domenica 31 gennaio 2016

Per il ciclo recensioni librose: "Le strade delle montagne" di Mary Austin

Ri-buonday e felice domenica a todos *_*
Mentre io mi gusto il pranzetto che io e i miei genitori abbiamo preparato per il mio compleanno - e anche una robusta dose di antiacidi *burp* - il mio pensiero va a voi e quanto mi piacerebbe festeggiare tutto ciò con un altro GIVEAWAY.
Ebbene sì. Giveaway. Libri. Felicità.
Non lo indico oggi, no. Almeno, non credo. Non si sa mai. Ma stavo pensando di farlo e, soprattutto, stavo valutando quali libri mettere in palio. In genere preferisco optare per titoli che già conosco e che mi sento di consigliare, ma per citare Paper Moon, "siccome sono generosa, non milionaria", dovrò valutare cosa scegliere. Mumble. Dubbio. Perplessità.

A parte questo, vi volevo parlare di un libricino piccino picciò che ho finito di leggere da poco: trattasi di "Le strade delle montagne" di Mary Austin, edito per la prima volta nel 1903, di cui abbiamo chiacchierato insieme nei miei ultimi post sul blog. Voi direte: beh, piccino picciò davvero, avrà sì e no 60 pagine! Vero, vero. Devo ammettere che ultimamente sto concentrando le mie energie su letture non troppo pesanti o impegnative, non so nemmeno io perché. Ansia? Periodo sfavato per la lettura? Chissà.
In mia difesa posso dire che questo libro l'ho letto contemporaneamente al primo volume della trilogia dedicata a "Wayward Pines", che sto ancora leggendo, perciò posso ritenermi parzialmente scagionata.

Trattasi di un breve trattato - anzi, lo definirei più un mini saggio descrittivo - firmato dalla penna di una autrice che, nata nel 1868, conosceva più di chiunque altro il deserto californiano. Vi viene in mente Thoreau? Bravi, bravi. Anche a me veniva in mente, e non solo lui: anime solitarie e camminatrici come Borroughs e Muir, ma anche i più recenti McCandless e Krakauer, per non parlare di Jack London... tutti scrittori che hanno parlato dei sentieri e della natura selvaggia, alcuni vivendola intensamente; altri, morendoci. Quello della Austin, però, è un punto di vista diverso da quello degli altri autori sopra citati: per questi, chi più chi meno, camminare acquisiva le connotazioni della fuga, della repulsione per le norme sociali, il denaro, le carriere politiche e lavorative, oppure di riscoperta dei veri valori intrinsechi alla natura umana, strettamente connessi alla natura selvaggia e alla sua riscoperta attraverso il libero vagabondaggio, il passeggiare per il gusto stesso di sentire il sangue scorrere, lo scricchiolio della ghiaia sotto le suole, il peso dello zaino sulle spalle, il bruciante falò notturno su cui cuocere un pezzo di carne procacciata con le proprie mani.


La Austin, invece, guarda con occhio squisitamente femminile il panorama del deserto californiano: non a caso, i tre racconti presenti in questa breve raccolta parlano uno dei corsi d'acqua, dei ghiacciai, dei laghi delle montagne; un altro dei sentieri di montagna, aspri e rocciosi, e della fauna e flora che li popolano; il terzo, della furia degli elementi nel deserto come in collina, delle persone che abitano questi luoghi e di come essi affrontano le tempeste, siano essi di fulmini o di sabbia.
Bellino, devo dire. Per i miei gusti forse è un po' troppo descrittivo, femminile e ottocentesco, ma in fondo era l'intento dell'autrice quello di offrire ai lettori lo sguardo di una donna sulla natura e sulle meraviglie che essa può offrire. Personalmente apprezzo di più uno stile secco, non necessariamente asciutto ma dove i singoli elementi di rilievo appaiono come pennellate gialle su uno sfondo nero: impossibili da negare. C'è differenza fra dire, per fare un esempio del piffero: "La collina era ricoperta di arbusti verdi e ogni filo d'erba era luminoso nella luce del sole; il sole stesso era caldo, luccicante, e le ghiandaie trillavano sugli alberi, i pettirossi cinguettavano, le talpe scavavano le loro tane sotto le margherite, i nasturzi, le piante di soia tenere e verde chiaro, con le foglie più scure sulle punte. Alberi grandi e altissimi spandevano la loro ombra sull'erba, coprendo alla vista a tratti un cielo di un bellissimo azzurro, con l'aria tiepida e solenne e piena del ronzio delle api. Tra l'erba scorrevano ruscelli limpidi e chiari e il sole faceva luccicare le goccioline d'acqua che..." e dire: "Su per la collina l'erba ondeggiava come i capelli di una donna pettinati dal vento. Piccoli fermagli di luce scintillavano dove il sole colpiva una pozzanghera ornata di fiori. Luce, verde e azzurro, a perdita d'occhio. in alto, un sole tiepido scaldava l'aria colma del ronzio delle api, intente a solleticare le margherite con i piedini gialli di polline."

Per dire. Sono le prime frasi del cappero che mi sono saltate alle dita, inventate lì per lì, e forse non rendono troppo l'idea perché entrambe sono descrittive, ma io preferisco la seconda, ecco. Più stringata, più ricordabile, poche immagini evocative, stop.
Però so che molti preferiscono immergersi e lasciarsi avvolgere da lunghe descrizioni di ambienti esterni: per voi, questo libricino è l'ideale. Cinquanta pagine di descrizioni e poco altro.
Lo so, a leggermi sembra che non mi sia piaciuto, ma non è male, davvero XD son gusti, ecco.
Molto bello, invece, il saggio introduttivo: scritto da Lucia Cardone, che non conoscevo, mette in relazione le descrizioni della Austin con il filone della narrativa ricca di descrizioni di esterni dell'epoca. Da Jane Austen e Emily Dickinson alla più recente Virginia Woolf, questo breve saggio sottolinea i tratti caratteristici della letteratura fatta da donne che riscoprivano il loro spazio interiore, quella "stanza tutta per sé", di aria e erba invece che di pareti, che la Woolf descrisse così bene nel suo omonimo saggio. Grazie alla Cardone ho scoperto che è stata proprio Jane Austen a inventare la "passeggiata letteraria", in cui le donne protagoniste dei suoi romanzi potevano sfogare i loro pensieri, interrogarsi, esprimere i loro tormenti interiori e, allontanandosi dal focolare, proporre in senso più ampio a tutte le donne dell'epoca un'idea rivoluzionaria di libertà della donna.
Lo posso dire?
Questo saggio è stata la parte più bella del libro, per i miei gusti.
Complessivamente, mi sento di dare comunque una valutazione positiva a questi racconti e sicuramente li consiglio a lettrici e lettori appassionati del genere :)

venerdì 29 gennaio 2016

Per il ciclo recensioni librose: sesso, libri e "Delirium"

