteca, lì ci facevano risplendere di una forza incrollabile. I nostri occhi ardevano e i nostri occhiali erano il più lucente dei gioielli.
Un'esperienza magnifica e stimolante, davvero. E ora mi sento meno sola, come se ci fosse una tana in più in cui potermi rifugiare quando il volume del mondo esterno si alza troppo e le mie orecchie rischiano di sanguinare.

Abbiamo scelto un nuovo libro da leggere e di cui parlare nel mese di dicembre: "Il ritorno del soldato" di Rebecca West. C'erano parecchi titoli in ballo, ma io mi sono battuta fortemente per questo e per pietà le altre hanno ceduto alla fine le ho convinte tutte. Eh-ehm. Il motivo per cui ci tenevo a leggere questo libro è perché non solo lo stile di scrittura della West, per quanto troppo ricco di lunghe descrizioni di esterni, per i miei gusti, è scorrevole e più contemporaneo rispetto a quello di James, ma soprattutto per via dell'autrice: Rebecca West, pseudonimo di Cicely Isabel Fairfield, scelto da lei per rendere omaggio a una eroina femminista dell'opera "Rosmersholm" di Ibsen, è stata non solo una grande scrittrice, ma anche un'attivista in ambito femminista, figura di spicco della critica, della saggistica e grande opinionista del suo tempo. Nel '47, ho appreso con stupore da Wikipedia dopo aver cercato qualche notizia in più su di lei, la rivista "Time" l'ha definita "indiscutibilmente la scrittrice numero uno del secolo". Al momento sono più o meno a metà del libro e devo dire che mi piace, soprattutto per l'abilità della West nel delineare con pochi tratti personaggi indimenticabili. Altra nota interessante: diversamente da James, dove in qualche modo l'aspetto fisico dei personaggi già faceva intendere qualcosa anche sulle loro intenzioni e sulla loro identità psicologica, qui si assiste a uno scollamento fra personalità e aspetto: tutti i personaggi, a parte Chris, il soldato tornato dal fronte con un'amnesia degli ultimi quindici anni di vita, si rivelano essere l'esatto opposto di quello che il loro aspetto esteriore e il luogo in cui vivono suggerirebbero: sia Kitty, moglie dimenticata di Chris, sia la protagonista, ragazza incostante e divorata ora da gelosia, ora illuminata da una scialba compassione per i meno fortunati, sono donne magnifiche per bellezza e dimora, ma vuote, superficiali. Al contrario, Margaret, donna amata da Chris quindici anni prima e che lui ritiene ancora essere la sua fidanzata, è più volte definita come orrenda, invecchiata dagli anni e dalle fatiche, con occhi slavati e brutte mani arrossate dal lavoro, eppure si dimostra la più genuina, l'unica in grado di nutrire vero amore e sentimenti sinceri.
Vi dirò di più quando l'avrò finito, ma per ora lo consiglio fortemente.

E' stato uscendo dalla biblioteca che ho fatto il primo grande errore: fermarmi a chiacchierare con le altre nella stanza adibita ai prestiti. I libri sugli scaffali hanno subito iniziato a sussurrarmi e supplicarmi di sfogliarli, perciò ho dovuto accontentarli, si capisce. E così mi sono lasciata tentare dalla copertina di "Il silenzio delle conchiglie" di Helen Keller, scrittrice molto conosciuta soprattutto per la disabilità fisica che, dall'età di 19 mesi, l'ha resa cieca e sorda. Io conoscevo anche un altro aneddoto su di lei: pare che sia stata proprio la Keller a portare il primo Akita Inu negli States nel '39, quando, in occasione di un suo viaggio in Giappone e dell'interesse mostrato per Hachiko, morto nel '35, il governo nipponico le donò Kamikaze, un cane di razza Akita che lei definì "un angelo con la pelliccia". Della sua storia e della sua disabilità si parla nel famoso libro, diventato poi anche film e opera teatrale, "Anna dei miracoli". Anche nel libro che ho scelto io (non potevo lasciarlo lassù, su quello scaffale, al freddo... non si fanno queste cose!) si parla della stessa tematica e devo dire che non vedo l'ora di iniziarlo, perché dalle poche righe lette sono rimasta colpita e affascinata dallo stile di scrittura scorrevole e intenso della Keller.

Il secondo grande errore è stato quello di non uscire dalla biblioteca immediatamente dopo. Sì, perché, senz'altro per aver visto che uno di loro ce l'aveva fatta, gli altri libri hanno iniziato a chiamarmi molto più forte, e così sono incappata in questo altro titolo: "Teo" di Lorenza Gentile, la storia di un bambino che desidera conoscere Napoleone ma che, per farlo, sa di dover morire, in quanto Napoleone è appunto un morto. Come ragionamento non fa una piega. Dalle prime pagine mi sembra interessante sia la trama, sia lo stile ritmato e incalzante di scrittura, per certi versi vicino al mio. E' questo un esempio lampante di ottima scrittura: creare fin dalle prime pagine l'urgenza nel lettore di andare avanti, di conoscere la risposta a quella che, in gergo, si definisce Domanda Drammaturgica Principale. Teo si ucciderà o no? Lo scoprirò solo leggendolo, ma per ora sono ancora alle prese con la West, perciò ci vorrà ancora qualche giorno prima che io possa dirvi di più. 






sabato 28 novembre 2015

Skynet, la barretta di Kitkat e l'arcipelago della cultura

Di nuovo qui. PC, caffè bollente, Aidan che fa le fusa sulla scrivania.
Questi sono stati giorni saturi di impegni e scadenze, giornate scandite da una martellante sequenza di sveglia, macchina, il tappo del serbatoio che sfiata, il vento freddo che mi schiaffeggia mentre cerco di non ridurmi a un ghiacciolo mentre reggo il tubo che gorgoglia; e poi il rombo dell'auto, il profumo di vaniglia del mio arbre magique, lavoro, cuffie, buongiorno, come posso aiutarla?, mi fornisca il suo numero cliente, pausa pranzo a orari improponibili, la fila davanti al fornetto microonde, ancora lavoro, spesa, impegni vari, il Club del libro, il corso di tedesco, ja, ich habe meine Übungen gemacht, il borbottio della pentola mentre si cuoce la cena e, finalmente, la soffice consolazione del divano.
Ho avuto parecchie idee per la testa: tanti post per il blog, idee, un mucchio di libri che vorrei. Ma sono riuscita ad avere il tempo materiale per buttarle giù? Nein.
Idem per il nuovo romanzo: non ho scritto nemmeno una riga nell'ultima settimana, ma (per quanto la cosa abbia ancora il potere di terrorizzarmi) ho deciso che, invece di vivere la cosa come una condanna a me stessa di negligenza e/o come una perversa riprova che non sono una vera scrittrice (sì, perché diversamente da ciò che credono alcuni, io sono piena di dubbi su me stessa), voglio iniziare a essere più obiettiva. Il perché mi è chiaro nella mente, ma sarà materia per un nuovo post.