Io non sono tipo da andare a letto con un libro al primo appuntamento.
Prima, mi piace passarci un po' di tempo insieme, ammirarlo sullo scaffale, annusarlo, chiudere gli occhi e ascoltare lo strofinio delle pagine fra le dita, la loro ruvidezza, la loro porosità. Magari posso fermarmi a chiacchierare con lui, qualche volta: mi siedo sul letto, lo sfilo dallo scaffale e gli accarezzo la copertina. E se, sfogliandolo, ci troviamo bene insieme, magari posso concedergli un bacio leggero sulla costa, prima di riporlo e aspettare il momento giusto. Quello in cui sarò pronta per concedermi a lui. Quello in cui lui sarà pronto a sfilarsi la sovracopertina per me.

Ci sono anche le eccezioni, naturalmente: "La strada" di McCarthy è stata una di queste. L'ho comprato su consiglio di un'amica, l'ho portato a casa e, dopo una cenetta a lume di candela, siamo finiti tra le coperte insieme. Lo stesso è stato per "Carrie" di Stephen King, e pochi altri... davvero pochi, lo giuro. Come dicevo, non sono un tipo da andare a letto con un libro al primo appuntamento.
Dopo "La strada", comunque, mi ero ripromessa di non farlo più. Ci siamo lasciati dopo tre lunghe notti di passione, con la promessa di non vederci per un po'... senza riuscirci troppo bene: ancora oggi la nostra relazione si trascina avanti, fra carezze e riletture dei passi più significativi. Lui è qui anche adesso, sulla scrivania, col la cravatta rosso a fare da segnalibro. Mi guarda e io gli strizzo l'occhio.
Sa benissimo che sul mio comodino c'è un harem che mi attende: due o tre libri di letteratura per l'infanzia, un paio di thriller, un drammatico (uno basta e avanza), due o tre romanzi di fantascienza, qualche numero di Topolino. E ci avrei appoggiato anche "Delirium" di Ivo Gazzarrini, edito da Dunwich, ma quando questo scrittore mi ha contattata via e-mail per propormi la lettura del suo racconto mi ha inviato solo la versione ebook. Pensavo che sarebbe stato un trauma, invece me la sono cavata bene anche con la lettura a terminale. L'ho buttato giù in un sol colpo, come uno short di vodka alla pesca. Solo che "Delirium" non sa esattamente di pesca. Ha più il sapore della sabbia del deserto, della paura e del sangue.

Di cosa si tratta?
"Delirium" è un racconto lungo di genere horror in cui una ragazza orfana, Luce, si rende conto che, mentre dipinge, non è completamente in sé e che i soggetti che rappresenta in alcuni quadri sembrano vivere di vita propria, una vita di sangue e denti affilati. Si tratta di soggetti inquietanti, come una donna-falena che di punto in bianco lascia il dipinto, nel quale rimane solo lo sfondo nero, per inseguire Luce, in un susseguirsi di omicidi sempre più brutali e inspiegabili. Accanto a lei c'è Rita, una stupenda e indipendente cantante bionda con la quale Luce intreccia una relazione omosessuale alle spalle della sua precedente compagna, Mary, una ragazza davvero innamorata di Luce che dipende da lei e dalla propria macchina fotografica. Le tre, accomunate da un confuso e graffiante senso di amore-repulsione l'una nei confronti dell'altra, si ritrovano stipate in un'auto lanciata in un deserto senza nome alla ricerca della verità sui genitori biologici di Luce, ma anche in fuga dalla donna-falena che, ovunque loro si fermino, popola i loro sogni di incubi compromettendo sempre di più la loro lucidità mentale. Fino a quando...

Stop. Non posso dirvi di più.
Perché questo libro va letto, punto. Perché non riuscirete a fermarvi. Perché è scritto da dieci, pur con qualche minuscola variazione personale che apporterei. Roba da niente, in ogni caso. E' stupendo. Magnifico. Sangue, morte, cannibalismo, facoltà mentali che si deteriorano... il paradiso, per quel che mi riguarda. Ulteriori note positive: è breve (cioè, io avrei letto altre trecento pagine dello stesso tenore, ma magari per chi vuole provarlo la brevità è un punto a favore) e l'ebook su Amazon, che potete trovare cliccando sul link che vi ho messo sopra in corrispondenza del titolo del racconto, è gratuito.
Una cosa che mi ha colpita è che questo racconto, le cui caratteristiche più peculiari non posso elencarvi per non rivelarvi il colpo di scena finale, è molto simile non solo a uno che ho iniziato a scrivere io stessa non più tardi di un paio di mesi fa, ma, per certi versi, anche al mio manoscritto attuale. Distorsioni mentali e deserto sono due ingredienti ricorrenti. Sarà interessante vedere se riuscirò a svolgerli bene quanto Ivo, ma in fondo non è una gara: ciò che conta è che ognuno esprima se stesso e, se ci riesce, che lo faccia nel modo più accattivante e genuino possibile.

giovedì 28 gennaio 2016

Gocce d'inchiostro #10: Austin, Austen e le strade delle montagne

Buon pomeriggio :D
Vi aggiorno sulle ultime novità:

1. Ho di nuovo l'influenza. Sigh.
Pertanto, sto usufruendo del tempo extra concessomi fra uno starnuto e l'altro per andare avanti con la stesura del mio secondo manoscritto e con la lettura di "Le strade delle montagne" di Mary Austin, libricino piccino picciò sui paesaggi naturali degli USA. Piccino, sì, ma ricco di meraviglie.
Cioè, meraviglie: lo stile descrittivo della Austin è fin troppo femminile, pieno di dettagli poetici e leggiadrie varie, per i miei gusti, ma devo dire che vi sono alcune annotazioni interessanti. Una di esse parla del Grand Canyon, della sua imponenza e magnificenza, e fin qui tutto normale; poi però la Austin si allaccia a una riflessione sugli umili fiori e le erbacce che da sempre portano avanti le loro esistenze sul ciglio del Canyon, sul fatto che sono immersi nella polvere e nella fatica ogni giorno, eppure proprio per questo ancora più belli, come se la loro resilienza e il contrasto col panorama mastodontico del canyon concorressero a nobilitarli. Mi ricorda un po' il discorso che voglio fare io col mio secondo manoscritto, ma per ora non vi dico di più. Eh no, eh no. Ma il saggio introduttivo al libro è davvero notevole. Come un ago e un filo che cuciono insieme stoffe diverse - richiami a Jane Austen, a Virginia Woolf, alle donne che camminano e che nello spazio esterno hanno trovato la dimensione ideale per esprimere i loro tormenti e le loro speranze. Bello davvero.


2. Un'altra cosa di cui non posso ancora parlarvi è un progettuccio a cui stavo pensando negli ultimi giorni. Una cosa carina - forse non proprio originalissima, ma entusiasmante per la sottoscritta. Ci sarà da lavorarci parecchio, ma in futuro, magari, riuscirò a metterla in pratica. Per ora vi dico solo che la mia conferenza su come si scrive un romanzo (ve ne avevo parlato qualche settimana fa sul blog) dovrebbe tenersi in primavera presso la biblioteca del mio paese. Forse parteciperà anche una celebre scrittrice e poetessa delle mie zone, ma per ora non posso rivelare di più. Ansia? Giubilo? Ommioddioprendimiprimadimarzoeponifinealmiotormento? Chissà.

3. Sto portando avanti la lettura di "Wayward Pines", trilogia molto sugosa dalla quale è stata tratta anche la serie TV omonima - serie che mi ha entusiasmata alquanto e che, per fortuna, la Fox ha deciso di promuovere con un sequel che dovrebbe uscire quest'anno. Sono solo 10 puntate, guardatele. Cagherete mattoni dall'ansia, ne vale la pena.
Così come vale la pena guardare la serie TV, vi consiglio anche di leggere la trilogia, molto ben fatta e con un ritmo incalzante che difficilmente vi permetterà di posare il libro sul comodino dopo poche righe.
Non so ancora se intercalerò questa trilogia con la lettura di altri romanzi (penso di sì); per ora mi godo la storia di Ethan Burke, che si risveglia in una cittadina stranissima dove tutti sembrano indottrinati da qualche setta ignota, il rumore dei grilli proviene da registratori nascosti tra l'erba e i soldi sono tutti falsi.
Cagare mattoni, si diceva?
Oh, sì. 

P.S.: lo so, devo ancora scrivere il post sugli incontri recenti con il Club dei lettori della mia biblioteca e anche la recensione di "Delirium" di Ivo Gazzarrini, ma ho la febbre e al momento la cosa più bella che riesco a scrivere è l'insieme di deliri che compone questo post. Fate vobis. XD

sabato 23 gennaio 2016

Gocce d'inchiostro #9: un condominio, la perdita della maschera sociale e l'angelo sterminatore

Vi aggiorno con le ultime news, fresche fresche di Toscana:

1. Ebbene sì: anche a Pisa sono riuscita a uscire vincitrice (e alleggerita, ma non di molto, per fortuna, dato che su questo titolo c'era il 25% di sconto) dalla Feltrinelli *_*

Trattasi di un libro che volevo comprare da un mucchio, d'ispirazione surrealista come la maggior parte delle opere di Ballard. In quest'opera, "Il condominio", una serie di blackout elettrici sancisce la fine, in un grattacielo di 40 piani e 1000 appartamenti, di ogni parvenza di società civile: i piani più in basso diventano quelli destinati alle classi inferiori e, in una spirale violenta e grottesca di progressiva perdita della maschera sociale come in un fosco film di Bunuel, i protagonisti perderanno via via ogni tratto umano per discendere nel gorgo dell'abbrutimento totale, della ferocia e dell'assassinio, facendo riavverare la profezia del ritorno alla natura selvaggia e brutale dell'uomo in condizioni di mancanza di civiltà de "Il signore delle mosche" di Golding, opposta al mito del "buon selvaggio" di Rousseau. Questi, infatti, affermava che l'essere umano fosse buono prima che la civiltà lo contaminasse. Bella idea, Jean-Jacques, ma io la penso più come Golding, Takami e Collins, solo per citare alcuni autori di opere come il già citato "Il signore delle mosche", "Battle Royale" e "Hunger games". Che poi, questi libri non rappresentano altro che l'eterna rivalità fra Rousseau e Hobbes, filosofi dello stato di natura - per Rousseau, nell'insegna della pace, per Hobbes in quella della guerra - antitetici per eccellenzza, il secondo dei quali ha coniato il famoso detto "homo homini lupus", ossia, grossomodo, "l'uomo è un lupo (cioè un predatore vorace) di altri uomini".

2. La mostra su Lautrec: non potevo non parlarvene! La trovate a Palazzo Blu, in quel di Pisa, ancora per poco - fino al 14 febbraio, mi pare - e devo dire che, tutto sommato, se siete appassionati del genere vi consiglio di visitarla: l'esposizione è interessante, le audioguide abbastanza ben realizzate, ma ci sono anche dei lati negativi. La sequenza delle opere è male organizzata, ad esempio: non solo le segnaletica per comprendere la sequenza in cui vanno visitate le varie sale è insufficiente, ma in più di un'occasione vi ritroverete a vagare con la vostra fidata audioguida all'orecchio, alla ricerca del numero successivo applicato sotto l'opera corrispondente.
Un esempio?
Verso la fine, troverete una saletta con i numeri 27 e 28: peccato che subito prima ci fosse il 24,. Cercate quanto vi pare, non troverete il 25 e il 26; non prima di esservi rassegnati ad ascoltare il 28, al termine del quale la signorina dell'audioguida racconta della morte di Lautrec e vi ringrazia per aver visitato la mostra, posate pure le vostre audioguide all'uscita, grazie. Sì, ma io vorrei prima ascoltare il 25 e il 26, grazie e altrettanto... fatto sta che, proseguendo verso l'uscita, passerete attraverso un'ultima sala espositiva, e... sì, eccoli qui i due numeri mancanti, più smaglianti che mai.
Cioè, dai: bella la mostra quanto vuoi, è sempre emozionante vedere dal vivo delle opere originali di autori che hanno fatto la storia (Lautrec è stato il prima artista pubblicitario, ad esempio, e a lui si devono le prime litografie che pubblicizzavano locali o generi come i coriandoli di carta, appena inventati (prima si usavano quelli di gesso, che però erano pesanti e quindi pericolosi), o le sigarette; però, non si fa così. Per fortuna all'uscita c'erano i moduli da compilare con le opinioni sull'organizzazione della mostra e lì mi sono scatenata. In maniera sempre elegante, per carità, ma le mie idee le ho espresse chiaramente.