Per ora, quella che vi propongo è poco più di una riflessione. L'argomento? Vi sembrerà strano, ma non riesco a definirlo in poche parole. Meglio che parta con la foto che ho fatto in un certo bar della città. Tutto vi sarà più chiaro.



Attenzione: se vi sta girando la testa, se vi sentite strani, come se lo stomaco vi si fosse rigirato proprio lì, sotto il cuore, è tutto normale. Siete semplicemente come me, spettatori esterni (ma, drammaticamente, anche interni) del progressivo svuotamento di forma e contenuti della società contemporanea. La buona notizia è che queste confezioni sono in limited edition. Quella cattiva è che ho parecchio da dire sull'argomento. 
Prima di tutto, le informazioni tecniche: queste confezioni sono state create in collaborazione con un g-g-giovane youtuber, che non citerò. Non lo conosco personalmente, ho solo letto qualcosa sulla sua pagina FB e visto qualche video proprio per in occasione della stesura di questo post. Posso dire che sulla sua pagina ho letto che ha sempre sognato di fare il videomaker: gli auguro che la sua passione possa diventare sempre più forte e portarlo a realizzare tutti i suoi sogni. L'ho trovato simpatico e bravo a montare i video; per il resto, non so che altro dire. Anche io, come lui, mi sveglio, vado un po' in giro, faccio colazione, vado in vacanza (anche se meno di lui) e vivo la mia vita.
Tornando al dolciume della discordia, il tema per ideare queste confezioni in edizione limitata era individuare un break ideale, un qualcosa che si fa quando si mette il cervello in pausa e ci si gode un dolcetto sfizioso. Non so quali passatempi avreste indicato voi, ma a me vengono in mente leggere, scrivere, giocare alla playstation, fare una passeggiata, fotografare qualcosa di interessante, suonare uno strumento, imparare lingue nuove, fare la settimana enigmistica, cucinare... non lo so, qualcosa. Le possibilità sono quasi infinite.
Dico quasi, perché quelle proposte da questo ragazzo non mi sarebbero mai venute in mente. Ripeto, non lo conosco, gli auguro ogni bene e magari KitKat (contro la quale non ho nulla e che anzi ringrazio per i generi di conforto che produce) ha in qualche modo imposto a questo ragazzo di promuovere le proprie idee, ma ho qualche dubbio. Mentre ci penso su, vi lascio l'elenco dei passatempi proposti, oltre a quelli visti in foto:

Farti i film
Fare like a caso 
Divorare serie TV 
Fotografare il cibo
Spegnere il cervello
Photobombing
Chattare non stop
Pettinare le bambole
Hashtaggare tutto
Musica in cuffia

Dio. Fortuna che è una limited edition.
E boh, davvero. Forse sarò esagerata, ma trovo che, a parte un paio di eccezioni, la lista qui sopra rappresenti non solo uno svuotamento in termini di forma, ma anche di contenuto dei passatempi, delle emozioni e dei sogni umani. Ho detto sogni? Intendevo dire anche quotidianità, un vivere di tutti i giorni fra casa, lavoro, famiglia, fare benzina, preparare la cena, sonnecchiare sul divano.

Lo confesso: anch'io ho caricato qualche mia foto su Facebook. Anch'io ho un blog, proprio quello che state leggendo. Uso la tecnologia e navigo in rete proprio come i soggetti oggetto delle mie critiche: è vero, Vostro Onore. Mea culpa.
Ma trovo che ci sia una differenza fra chi mantiene un blog o una pagina con lo scopo di diffondere e condividere la cultura e chi, invece, lo fa per mettersi in vetrina. Possiamo chiamarle CATEGORIA A e CATEGORIA B. 

Per come la vedo io, quelli della CATEGORIA A sono come le cellule del sangue: ciascuna ha una funzione separata da ogni altra, ma è indispensabile. Se non ci fossero globuli bianchi, rossi, piastrine, noi non potremmo sopravvivere.
Allo stesso modo, chi diffonde la cultura lo fa in un ambito ben preciso. Lo scrittore, il lettore, il cantautore, lo scultore, il pittore, la make up artist, l'artigiano, sono tutti individui che abitano su isolotti diversi di un unico arcipelago: c'è l'isolotto dove il pittore parla di pittura, quello in cui la ragazza che cuce borse in feltro esce tutti i giorni sulla spiaggia a cucire, e così via. Piano piano, nuovi abitanti confluiscono in ciascuno degli isolotti, perché interessati da quello che vi si spiega e produce. Se guardiamo dall'alto questo schema, vediamo un tessuto vivo e reattivo, tante persone che, seppur animate da interessi diversi, intessono tutte insieme la trama della cultura.
Il mio blog, ad esempio, parla di libri, film, riflessioni personali. Ci sono altri blog che parlano degli stessi argomenti, e tutti condividiamo notizie simili: quella della creazione del colosso letterario Mondazzoli, quell'altra della vincitrice del Premio Nobel 2015 per la letteratura... per non parlare della recente nascita della nuova casa editrice La nave di Teseo, fondata da Elisabetta Sgarbi, ex Bompiani. Ciò che varia sono le nostre opinioni, i nostri approcci, la profondità delle nostre conoscenze, ma la cultura, quella che desideriamo rendere accessibile a tutti, è la stessa.

Non è così per la CATEGORIA B. Quelli degli hashtag, dei troll, dei Capitan Ovvio, dei photobomber, dei selfie, non sono cellule del sangue che lavorano in armonia per concorrere a creare un unico organismo virtuoso.
Quelli di questa categoria, in genere, non offrono conoscenze specifiche su un certo argomento, un pezzetto di cultura che andrà a stimolare e arricchire nuove menti; questi individui hanno solo loro stessi e su questo fondano il loro culto. Gli altri g-g-giovani accorrono per diventare proseliti di quella dottrina e, da quel momento, non dovranno far altro che stare a guardare. Fra loro e il loro dio si sviluppa da subito una sorta di contratto di somministrazione unilaterale di informazioni: informazioni, appunto, non contenuti, perché queste "piccole divinità del web" offrono più che altro video sulla propria giornata, su come fanno colazione, su quanti escrementi galleggiano nel loro water dopo la suddetta colazione e altre stuzzicanti amenità. Chi li guarda può amarli o odiarli, può ridere e anche commentare; ma è appunto solo questo che può fare: lasciare un commento, un "mi piace" o un "non mi piace" su quello che ha visto, e basta. Cosa può chiedere al piccolo dio? Di cosa possono discutere insieme, se tutto ciò che fa il piccolo dio è semplicemente esistere? Si veste, porta a spasso il cane, mangia un muffin, va a dormire.