Anyway, una cosa che mi ha colpito molto è stata la frase all'inizio della mostra; prima di rivelarvela, devo premettervi che Lautrec era una specie di nanetto, alto appena 1.52 mt a causa di una grave malattia genetica. Ed è per questo che diventa emblematica la citazione di Lautrec stesso, davvero emozionante: "E pensare che, se avessi avuto le gambe un poco più lunghe, probabilmente non avrei mai disegnato".
Se potete, e se vi piace il genere, andateci :-) peccato solo che non ci sia la serie di pubblicità relative al famoso Le Chat Noir del collega disegnatore Steinlein, molto vicino a Lautrec, ma il Divano Giapponese vi ripagherà della delusione ;-)

giovedì 21 gennaio 2016

Un piccolo passo per il mio manoscritto, un grande passo per l'umanità

In realtà non è un gran passo nemmeno per l'umanità, ma ci stava bene XD
Premessa a parte, vi ricordate l'ultima volta in cui vi ho parlato del mio manoscritto? Il primo, dico. Quello su Akiko, una bambina giapponese nata su suolo tedesco la cui vita è messa in costante pericolo dalla violenza neonazista nell'ex Germania Est degli anni '90. Bene, in quell'articolo vi avevo rivelato che la nota agente letteraria Laura Lepri, che ha letto il mio romanzo in occasione del Premio Letterario Nazionale Neri Pozza, nel quale mi sono piazzata seconda su 255 nella sezione Under 35 e tra i primi 12 su 1293 nel premio generale (se vi interessa, ecco l'articolo in cui vi ho raccontato come si sono svolti i fatti), mi aveva telefonato in seguito a una mia e-mail per dirmi che acconsentiva a incontrarmi per discutere del mio primo libro. Non potete immaginarvi la gioia che ho provato! *_*

Poi, sono passate alcune settimane di silenzio e piano piano, inesorabilmente, ho iniziato a farmi delle domande: andrà bene? Riuscirò a dimostrare quanto amo scrivere e quanto ci tengo a pubblicare i miei libri? Mi capirà? Quando mi guarderà negli occhi, vedrà tutti gli ostacoli che ho affrontato, l'umiliazione di una vita ben diversa da quella per cui avevo lavorato sodo a scuola, le lunghe notti insonni, le passeggiate senza meta per la città, le fughe in treno, la pioggia sui finestrini, la penna sempre stretta in pugno?

Finalmente, tre giorni fa, una piccola svolta: ricevo una mail di aggiornamento dall'assistente della signora Lepri, la quale mi riferisce che la professoressa si scusa per non essere più riuscita a contattarmi per via dei molti impegni, ma che a breve mi telefonerà per concordare insieme il famoso appuntamento. A quel punto mi sono proposta per andare a Milano in treno, anche se abito molto distante, per dimostrare quanto ci tengo a questo incontro; dall'ufficio, però, mi hanno risposto che la professoressa preferisce incontrarmi in Liguria, dove abito io, così da avere meno impegni a distrarla.

E boh, forse sarò io a volerci vedere per forza un segno positivo, ma a me è sembrata una buona cosa: che la signora Lepri volesse ancora incontrarmi, prima di tutto; che volesse farlo qui dove abito io, per dedicarmi più attenzione e tempo. La sua mano che si tuffa tra le nubi e scende verso la mia guancia mortale e impolverata. Lo so, sto romanzando, come sempre. Devo migliorare. Ho un sacco di cose da imparare a fare meglio e un sacco di pensieri da riordinare.
Ma concedetemelo: è un po' come essere infatuati di qualcuno e non sapere se questa persona ricambia il tuo sentimento. Ogni parola è un implicito ti amo per il nostro orecchio, ed è bello nuotare nel cielo di panna dell'innamoramento, almeno finché non arriva la doccia, spesso fredda, della realtà.
Per ora sono lì, in quel cielo striato da nuvolette di zucchero, a volteggiare. Spero con tutto il cuore che la doccia che mi attende possa essere tiepida e dolce come un bicchiere di latte.

Ma questa non è l'unica novità che ho promesso di rivelarvi: sì, perché nell'ultima settimana ho ricevuto ben due richieste di recensioni di libri da parte di due scrittori, Ivo Gazzarrini per il racconto lungo di genere horror "Delirium" (ecco il link per l'ebook gratuito su Amazon) e Guia Risari, di cui vi ho già raccontato qualcosa in questo post, per il libro "La porta di Anne", scritto in occasione delle celebrazioni per il Giorno della Memoria. Dato che il libro della Risari l'avevo acquistato per conto mio alla Feltrinelli di Genova, lei è stata così gentile da propormi di visitare il suo sito (non disperare, Guia: non sono riuscita a spulciarlo per benino negli ultimi giorni per via di pesantissimi turni di lavoro, ma domani lo farò senza dubbio ^_*) per scegliere un'opera che poi potrebbe inviarmi perché io possa leggerla e scriverne la recensione. MERAVIGLIA! GIOIAGAUDIO! *__*

Pensate che, quando ho iniziato a gestire questo blog, avevo impresso nella mente l'esempio folgorante di una mia cara amica, La Leggivendola, la quale da anni recensisce libri inviati da case editrici e scrittori. Brillantemente e con tanta ironia, peraltro, oltre che con professionalità. Ho sempre sognato diventare una blogger competente almeno la metà di lei, e ora, per la prima volta, sento di starmi avvicinando, piano piano, a quello che fa lei ogni giorno.

Bene, giunta a questo punto la mia schiena grida per la quasimodesca (?) postura al PC, perciò vi lascio alla vostra serata e vi ringrazio se avete letto fin qui i miei vaneggiamenti. Ringrazio soprattutto Guia Risari e Ivo Gazzarrini: non temete, a breve pubblicherò le recensioni sui vostri libri, prima fra le due quella su "Delirium", che ho letto ieri pomeriggio tutto d'un fiato. Mi è piaciuto? Chissà. Lo scoprirete presto.
Per ora, concludo su un'ultima nota di giubilo: il 31 gennaio è il mio compleanno e non vedo l'ora di sapere cosa mi aspetterà come regalo. Indovinate cosa spero di scartare... *_*

mercoledì 20 gennaio 2016

Libraio indipendente e addetto alle vendite in librerie di catena, due mondi a confronto

Ri-buonasera!
Oggi giornatona, neh? Non vi è toccato sorbirvi le mie lagne solo questo pomeriggio, no: vi tocca leggere anche questo post, con annessi e connessi. Quasi mi dispiace per voi. Ebbene, sarete felici di apprendere che le mie considerazioni di stasera sono brevi e che solo un vostro contributo riflessivo potrà arricchirle, quindi attendo i vostri commenti, oggi più che mai.

 Come chiacchieravo con voi sulla mia pagina FB pochi minuti fa in merito a questo articolo, il 31 marzo pare che ci sarà l'attesissima sentenza dell'Antitrust sul colosso Mondazzoli. Mauri, Ad di Mondadori, si difende asserendo che il colosso ha funzioni di consolidamento del mercato librario e si augura che la sentenza avrà connotazioni di lungimiranza.
Io non sono un'esperta, ma la mia idea è sempre stata a favore della diversificazione del mercato librario, non della sua massificazione. Molti sono stati gli articoli da me pubblicati sul blog in favore delle librerie indipendenti, templi in via d'estinzione di vera carta, con vera polvere su veri scaffali, nelle città di ferro e acciaio.

Non parlo solo delle mie preferenze personali in termini di generi letterari: a far pendere l'ago della bilancia dalla parte delle librerie indipendenti sono anche tematiche quali la proposta di titoli di nicchia, spesso introvabili o addirittura difficilmente ordinabili nelle librerie di catena (Mondadori, Giunti, Feltrinelli...), nonostante l'ormai ridicolo costo del processo di stampa, che devono fare i conti con direttive dall'alto in termini di invenduto; altra tematica è quella del rapporto fra lettore e libraio, mestiere che sfuma diventando sempre meno libraio e sempre più commesso alle vendite nelle librerie di catena. Questo non per incompetenza del personale (anche se, come dappertutto, ci sono le dovute eccezioni), quanto per una serie di fattori che va dalla precarietà dei posti di lavoro - precarietà che porta a un naturale distacco nell'approccio alle varie professioni, così come una schiena frustata senza sosta sente meno dolore di una sulla quale il boia si accanisca facendo lunghe pause - all'ambiente spesso prettamente commerciale e poco stimolante delle librerie di catena, con libri dal formato molto simile e copertine interscambiabili, sature di titoli che, riprendendo l'articolo che ho condiviso qualche ora fa sulla mia pagina FB da Il Post (questo), vendono "a fiammata", con picchi altissimi, per poi svanire velocemente e finire al macero.
Se in queste librerie gli ambienti sono spesso asettici e "aziendali", le librerie indipendenti sono più calde, intime, ricche di legno, coi pavimenti ricoperti di pile di libri ondeggianti alte fino al soffitto. Spesso nelle loro stanze si svolgono attività stimolanti, come momenti ricreativi per i bambini, piccole fiere itineranti di artisti e artigiani, pittori, disegnatori. Qualche volta qui si svolgono presentazioni di libri o incontri con qualche autore locale, ed è facile trovare un angolo della libreria adibito a mini caffetteria, con giochi da tavolo e qualche poltroncina in cui riposarsi leggendo e sorseggiando un caffè che si paga a offerta libera, come nei circoli di paese di una volta.
Certo, non tutte sono così, così come non tutte le libreria di catena sono come le ho descritte io, ma vince la maggioranza.

Il punto è che c'è differenza fra vendere libri (libri = merce) e provare amore per i libri che si vendono (libri = amici e/o figli che, per il loro bene, sappiamo dover lasciar andare).
Mi viene in mente un aneddoto: tutti i sabati io seguo un corso di tedesco insieme a una ragazza molto simpatica, che però non ama il tedesco. Lo studia solo perché vorrebbe provare a lavorare in Germania, così mi ha detto. Per lei il tedesco è un mezzo, non un fine e nemmeno un grande piacere. Io invece sono innamorata del tedesco e forse è per questo che, a detta dell'insegnante, lei trova molte più difficoltà nell'apprendimento rispetto a me. A me viene naturale, mi sboccia sulle labbra senza nessuna fatica.
Io non voglio usare il tedesco.
Voglio solo fare l'amore con lui.

So che queste considerazioni sono superficiali e magari un po' romanzate, e magari non riflettono un'accurata conoscenza del settore, ma sono le mie e questo è il mio modo di esprimermi. Piano piano, mi farò opinioni sempre più approfondite e precise su questi argomenti, anche grazie al vostro contributo :) ora vi lascio, in quanto i miei occhi pulsano e bruciano in maniera non indifferente e la mia coscienza mi morsica l'anima, non essendo riuscita a scrivere un po' del mio manoscritto nemmeno oggi. Certo, ho letto molto, ma non è sufficiente. Solo che, fra il lavoro, i dolori artrosici, il blog e il viavai di voci sempre presenti in casa, non ce la fo proprio a mettermi sul manoscritto. Sigh.
Uh, a proposito: per chi non l'avesse letto sulla mia pagina FB di ieri, ci sono un paio di news che devo raccontarvi. News succulente, ma nemmeno oggi le saprete. Devono decantare ancora un po'. Magari domani. Sì, domani ve le svelerò.
Per ora, buona notte a voi e al libro che vi attende sul comodino.