Mi direte che sono noiosa, che non si può sempre propinare cultura agli altri. Può essere vero. Lungi da me voler minimizzare le conquiste tecnologiche che hanno contribuito a distruggere le barriere di timidezza di molte persone, persone che hanno deciso di mettersi in discussione anche attraverso canali come quelli citati prima. Non tutti si filmano mentre fanno colazione solo per essere un manichino in vetrina; c'è chi, fra una tazza di caffellatte e un biscotto, chiacchiera di argomenti interessanti con i propri ascoltatori, o semplicemente parla di sé, della propria vita, delle difficoltà che deve affrontare giorno dopo giorno, ritrovando in questo flusso di parole un coraggio che non credevano di possedere, alla ricerca di un surrogato di abbraccio umano che può arrivare solo attraverso una spolliciata in su. Io stessa, prima di questo blog, gestivo una pagina dedicata al make up e, nonostante il mio intento fosse quello di condividere le mie conoscenze sull'argomento, che approfondivo giornalmente, e nonostante io abbia conosciuto persone fantastiche, mi sono anche ritrovata a parlare con i miei lettori dei miei fatti personali: cose che avrei, probabilmente, dovuto tenere per me. Ci sono battaglie che vanno condotte nella propria intimità, in privato, e questo non è un atto di timidezza, bensì di rispetto verso se stessi.

Quello che voglio dire è che non tutto deve finire sul web. Non tutto deve essere filmato, hashtaggato, mipiacciato, twittato. Non tutto è adatto a un selfie e non tutti i selfie devono essere photobombati. Quelle barriere di timidezza che il web ha contribuito a far crollare non sono le uniche a giacere in macerie al di là dello schermo: qua e là vedo mattoni di Riservatezza misti a Decoro, e laggiù, proprio accanto a quel mucchietto triste di Moralità, rotolano fascine spezzate di Dignità.
Perché le barriere, qualche volta, sono confini. E i confini sono lì anche per il nostro bene, per ricordarci cosa deve essere pubblico e cosa privato, cosa può finire in rete e cosa dovremmo, invece, coltivare nel nostro piccolo orto. Mi beccherò della moralista? Della vegliarda ultraottantenne? Pazienza. Questo è un blog della CATEGORIA A e voi siete liberi non solo di commentare, ma anche di intrattenere con me una accesa discussione culturale su questo argomento. Dopo potreste decidere di cambiare idea, o la cambierò io; oppure resteremo entrambi della nostra opinione, e anche questo va bene, perché ci saremo confrontati civilmente. La nostra conversazione rimarrà scolpita nei nostri ricordi... così come quelle confezioni di Kitkat sulle scansie dei supermercati di tutta Italia.

Stare sereno.
Trollare la gente.
Hashtaggare tutto.

Possibile che questo sia il lessico non solo del mondo giovanile di oggi, ma anche quello socialmente accettato, incoraggiato e addirittura usato dal Presidente del Consiglio di un grande Stato occidentale? Possibile che continui a diffondersi con tanta morbosa velocità, che si guardi a esso con simpatia e gigioneria, invece che con sospetto? Fino a pochi anni fa si parlava solo delle "k" e dei "xké" negli sms sui telefonini, al limite ogni tanto si assisteva impotenti al funerale di qualche congiuntivo; cos'è successo negli ultimi anni per assistere a una massificazione così globale del pensiero e del parlare comune?
Gli altri mass media lo hanno fatto prima dell'avvento dei social media, ma oggi sono questi ultimi a insegnarci non solo cosa è fico e cosa non lo è, cosa dovremmo fare per non sentirci diversi ed esclusi, cosa piace agli altri e cosa non gli piace, ma anche che quello che piace agli altri è più importante di ciò che piace a noi, che da un loro "mi piace" può dipendere la nostra popolarità e impopolarità. Figli di una società che spesso non sa né vuole valorizzare le identità e i talenti dei singoli individui, e nemmeno è interessata a coltivare in loro la passione per la cultura e il pensiero autonomo e critico, ci sono i piccoli dei, così disperatamente dipendenti dall'opinione altrui o da una promessa di popolarità a poco prezzo da mettere in vetrina, come un film infinito alla The Truman show, uno show su un palcoscenico sul quale la cinepresa non deve mai spegnersi. Io ci vedo un bisogno spaventoso di contatto, di approvazione altrui, oltre a un'eccessiva disponibilità ad adattare la propria identità a quello che gli altri ci dicono di fare, di pubblicare, di condividere. Ed è un appiattimento triste e pericoloso, perché getta la nostra tenera interiorità nelle mani di burattinai che, con il ritmo dei loro "like" o "dislike", possono farci ballare come vogliono.

Io non sono un'esperta, non ho studiato scienze della comunicazione e non sono una blogger navigata. Probabilmente avrò fatto un po' di confusione con alcuni concetti, ma sono i miei concetti e tutto ciò che volevo era metterli nero su bianco. O su rosa salmone, nel caso di questo blog, il che aggiunge una nota deliziosamente casereccia al tutto.
Sono consapevole che queste idee non sono quelle di maggioranza e che, forse, scateneranno un mezzo putiferio. Pazienza. Come scrisse Stephen King, "sono un niente nelle retrovie della civiltà", ma penso ancora che sia importante sapere a quale vergognosa vicenda politica si fa riferimento usando l'espressione "stare sereno". E no, non mi sento serena al pensiero che là fuori, oltre il vetro del mio PC, nel mondo virtuale della rete, un mostro cybernetico senza volto sta agitando i suoi tentacoli iniettando online i link che noi cuccioli umani condivideremo domani senza nemmeno aprirli pensando di aver esercitato un diritto, di esserci informati con coscienza e libertà.

Era il 1984 quando le sale cinematografiche di tutto il mondo si riempivano di eccitati spettatori di un nuovo film di James Cameron. 31 anni fa quegli spettatori hanno tremato e si sono interrogati sul potere del World Wide Web e della tecnologia, mentre un robot indistruttibile rincorreva una donna per ucciderla e Skynet prendeva autocoscienza, distruggendo l'umanità.
Naturalmente, il film era Terminator.

Oggi, Skynet, o Internet, non ha raggiunto l'autocoscienza. E forse Cameron esagerava pensando a un mondo postapocalittico popolato di robot micidiali che flagellavano i pochi esseri umani rimasti, agendo con la brutale metodicità di un'unica mente condivisa - la World Wide Mind, se così vogliamo definirla.
Tutto questo è lontano anni luce dalle foto alle lasagne della mamma, dagli hashtag e dalle barrette di Kitkat. Il mondo non finirà per un like in più e nemmeno per uno youtuber che si riprende mentre fa gli scherzi telefonici a dei poveri cristi che non sanno che pesci pigliare.
Non prevedo esplosioni, né robot o bombe atomiche. Il mostro cybernetico è intelligente e non cerca spettacolarità, solo nuovi adepti attraverso i quali riprodursi. Il mondo non finirà. Si limiterà a cambiare, sostituendo veleno al latte nel nostro biberon. Saremo noi a cambiare, trasformandoci in robot che non hanno bisogno di prese per la corrente per sopravvivere, ma di un "mi piace" in più. Solo uno. Ancora uno.
Uno al giorno.
All'ora.
Like-Li-Like-Li-Like.
Il nuovo ritmo del nostro cuore.

“Tra il desiderio e lo spasimo, fra la potenzialità e l’esistenza, fra l’essenza e la discesa, cade l’ombra. Questo è il modo in cui il mondo finisce.”

T.S. Eliot 

lunedì 23 novembre 2015

"Febbre" di Robin Cook, l'angelo del focolare e il Bosco dei Cento Acri

Buondì!
Negli ultimi giorni ho realizzato poche cose ma buone, ad esempio sono riuscita a finire "Febbre" di Robin Cook, il medical thriller di cui vi ho parlato nei post precedenti. E devo dire che non mi è dispiaciuto, anche se ero partita da una parabola ascendente che, da metà libro in poi... si è piegata verso il basso.  Di brutto.
Non perché il libro non sia bello o sia scritto male, ma c'è una cosa di cui l'autore (per i miei gusti personali, ovviamente) non ha tenuto conto: la promessa. Sì, perché quando si parte con un prologo spettacolare e una storia con basi solide e intriganti, il lettore si aspetta che quello sarà il tenore dell'intero libro, o almeno che queste promesse verranno mantenute lungo la trama e la struttura del romanzo. Purtroppo, in questo caso mi sono sentita un po' presa in giro dall'autore, perché se il prologo parte in ottava e la storia, fino a metà libro, ha al suo interno degli elementi di tensione notevoli (i rapporti contrastanti fra i vari personaggi, le cose non dette per motivi xyz da un personaggio a un altro, e via dicendo), da un certo punto in avanti si ha la percezione di un combustibile che è finito. E mi dispiace, perché le premesse (nonché promesse) erano davvero allettanti.

Ma andiamo con ordine: "Un medico impegnato nella ricerca sul cancro, riceve la terrbile notizia che la figlia è ammalata di una forma molto aggressiva di leucemia. E si accorge che troppi bambini e ragazzi si ammalano di rarissime malattie mortali. Sospetta che ci sia un agente contaminante e quando scopre che la locale fabbrica di plastica scarica i liquami nel fiume e nell'aria cerca di indagare e fa delle scoperte agghiaccianti".
Questa è, grossomodo, la trama. Charles, il medico ricercatore in questione, è un uomo dal carattere passionale che ha trovato nel lavoro e nella metodicità le armi per combattere l'impotenza di fronte prima alla morte della prima moglie per un linfoma, poi di fronte alla malattia della figlia, Michelle, colpita da una aggressiva forma di leucemia mieloblastica, la più mortale. Lui sta lavorando da anni a un processo di immunizzazione degli organismi rispetto alle cellule cancerogene, quando riceve l'orribile notizia. Nello stesso giorno, il direttore della struttura che lo finanzia come ricercatore lo obbliga a interrompere il suo lavoro, che lui percepiva come unica ancora di salvezza per restare lucido e avere l'illusione di esercitare il controllo su qualcosa, in favore di una ricerca alternativa su un farmaco chemioterapico altamente tossico, il Canceran, sul quale la struttura ha puntato tutta la sua credibilità. Lui non rivela questo problema lavorativo alla moglie, che quindi lo vede dall'esterno molto più nervoso del normale, con scatti d'ira che la spaventano; i medici dell'ospedale, poi, la portano con i loro timori a pensare che il marito possa essere sull'orlo di un esaurimento e la obbligano, con un ricatto psicologico e per il bene di Michelle, ad assumere la tutela della figlia alle spalle del marito, che non viene a sapere nulla della procedura legale fino a quando questa non è ormai compiuta. E poi... beh, e poi bisogna leggerlo.

Sì, perché il libro, pur con tutti i suoi difetti e la percezione di una storia che, da un certo punto in avanti, si avvita su se stessa, merita comunque una lettura. Non è adatto a tutti: ci vuole un minimo di preparazione medica per non volersi tagliare le vene durante i numerosi pezzi in cui Cook descrive minuziosamente i processi medici e immunologici, e in questo trovo una differenza, ad esempio, con "Preda" di Michael Crichton: nel suo (magnifico) romanzo le parti sulle nanotecnologie sono quasi sganciate dalla trama principale, tanto che il lettore può tranquillamente godere della storia senza approfondire troppo la sua conoscenza in merito. In poche parole, può saltare quelle parti (lo so, sto dicendo un'eresia per molti, ma capitemi) senza perdere più di tanto il filo della trama. Vero è che in "Preda" i pezzi sulla nanotecnologia sono molto più specifici e di difficile accesso per un profano rispetto a quelli di "Febbre" sulla medicina e sul cancro, ma in questo caso il lettore riuscirebbe con difficoltà a seguire la progressione della storia se decidesse di saltarle.
Quindi, ci sono delle note positive: i personaggi, le loro reazioni, la loro caratterizzazione, le tensioni che si creano fra di loro, le situazioni contestuali, lo stile di scrittura... e tutto questo pesa parecchio sul bilancio. D'altro canto, la storia da un certo punto in avanti manca di sostanza e combustibile e personalmente ho trovato difficoltà a seguirla senza saltare qualche pagina... non so se sia capitato anche a voi, sarei curiosa di scoprirlo.

Comunque, una volta finito "Febbre" ho deciso di dedicarmi a tutt'altro genere e ho iniziato "Anime gitane" della talentuosissima ma poco conosciuta Violet Trefusis, amante di Vita Sackville-West, entrambe elementi del triangolo letterario e amoroso Violet - Vita - Virginia Woolf. Dire che è splendido è dire poco: trattasi di una raccolta delle sue lettere alla donna amata, le cui risposte non sono presenti in quanto andate perse (probabilmente bruciate) per via del loro contenuto: non dimentichiamoci che stiamo parlando dell'amore fra due donne agli inizi del Novecento, periodo quantomai inadatto e violentemente repressivo rispetto a certe realtà. Il prototipo di donna era quello che Virginia Woolf, in un saggio, definì "the angel in the house", ossia una donna angelica, servizievole, senza desideri se non quello di accudire la prole e il marito, dedita alla famiglia e al focolare, disposta a ogni tipo di sacrificio: se per cena c'era un pollo, lei prendeva le zampe per sé; se in casa c'era uno spiffero, lei ci si sedeva davanti.
Capirete bene che questo prototipo mal si concilia con la passionale, focosa e bruciante di vita Violet Trefusis, una ragazza intelligente e piena di talento che trasforma in fuoco tutto ciò che scrive.