Gocce d'inchiostro #8: Mary Poppins, luoghi abbandonati e il dilemma del lettore senza protagonista

Buonasera! :-)

Anche oggi è stata una lunga giornata al lavoro, resa ancor più lunga da una dannatissima artrosi che mi provoca dolori di ogni sorta, ma dalla mia penna sta sgorgando comunque qualche piccola goccia d'inchiostro per voi:

1. L'altro giorno sono passata in libreria (strano) e non ho potuto fare a meno di lasciarmi tentare da "Revenant" di Punke, che mi ero ripromessa di comprare quanto prima, e da "Luoghi abbandonati" di Margy Bettolla, una mia simpaticissima concittadina attualmente residente in quel di Torino (beata lei) che ha raccolto in quest'opera le sue testimonianze, riflessioni e fotografie di luoghi diroccati, trascurati, macerie e polvere e bambole senza occhi con le braccine rivolte all'aria.
Vero è che al momento sto leggendo "Mary Poppins" di P. L. Travers, ma devo dire che questi due ragazzacci mi stanno ingolosendo non poco, con le loro promesse di carta e inchiostro. Del primo dovrei andare a breve a vedere il film, anche se in genere preferisco leggere prima il libro; il secondo mi attira con una voce suadente, roca per la polvere degli anni che vi si è depositata sopra. Non so quanto a lungo riuscirò a resistere prima di mollare "Mary Poppins" e concedermi all'uno o all'altro. Proprio non lo so.

2. Il problema, infatti, è proprio "Mary Poppins". Non che non sia un libro carino, e non che io non ami la letteratura per bambini e ragazzi, maaa... noia. Mi dispiace. E' bellino per le prime dieci, venti, trenta pagine; leggibile per le prime cinquanta; poi vi accorgerete che ne mancheranno altre 300 e la cosa potrebbe farvi tremare le vene dei polsi, come si suol dire. O, almeno, le ha fatte tremare a me.
Non solo trovo che il personaggio di Mary Poppins sia veramente fastidioso, maleducato e pieno di sé (avrà ben le sue motivazioni, non lo so, forse più avanti la Travers avrà spiegato qualcosa), ma ciò si riflette su un aspetto fondamentale di un buon libro: il lettore deve poter parteggiare per qualcuno. Non sono qui a dire che il protagonista debba essere amorevole: esempi brillanti di protagonisti malvagi, come ad esempio Alex di "Arancia meccanica", dimostrano che non sempre l'azione principale debba essere compiuta da un paladino. Eppure, in "Mary Poppins" manca un centro, qualcuno in cui identificarsi: non perché lei sia antipatica come una passata di grattugia sulla guancia (cosa vera, peraltro), ma perché non c'è alcun altro personaggio per cui parteggiare. Il padre? La madre? I bambini? Berto? Sono tutti appena abbozzati, senza introspezione psicologica. Simpatico il personaggio dello zio di Mary, ma appare per quanto? Tre pagine? E, comunque, non fa nulla di eclatante, tranne ridere e svolazzare per la stanza. Non so, davvero. Mi aspettavo molto da questo libro e ora temo che lo metterò da parte, almeno temporaneamente, per dedicarmi a qualcos'altro. Voi cosa ne pensate? Lo avete letto? Vi è piaciuto?

lunedì 18 gennaio 2016

Impressionisti, pennellate di luce e profumo di gladioli, ovvero come innamorarsi di un ritratto

Buonasera, come state? Siete pronti? Siete caldi?
Io non troppo, nel senso che qui stamattina c'era -1 gradi e, per citare "La carica dei 101", avevo il naso gelato, la coda gelata, le orecchie gelate e le zampe gelate.
A parte ciò, l'ultima settimana è stata ricca di eventi sugosi: sono stata a Genova, ad esempio, mi sono innamorata e sono uscita dalla Feltrinelli con un solo libro acquistato, tutto nello stesso giorno. Eh? Eh? Sono stata brava, nevvero?

Bene.
Partiamo dal principio: Genova! Lustro e gaudio del mio cuore! Lo so, in molti dicono che questa città sa di grigiore solo a nominarla, che camminare per il centro trasmette quella sensazione macabra e un po' inquietante di quando ti aggiri per le tombe di un cimitero a leggere le date di morte sugli epitaffi... ma a me piace. Non le tombe, Genova, dico. Oddio, alla fin fine, anche le tombe: ne ho fotografate giusto un paio, l'altro giorno, di bambini, decorate da epitaffi così tristi da spezzare il cuore. Ho pensato potessero essermi d'ispirazione per qualcosa. Qualunque cosa è d'ispirazione, se si lascia la porta aperta nel palazzo dell'anima.

E così, sono andata a Genova. Da mesi attendevo il momento giusto, ma vuoi il lavoro, vuoi gli amici che dicono di non essere interessati alla mostra sull'impressionismo (come diavolo si può non esserne interessati? Lo so, son gusti, ma insomma >.<), alla fine rimandavo sempre. Ieri, però, sono riuscita a salire su quel maledetto treno e la mostra è stata a dir poco GA-LAT-TI-CA!!! SPETTACOLARE!
Il titolo della mostra che troverete al Palazzo Ducale, affacciato sulla magnifica Piazza De Ferrari, è: "Dagli impressionisti a Picasso" e comprende 52 opere di autori come Monet (del quale potrete ammirare il celebre "Gladioli"), Matisse, Cézanne, Degas, Van Gogh, Picasso, Kirchner, Modigliani, Kandinsky, Renoir, Gauguin e molti altri, alcuni dei quali con capacità pittoriche notevoli, nomi molto noti nella società bene di fine ottocento ma che non hanno resistito al passare dei secoli. Perché? Proprio perché erano così apprezzati. Perché non hanno innovato, non hanno lottato per far affermare un nuovo stile pittorico anche contro la critica e le difficoltà del tempo; gli impressionisti hanno dovuto combattere affinché le loro opere venissero accolte nelle gallerie d'arte e, addirittura, accettate come arte: diversamente dall'accademia pittorica dell'epoca, che voleva le opere compiute rigorosamente in tempi lunghi, in atélier, le tele impressioniste venivano completate all'aperto, nel giro di poche ore, per "fotografare" sulla tela l'impressione di un dato momento, impressione spesso penetrata nell'animo del pittore grazie alla luce. I pittori impressionisti, infatti, abbandonarono gli atélier per dipingere all'aperto, immersi nella natura: proprio per questo motivo i loro quadri dovevano essere terminati fino a quando la luce non cambiava, senza possibilità di preparare disegni sulla tela. Questo tipo di quadro, composto da tantissime pennellate veloci di vari colori che davano proprio l'impressione della luce del sole e di come essa trasformava i colori (a loro si deve l'intuizione delle ombre colorate, ad esempio: prima le ombre venivano rappresentate solo con nero, grigio e bianco, mentre loro si accorsero che un albero proiettato su un'aiuola non rende nera l'aiuola, bensì verde scuro), non veniva reputato vera arte proprio in virtù della sua velocità di esecuzione, che permeava il quadro con un'impressione di non finitezza.