Accanto a questo testo, ho iniziato anche la lettura de "La strada di Winnie Puh" di Milne, secondo libro della saga che vede come protagonisti gli abitanti del celebre Bosco dei Cento Acri, situato geograficamente a pochi chilometri dalla casa di Milne e del suo bambino, Christopher Robin. Le storie del Bosco dei Cento Acri non sono altro che quelle che lui inventa per Christopher mentre giocano insieme ai suoi pupazzi preferiti: l'orsetto Puh, Tappo, Uffa, l'asino Isaia, Porcelletto (Pimpi nell'edizione Disney), Kanga, Roo, Tigro.
Può sembrare una storia solo per bambini, invece queste opere, tradotte in 25 lingue e pubblicate tra il 1926 e il 1928, si prestano a quella che io chiamo lettura a strati, o su livelli: il primo, che anche un bambino può capire, è quello della favola in sé, con i suoi protagonisti e le avventure che questi vivono tutti insieme. Il secondo, invece, solo un adulto potrebbe apprezzarlo e coglierlo: la patina di tristezza, di dolce nostalgia, che avvolge tutto il libro, le sue illustrazioni senza tempo e la stanca ma inesauribile mano del suo autore, padre di un bimbo che, presto, diventerà adulto e abbandonerà, come molti bambini, i suoi amici d'infanzia. E' un libro dolceamaro, di miele e di lacrime, che non può mancare nella vostra biblioteca.
Vi farò sapere più avanti le mie impressioni su entrambe le opere quando ne avrò letta una porzione più sostanziosa :-)

martedì 17 novembre 2015

Medical thriller, fantasmi e l'incubo dei piani cartesiani

Buonasera! :-) Oggi mi sono svegliata con un'emicrania pazzesca, ma nonostante ciò voglio aggiornarvi sulle ultime news... per farlo, userò la tecnica dell'elenco puntato che ammiro tanto a una pagina amica, La Leggivendola :-)
1. Sto continuando a leggere "Febbre" di Robin Cook, medical thriller ambientato al confine col New Hampshire. Non riesco a smettere di leggerlo *_* va giù che è una meraviglia! L'unico difetto che ci trovo è che per una persona completamente priva di preparazione medica può risultare a tratti un po' difficoltoso, ma sono momenti rari e, di contro, il libro presenta diversi pregi: ben scritto; dettagliato al punto giusto, senza troppi fronzoli ma nemmeno troppi tagli; personaggi vincenti, che per la puntualità e il giusto livello di introspezione contribuiscono a creare fin da subito una forte tensione l'uno verso/contro l'altro. Non ci si può fare a meno di chiedersi se appianeranno le loro divergenze, se lui dirà a lei una certa cosa, perché continua a non dirgliela, se questo confesserà a quell'altro ciò che prova... e via discorrendo. No, non è un romanzo rosa, ma ogni dinamica umana porta con sé una carica di pathos e qui, oltre al dramma principale - una dodicenne vittima della peggior forma di leucemia a causa di benzene scaricato illegalmente nelle acque da una fabbrica vicina a casa; un padre ricercatore sul cancro che assiste impotente e rabbioso al progressivo peggioramento delle condizioni della bambina e che non riesce a trovare, almeno finora, un varco nella complessa burocrazia per far causa alla fabbrica - la tensione fra i personaggi non fa altro che aggiungere salsa all'arrosto.
Un elemento curioso: il libro sembra attraversato da una costante presenza di uomini capaci, disponibili e pragmatici (ma anche spietati e cinici) e un'altra di donne quasi sempre strafottenti, isteriche e/o pessime lavoratrici, sfaticate e cafone. Poche sono le eccezioni: la madre di Michelle, forte all'occorrenza ma molto sensibile e materna (oltre che fin troppo bisognosa di amare e di essere amata), e Michelle, ostinata e coraggiosa, ma sempre tesa verso l'obiettivo di non deludere il padre. Cara Michelle, ti capisco... comunque, non penso che Cook sia un misogino: nell'unico altro suo libro che ho letto, Coma, la protagonista era una ragazza determinata, vittima proprio della misoginia e del nepotismo dei colleghi medici maschi. Più facile che sia il protagonista di questo romanzo a filtrare la realtà attraverso la sua visione del mondo, anche se lui stesso mi pare tutt'altro che detestare le donne... è una faccenda curiosa, devo dire. Mi piacerebbe sapere se qualcun altro ha riscontrato la stessa tematica in altre opere di Cook e che cosa ne pensa. 2. Ho già detto di avere un'emicrania pazzesca?

3. Ho avuto una buona idea per strutturare meglio il nuovo libro e penso sia un buon consiglio anche per chi si stia cimentando, come me, nella stesura della consecutio temporis degli eventi di un'opera: disegnare una linea del tempo su un piano cartesiano. Sulle ascisse, gli anni per esempio del PG principale, suddivisi in blocchi di 5; sulle ordinate ho riportato invece le tacche del livello di intensità dei vari eventi, che piazzo nel piano cartesiano trovando l'incrocio fra x e y. Troppo difficile? Potete anche tracciare solo la linea orizzontale con le tacche degli anni, e su quella riportare (a 3 anni, a 8 anni, a 20 anni, eccetera) gli eventi principali della storia. E' un metodo forse banale, ma molto chiarificatore e vedrete che, se siete impelagati nell'angoscia di non riuscire a focalizzare la trama, ritroverete il controllo.

4. Vi ricordate la recensione (che potete leggere qui) de "La figlia del nord" di Edith Pattou? E' da un po' che attendo che questa autrice pubblichi qualcos'altro (o che la Rizzoli editi in Italia i suoi altri scritti), così ogni tanto mi capita di andare a sbirciare su google se ci siano news in merito. Purtroppo non ho ancora trovato nuove opere in italiano della Pattou, ma ne ho scovata una in inglese, "Ghosting", che potete leggere in ebook per intero e gratuitamente su Amazon o sul vostro smartphone. Si tratta di una serie di componimenti, secondo me ispirati alla forma a metà fra prosa, poesia e discorso indiretto espressa magistralmente da T. S. Eliot, sul tema dei fantasmi... ma non, come si potrebbe pensare, quelli col lenzuolo bianco e due tagli per gli occhi, e nemmeno quelli che infestano case stregate. Forse più avanti troverò anche riferimenti a questo tipo di entità, sono appena all'inizio, ma per ora i fantasmi della Pattou sono quelli che infestano le stanze dell'anima: spettri della memoria e dell'infanzia, quindi, ma anche di antiche emozioni svanite nella sabbia del tempo. Bello, di facile comprensione, con strofe brevi e chiare, anche se in inglese. Questa la trama: "On a hot summer night in a midwestern town, a high school teenage prank goes horrifically awry. Alcohol, guns, and a dare. Within minutes, as events collide, innocents becomes victims—with tragic outcomes altering lives forever, a grisly and unfortunate scenario all too familiar from current real-life headlines. But victims can also become survivors, and as we come to know each character through his/her own distinctive voice and their interactions with one another, we see how, despite pain and guilt, they can reach out to one another, find a new equilibrium, and survive. Told through multiple points of view in naturalistic free verse and stream of consciousness, this is an unforgettable, haunting tale."

giovedì 12 novembre 2015

Narrativa di genere e narrativa letteraria, ossia: breve storia di come giunsi di fronte alla libreria e mi persi in disquisizioni

  
Buongiorno! :D
Negli ultimi giorni vagavo senza una meta fra gli scaffali in camera mia e quelli in sala, insoddisfatta da tutti i titoli che leggevo. Passavo il dito su una costa, prelevavo un volume, leggiucchiavo qualche pagina e... meh. Nulla che mi convincesse.
Poi, mi sono ricordata che negli ultimi mesi avevo letto quasi solo libri che mi servivano per la documentazione per il mio nuovo romanzo; forse, meritavo un po' di vacanza.
Ecco come sono approdata al mio reparto preferito, quello che tengo più vicino al letto, con i libri come tanti amuleti contro gli incubi: fantascienza e thriller. Lo so, molti ritengono la letteratura di genere alla stregua di un Mc Donald's per la mente, ma io non sono d'accordo: la letteratura di genere è troppo spesso sottovalutata (e sopravvalutata da altri, di contro). Parecchi la ritengono niente più di una versione impoverita della "letteratura vera" o "alta", quella narrativa letteraria che è la massima aspirazione per un apprendista scrittore. Se questa è ritenuta di grande valore artistico e culturale, quella di genere è, secondo molti, una letteratura sensazionalistica, adatta ai gusti un po' rozzi delle masse. Henry James stesso, precursore della regola aurea di ogni scrittore ("Show, don't tell", ossia "Mostra, non dirlo esplicitamente") definì la letteratura di questo tipo, e soprattutto la cattiva letteratura, come "una brodaglia informe".

Troppi tecnicismi?

Semplificando brutalmente la faccenda, la narrativa letteraria è rappresentata da quel genere di libro che non sapreste definire in nessun altro modo: è un giallo? Un thriller? Un libro di fantascienza? Un poliziesco? Un fantasy? Un horror? Un romanzo rosa? Un romanzo storico? Un western? Se la risposta è no a tutte queste domande, probabilmente siete di fronte a un romanzo di narrativa letteraria. O a una lista della spesa, ma sono i rischi del mestiere.


Qualche esempio spicciolo?

Il signore degli anelli, Tolkien -> fantasy/avventura.
2001 odissea nello spazio, Clarke -> fantascienza.
Cime tempestose, Bronte -> narrativa letteraria (ma con una bella nota densa di romanzo storico).
IT, King -> horror.
Dieci piccoli indiani, Christie -> giallo.
Furore, Steinbeck -> narrativa letteraria (e romanzo storico allo stesso tempo).
Harry Potter, Rowling -> fantasy/fantastico.
La signora Dalloway, Woolf -> narrativa letteraria.

Queste ovviamente sono solo semplificazioni estreme (alcune delle quali non le condivido nemmeno troppo), ma come avrete notato ho inserito alcuni titoli pesanti nella lista per farvi capire che la letteratura di genere non solo può essere innovativa, ma anche ispirare intere generazioni e, addirittura, cambiare il mondo.

Il romanzo di narrativa letteraria comprende più generi e/o è trasversale fra vari generi. Naturalmente anche nei romanzi di genere si toccano vari argomenti, ma la spina dorsale del libro è in questo caso ascrivibile a un solo genere letterario.
Prendiamo l'esempio della saga de "La torre nera" di S. King: è principalmente un romanzo d'avventura e fantastico, ma ci sono forti elementi di fantascienza, d'amore, western, horror, thriller... in questo caso è difficile comprendere quale sia il vero genere, se c'è, di appartenenza.

Questa è la lezioncina, perlomeno. Ora vi dico quello che penso io: personalmente ritengo che la narrativa di genere sia un ottimo vivaio di sperimentazione di stili, neologismi e approcci innovativi che poi trovano applicazione in ogni ambito della narrativa. Io stessa, con il mio primo romanzo, vicino al romanzo storico e ascrivibile secondo il direttore editoriale di Neri Pozza Giuseppe Russo alla narrativa letteraria (gli sono sinceramente grata per questa valutazione), ho cercato di adottare uno stile diverso da quello che ci si aspetterebbe in un libro di questo tipo: uno stile di scrittura teso, onirico, ritmato, tipicamente thriller, che ho affinato (con ampi margini di miglioramento) grazie ad anni di letture di genere: King, Matheson, Clarke, Brown, Asimov, Dick, Koontz, Bradbury, Tevis.

Ciò che a me non piace è quando uno scrittore si imprigiona da solo in un certo stile, quando si dice "beh, voglio scrivere un romanzo storico, quindi devo impegnarmi a buttarlo giù in maniera verbosa e dettagliata" oppure "voglio scrivere di fantascienza, quindi sarà meglio infilarci qualche astronave". Ci sono ottimi libri di fantascienza dove non c'è traccia di astronavi e robot e ci sono pessimi romanzi storici che nessuno riuscirebbe a leggere per quanto sono pesanti. So che molti non saranno d'accordo con me, ma io penso che l'abitudine sia l'unico limite. Se si è sempre fatto in un modo, non è detto che quello sia il modo giusto per farlo... né che quello sia l'unico modo possibile.
Sperimentate. Osate. Divertitevi. Non seguite la ricetta, buttate la cucina all'aria, immergete le mani nell'impasto, sporcatevi di marmellata fino alle orecchie. Godete, Cristo santo.

Poi, è chiaro, nemmeno io apprezzo quella letteratura da edicola che funziona solo in base alle regole del marketing e dell'impoverimento della cultura e dei sentimenti umani: non è la letteratura che dovrebbe impoverirsi per venire incontro a persone sempre più analfabete, alle quali interessa solo dare sfogo a un bisogno di erotismo, romanticismo spicciolo e stantio e che, leggendo, cercano, più che emozioni, una fibrillazione che dia loro una scossa dalla quotidianità.
Quel che è certo è che la letteratura di genere ha avvicinato le masse, più o meno alfabetizzate, alla lettura, almeno quanto, in passato, l'invenzione dei caratteri di stampa e della pressa ha dato modo al popolo di entrare sempre più facilmente in possesso di quelli che, prima, erano libri rarissimi, talvolta pezzi unici scritti a mano o presenti solo in poche copie presso le case degli aristocratici, dei governanti e dei prelati. Ed è dal popolo che vengono le rivoluzioni, anche quelle letterarie. Recenti studi hanno dimostrato un'inversione di tendenza rispetto agli anni scorsi: si legge di più, specialmente i giovani, e si leggono più cartacei rispetto agli ebook digitali. Qualcosa sta cambiando e, per una volta, in meglio.