Proprio gli impressionisti, per i motivi suddetti, furono per larga parte entusiasti dell'invenzione della fotografia, avvenuta in quegli anni: sfruttarono quest'invenzione per potenziare e innovare ancora di più la loro arte, mentre i pittori accademici presero molto male la fotografia, in quanto nessun pittore avrebbe mai potuto uguagliarne la precisione raffigurativa. E va bene, non voglio riempirvi la testa con una lezione di storia dell'arte, ma c'è una cosa che ho imparato: ogni tanto accade che chi viene apprezzato dal pubblico in vita non sarà necessariamente immortale, mentre chi combatte, chi si strugge per un'idea e cerca in tutti i modi di proporla nonostante rappresenti qualcosa di nuovo, non accettato dai più... beh. Lo sapete. Ed è qualcosa che trovo immensamente consolante.
Per chi non l'avesse ancora visitata, sappiate che avete tempo fino al 10 aprile, poi queste meraviglie torneranno al Detroit Institute of Arts e, per citare il film "Il ciclone", addio, nini!

Un paio di altre cose: sono rimasta estasiata da due quadri del passaggio dal periodo blu a quello rosa di Picasso, quando ancora non era approdato al cubismo, uno di ispirazione botticelliana e l'altro che raffigurava Arlecchino. E mi sono persa e ritrovata per oltre mezz'ora negli occhi di un autoritratto di Van Gogh. Ho comprato la stampa. L'ho appesa di fronte al mio letto. Ti sfioro, Vincent. Ti sfioro le labbra, i peli rossi e verdi e oro della tua barba, e sospiro.

Sono poi andata alla Feltrinelli, altro tempio della cultura e del gozzovigliamento libroso, e lì ho acquistato "La porta di Anne" di Guia Risari (Guia *_* nome buffissimo che adoro!), ispirato alla storia di Anna Frank e scritto in occasione del Giorno della Memoria. Ho solo letto qualche riga, ma mi ha molto colpita: lo stile di scrittura è semplice ma ricco, trascinante, e il punto di vista è multifocale: non è solo Anne a parlare, ma ciascuna delle persone chiusa nel celebre appartamento con lei e, più avanti, perfino il sottufficiale nazista che le scoverà. Bello bello.

Nel frattempo ho terminato la lettura di "Non sono ipocondriaca" di Giusella De Maria, del quale vorrei fare a breve la recensione e di cui ho iniziato a chiacchierare con voi qui, per poi iniziare "Mary Poppins" di P. L. Travers, che mi aveva sempre incuriosita. Devo dire che il film Disney non è fra i miei preferiti ma lo reputo comunque un grande capolavoro sperimentale del suo tempo, messo ancora più in luce dal recente "Saving Mr. Banks", che vi consiglio caldamente se volete stare depressi per due settimane buone. Devo dire che nel libro ho trovato per ora abbastanza differenze rispetto al film Disney, prima fra tutte una. Non esiste un modo carino per dirlo: nel libro, Mary Poppins è un dito in c*lo. Lungo e gelido, con tanto di unghia adunca. Sprezzante, saccente, vanitosa e cafona come poche, per ora la trovo semplicemente odiosa, ma spero che il personaggio subirà un'evoluzione o perlomeno si spiegheranno le motivazioni del suo atteggiamento lungo la storia. Spero. Credo. Si vedrà.

mercoledì 13 gennaio 2016

Gocce d'inchiostro #7: paralipomeni, ipocondria e altri paroloni sulla sabbia del deserto

Ri-buonday! :D
Vi aggiorno sulle ultime news:

1. Alla fine ho ceduto alla lettura di "Io non sono ipocondriaca" di Giusella De Maria, libro forse non impegnato, ma che mi sta divertendo assai. Ogni tanto ci vuole, suvvia. Non fate quelle facce, non siate tutti paratattici e ipotattici e paralipomenosi, c'è anche altro nella vita da leggere :D

Il titolo vi dirà già qualcosa sull'argomento del romanzo: la protagonista, molto ben delineata, è ipocondriaca, eppure non lo ammette né se ne rende conto. Quasi tutti intorno a lei lo vedono in maniera lampante, ma lei no, persa com'è nei suoi rituali giornalieri antiparassitari, anti-epidemie... anti-vita.
Insieme a lei ci sono la sua amica, i suoi vicini di casa, molto simpatici e divertenti, e anche Marcus, un medico con il quale, piano piano, la protagonista sente di potersi lasciare andare. E perché, questo? Perché lui, diversamente da tutti gli altri medici di cui lei non si fida, sembra crederle. E cosa c'è di più importante per un ipocondriaco di essere creduto? Forse una cosa c'è: riuscire a distrarsi. Trovare qualcuno di speciale che sappia lanciarti un osso da rincorrere quando il segugio implacabile nella tua mente inizia a sbranarti dolcemente, orribilmente, giorno dopo giorno. Devo dire che il libro mi sta piacendo un sacco e mi fa fare anche qualche risata, ma non solo: pur trattandosi di una lettura leggera, che in genere non faccio, è davvero ben scritto e descritto, i dialoghi sono ben strutturati, anche la psicologia dei personaggi è delineata bene, specialmente quella della protagonista. Ammetto che non riesco proprio a smettere di leggerlo, mi garba troppo XD
Della stessa autrice ho visto che era uscito a suo tempo anche un altro romanzo, che ha buone recensioni, ma trattandosi di una storia d'amore bell'e buona col tipo tenebroso di turno non so se mi azzarderò a leggerlo. Non avrei letto neanche questo, se non avesse parlato di ipocondria. Mi aiuterà a sconfiggere la mia, di ansia? Non mi aiuterà? Chissà. Sicuramente, per ora mi sta somministrando a piccole dosi un antidoto naturale: i sorrisi.