Tornando a me, con la mano tesa di fronte al mio reparto preferito della libreria: ho scelto Robin Cook, medico statunitense e scrittore di medical thriller molto apprezzati. Titolo: "Febbre". Il prologo è uno dei più accattivanti che abbia mai letto e già mi sento una fallita *sbatte la testa contro la scrivania* maaaaaaa... è bellissimo. Per ora, almeno: ho letto solo una trentina di pagine.
Vi consiglio di dargli una possibilità e, se vi va, di dare un'occhiata anche a una mia vecchia recensione di un altro suo libro, dal quale è stato tratto anche un film: Coma (sul blog: http://perasperaadastra19.blogspot.it/2013/07/robin-cook-coma.html).
E voi? Cosa state leggendo al momento? :)

sabato 7 novembre 2015

"E' meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente."

*EDIT* Specifico che questo post è solo una breve nota commossa per un biglietto che non avevo letto prima di stamattina, non sono un'esperta di Cobain, non sono un'esperta dei Nirvana, non sono un'esperta di musica e sono consapevole che S. Pietro mi chiuderà le porte del Paradiso per questo post, ma va bene così: il caldo scioglierà un po' le mie contratture. Se il post, per la sua semplicità che alcuni di voi potrebbero trovare fastidiosa o addirittura intollerabile, vi offende o urta la vostra sensibilità, vi chiedo scusa e me ne spiaccio. Non sono perfetta, non so tutto e soprattutto non volevo infastidire nessuno. Se non vi piace ciò che scrivo, esiste sempre il tastino con la x: meno fastidio per voi, meno anche per me :) grazie! 
Ah, vi avviso che ho anche dovuto modificare in pochi passaggi il post originale per specificare al meglio ogni singola virgola, dato che parlando di Cobain mi sono attirata più nemici (sia fra i commenti approvati che fra quelli che non lo sono stati per la loro inadeguatezza: trovate un lungo post sulla mia pagina FB in merito), analisi psicologiche aggratis e insulti che se avessi detto che stupro i gattini. Pace a tutti.

Buongiorno a tutti!
E' qualche giorno che manco, e mi dispiace un sacco, ma purtroppo gli orari di lavoro di questa settimana sono stati devastanti e io non sono riuscita nemmeno ad accendere il PC. Oggi mi sentivo malinconica (strano) e così, senza una ragione precisa, mi sono messa su qualche canzone dei Nirvana, gruppo che non ho mai approfondito ma che mi ha sempre incuriosita. La buona notizia è che mi stanno piacendo tantissimo. Sono rimasta però molto colpita da loro e dal significato di alcune delle loro canzoni, tanto che mi sono messa a cercare più informazioni su di loro e sul celebre suicidio della loro ancora più celebre voce, Kurt Cobain. E così, ho trovato questa. Prendetevi cinque minuti per leggerla, per favore. Ci tengo.


E' la lettera di addio che ha scritto Cobain prima di suicidarsi. Non l'avevo mai letta né approfondito questo "personaggio", questo ragazzo che è morto a 27 anni, uno in meno di me. 27 anni, l'età dei miei migliori amici. Mentre noi (io e i miei amici, specifico) ci struggiamo e disperiamo per lo schiacciante vuoto che sentiamo in agguato appena oltre il cerchio luminoso delle nostre vite; mentre noi facciamo colazione insieme, riuscendo alla fine a ridere e trovare conforto l'uno dall'altra; mentre noi giochiamo a Dixit e mangiamo crostata ai frutti di bosco, lui, un ragazzo di 27 anni, scrive questo biglietto. E la cosa più terribile è che capisco perfettamente quello che sta dicendo in alcune frasi. Ed è spaventoso, anche se non ho nessuna intenzione suicida. Ma so che anche il mio migliore amico lo capisce, forse più di quanto vorrebbe capirlo.
Mi sento terribilmente dispiaciuta per questo piccolo uomo (nel senso di ragazzo, ndr) terrorizzato, questo bambino vulnerabile che non è stato protetto abbastanza e non è riuscito a trovare dentro di sé, né all'esterno, qualcosa per cui lottare. Piango per un'anima affine che, per citare la lettera, ha preferito bruciare che spegnersi lentamente.


« Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po' vissuto che preferirebbe essere uno snervante bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, intendo dire, l'etica dell'indipendenza e di abbracciare la vostra comunità si sono rivelati esatti. Io non provo più emozioni nell'ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio, quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l'ho sempre invidiato per questo, ma per me non è così. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo (e l'apprezzo, Dio mi sia testimone che l'apprezzo, ma non è abbastanza).
Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po' stordito per ritrovare l'entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fan della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l'empatia che ho per tutti. C'è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile, ingrato, Pesci, dell'uomo Gesù! Perché non ti diverti e basta? Non lo so. Ho una moglie divina che trasuda ambizione ed empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e gioia.
Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportar
e l'idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me. Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall'età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.
Pace, amore, empatia. Kurt Cobain.
Frances e Courtney, io sarò al vostro altare.
Ti prego Courtney continua così, per Frances.
Perché la sua vita sarà molto più felice senza di me.
VI AMO. VI AMO. »

domenica 1 novembre 2015

Follie e acquisti librosi al Lucca Comics & Games 2015!

Ordunque!
Buongiorno, miei preziosi, adorati lettori (come ingraziarsi la gente su internet: capitolo 1 del volume per principianti maldestri)! Come state? La famiglia? Il gatto?
Bando alle ciance, parliamo dell'unico, vero motivo di gaudio degli ultimi anni mesi giorni: IL LUCCA COMICS & GAMES! YAAAAAAAAH!

Ehm. Mi ricompongo.
Naturalmente è un appuntamento per me imprescindibile, intorno al quale costruisco tutto il mio anno (sì, se mai accadrà che io mi sposi - probabilmente con Aidan, il mio gatto, che vedo lì lì per dichiararsi nelle ultime settimane - pianificherò accuratamente le nozze e il viaggio affinché non cadano nemmeno lontanamente nel periodo magico del Lucca Comics). Fumetti, gadget, videogiochi, DVD, pupazzi, action figures, giochi di ruolo, combattimenti, padiglioni tematici, cosplayers, artigiani dell'homemade... al Lucca Comics si può trovare tutto ciò che concerne questi argomenti, compreso anche un gustosissimo padiglione (il Mangiappone) dove poter mangiare piatti tipici giapponesi, come le eccezionali polpette di polpo, altresì dette "takoyaki".
Ah, il Lucca Comics! Croce e delizia del mio portafoglio!
In genere dura 4 giorni, infatti anche quest'anno è andata così, e altrettanto in genere io vado un paio di giorni insieme alla mia migliore amica: il primo, possibilmente il giorno d'apertura, per comprare come se non ci fosse un domani e visitare i padiglioni più grandi e distanti dal centro (ad esempio la Japan Town, lontana un venti minuti se non di più a piedi dal padiglione Games, che è il primo che incontrate fuori dalle mura); il secondo, in genere venerdì o sabato, per visitare davvero Lucca, godersi l'imprevisto, perfino la coda che si può trovare a qualche stand (l'anno scorso era invivibile, quest'anno l'organizzazione l'ho trovata ottima, unica pecca un po' di attesa con polizia annessa in stazione per tornare a casa, ma alla fine della fiera con un po' di astuzia e pazienza sono arrivata a casa solo con una decina di minuti di ritardo), incontrare gli autori di libri e fumetti, chiedere autografi e fotografare i cosplayer, ossia quelle sante persone che decidono di travestirsi da un personaggio del mondo dei videogiochi, dei libri, dei film, dei telefilm e via discorrendo. Passeggiare per Lucca, specialmente sopra le mura, diventa così una sorpresa a ogni angolo, un continuo fotografare e fotografarsi insieme ai propri personaggi preferiti, in un mondo fantastico e perfetto che torna solo una volta all'anno *lacrimuccia*.

                


Ma questo è un blog di scrittura e lettura, nevvero?
Quindi, tralasciamo per un attimo i gadget e i sentimentalismi per concentrarci sugli acquisti librosi che ho fatto; trattasi di tre libri a fumetti (attenzione: non manga, non sono "fumettati alla giapponese" bensì illustrati e/o inchiostrati con stile e metodo di lettura all'occidentale).

Parto dal primo che ho acquistato, nonché ultimo sulla destra nella foto: "Il porto proibito", Bao, di Teresa Radice e Stefano Turconi, coppia di sposini dal talento e dalla simpatia travolgenti che ho avuto il piacere di incontrare e conoscere durante la sessione autografi/sketch per i fan/stalkeraggio violento.
Il libro in questione mi è stato suggerito con possanza, come direbbe una mia cara amica, da Maura, la mia best friend nonché grande lettrice, dopo che mi sono appassionata a un'altra opera del duo Turconi-Radice, ossia "Pippo reporter".

Sorridete?
E fate male.

Punto primo, perché gli adulti che non leggono Topolino sono perdonabili, ma quelli che ritengono che leggerlo sia una stupidaggine no; punto secondo, perché Pippo reporter non è "il classico Topolino", che alcuni ritengono per bambini (non sono d'accordo: lì io ritrovo a fine giornata un mondo incontaminato e fantasioso dove le macchine del tempo esistono, i paperi vivono straordinarie avventure e anche il peggior criminale non andrà mai oltre un pugno ben assestato al suo acerrimo nemico).
Pippo reporter è una raccolta di episodi vissuti in prima persona dal mitico Pippo, dinoccolato e ingenuo reporter per un giornale senza scrupoli, ambientato nell'America degli anni '30. Non solo il sapore di queste storie è profondo, intenso e "da adulti", ma il lavoro di ricerca che c'è alle spalle le rende piccole perle ricche di poesie e citazioni da opere teatrali, pur mantenendo la loro identità di inno alla semplicità di un animo nobile e puro come quello di Pippo, per il quale tutto è magia e motivo di sdrammatizzazione.
Ma, tornando a noi: "Il porto proibito" parla di "Abel, giovane naufrago senza memoria restituito dal mare perché sveli un mistero che il mare ha inghiottito". Beh, bello, intrigante, per non parlare dei disegni, di qualità sopraffina. Interessante la scelta di mantenerli in bianco e nero. Ve ne lascio qualche striscia e mi riserverò di commentare l'opera, invero molto ricca di personaggi indimenticabili, quando avrò finito di leggerla:

                       

   

     

Ed ecco il favoloso sketch personalizzato con gli autografi dei due autori *___* stavo per svenire, anche perché in questi casi le due opzioni sono: A) il mutismo totale e B) il fare commenti diarroici del tutto inopportuni.
Ho optato per un sobrio mutismo ascrivibile all'emozione, ma un paio di frasucce sono riuscita a spiccicarle XD



Il mio secondo acquisto è stato il lugubre e inquietante "Pandemonium", Mondadori, di Stefano Raffaele, che a essere sincera non avevo ancora conosciuto. Vi lascio un po' di foto, così da mostrarvi sia la tematica trattata dal libro (qui siamo più nel territorio del fumetto a strisce in stile americano), sia il fantastico disegno che anche Raffaele ha realizzato per me nel giro di pochi minuti: una bravura indescrivibile, era un incanto starlo a guardare! Bellissima anche la sua scelta di disegnare con la penna bianca su una delle pagine nere all'inizio del libro, molto d'effetto *_*
Tra l'altro, questo stile di disegno è molto più realistico rispetto a quello de "Il porto proibito", che bene o male, pur realistico, rimane fumettato; adoro entrambi, ma devo ammettere di avere un debole per il disegno realistico, come se fosse un film da guardare invece che un libro da sfogliare.
                          


L'ultimo acquisto (e ne avrei comprati molti di più di questi libri, ma ahimé, i risparmi son quelli che sono) è stato "Echi invisibili", Tunué, della bravissima Grazia La padula e l'immenso Tony Sandoval, già autore di decine di libri a fumetti conosciuti a livello mondiale. Era uno spettacolo vederlo disegnare, non solo per la leggerezza con cui teneva la matita (io, per quanto bravina nel disegno e nel colorare, in genere sembro più un'ammazzavampiri che abbia scambiato la matita per un paletto di frassino) ma soprattutto perché sorrideva con una dolcezza inaudita mentre disegnava, così, con semplicità, leggerezza e trasporto allo stesso tempo; addirittura chiacchierava con qualche fan senza nemmeno guardare quello che stava facendo, eppure le opere nascevano dalla punta della sua matita come fiori sbocciati in un campo, così, per magia.
Incantevole. 
Non da meno la fantastica Grazia La padula, che in pochi minuti mi ha non solo disegnato, ma anche inchiostrato con un pennellino, qualche acquarello e un po' d'acqua un disegno per il quale io impiegherei trentordici milioni di anni solo per tratteggiarlo ed essere soddisfatta del risultato. Giudicate voi:




Detto questo, vi lascio un po' di fotine non solo sulla trama ma anche sui disegni di questi autori, uno stile inusuale, una via di mezzo fra realismo e fumetto che mi ha a dir poco stregata:





Ed ecco finita la carrellata Lucca Comics di quest'anno :D e voi? Cos'avete comprato? Fatemi sapere, sono curiosissima!