2. Ho acquistato, su consiglio di una mia amica, "Orme" di Robyn Davidson, che parla di una donna in cammino attraverso il deserto australiano in compagnia di quattro cammelli. Per spiegarvi perché l'ho acquistato, vi basti leggerne questa frase: "Entrai in uno spazio, in un tempo, in una dimensione completamente nuovi. Mille anni si comprimevano in un giorno e ogni mio passo durava secoli. Le querce del deserto sospiravano e si chinavano su di me, come se avessero voluto afferrarmi. Le dune andavano e venivano, sempre uguali. Le colline si innalzavano verso il cielo, e poi scivolavano dolcemente in basso. Le nuvole ondeggiavano nel cielo, sparivano, ritornavano di nuovo. E sempre la strada la strada la strada la strada." Direi che può bastare.

3. Non ho ancora avuto news da Laura Lepri, anche se eravamo rimaste d'accordo che mi avrebbe contattata dopo Natale, ma del resto le vacanze sono appena finite e spero tanto di poter festeggiare il mio compleanno, che cadrà il 31 gennaio, con un bellissimo regalo incartato in un tulle verde speranza <3

lunedì 11 gennaio 2016

Can you hear me, Major Tom? Can you hear me, Major Tom?


Oggi vi do il buongiorno così. Per quanto possa essere un buon giorno.
Per chi non lo sapesse, è morto David Bowie. Questa notte la sua fiamma si è spenta, dopo 18 mesi di lotta contro il cancro.

Come ho già imparato da un mio post precedente su argomenti simili, orde di commentatori selvaggi saranno già in attesa dietro ogni angolo di Facebook e del web per dire che è assurdo ricordare un artista solo quando muore, che solo dopo la sua morte tanti si dicono suoi fan eccetera, eccetera. Che facciano pure. Per citare Antonio Amurri, "l'unico metodo infallibile per conoscere il prossimo è giudicarlo dalle apparenze".
Per me, come chi mi conosce da una vita sa molto bene, David Bowie rappresentava - e continua a rappresentare - una parte fondamentale della mia vita e della mia adolescenza. Da "Space oddity" a "Ziggy Stardust" all'intramontabile film "Labyrinth - Dove tutto è possibile", il Duca Bianco mi ha fatto sognare, piangere, riflettere sulla mia vita e su quanto mi sentissi sola, proprio come "la ragazza dai capelli grigio topo" che vaga per la città tra le macerie del suo sogno infranto di "Life on Mars".

David, o Re dei Goblin, ovunque tu sia, sappi che, mentre voli via, lasci dietro di te non solo l'esuvia di un corpo che non poteva contenere la tua grandezza, ma anche tanti volti, giovani e meno giovani, rigati dalle lacrime. Ti guardiamo mentre torni sul tuo pianeta, brillando un'ultima volta; e la tua luce si riflette su di noi, sui nostri occhi umidi, rendendoci, ancora una volta, insieme a te, polvere di stelle.
Buon viaggio a vederci.


domenica 10 gennaio 2016

Per il ciclo recensioni librose: "Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza" di Luis Sepùlveda

Quest'oggi vi parlo di "Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza", ennesimo libro di Sepùlveda in cui i protagonisti sono gli animali, antropomorfizzati e/o portatori di qualità particolari che altri animali (compresi noi Homines Sapiens Sapiens) possono apprendere.

Parto col dire che condivido in pieno il pensiero dell'autore: gli animali hanno davvero molto da insegnare agli esseri umani, non solo la fedeltà dal cane o il sapersi godere la vita da un gatto, bensì tutta una serie di valori e prospettive mentali che aiuterebbero il genere umano ad affrontare molto meglio la vita di tutti i giorni, con le sue difficoltà e i suoi momenti di sconforto, ma anche con i momenti allegri, da condividere con i nostri simili.
Il genere è quello della fiaba, o favola, da sempre una delle mie forme letterarie preferite. Per di più, si tratta di fiabe non solo per ragazzi e bambini, ma anche per adulti, con più livelli di lettura a seconda del grado di conoscenza di se stessi. Però...

Vi avviso: sto per diventare odiosa. Sapevatelo.
E' che, come chiacchieravamo ieri io e il mio fan Alessandro, questi libricini di Sepùlveda mi hanno iniziata a stancare. Cioè, prima la gabbianella e il gatto che le insegnò a volare, e fin qui ok, storia bellissima, un classico senza tempo seguito da una postfazione a dir poco struggente, e va bene.
Poi, una fan mi ha segnalato la presenza della storia su un gatto e un topo che diventa suo amico; e fin qui, ok, ci sto ancora.
Poi c'è questo, con una lumaca che vuole sapere perché le lumache sono lente. Vaaaa bene.
Ma da poco è uscita anche la storia di un cane che insegna a un bambino la fedeltà e, come vi dissi ieri, giuro che se qualcuno osa regalarmelo per il mio imminente compleanno (yeeeh! 31 gennaio! Viva me!), do di matto. So di esprimere un'opinione forte che in molti non condivideranno, ma, come si suol dire, me ne farò una ragione e supererò il trauma. Perché a me, pur con tutti i miei limiti, sembra che Sepùlveda, autore di alcuni fra i più notevoli romanzi della nostra epoca, si sia perso in uno zoo e non riesca più a trovare la chiave per uscirne. Mi sbaglierò, ma si ha l'idea di un autore che, dopo aver scritto tanto ed essere rimasto a corto di idee, abbia individuato un filone ricco e di facile estrazione, che non fa che richiamare alla mente il suo storico successo con la gabbianella e il gatto, e si sia adagiato su quello.

Vi spiego un po' la trama: c'è una lumaca che vive con altre lumache in un prato, quello che loro chiamano Paese dei Denti di Leone. Tutte le altre amano la loro vita semplice, fatta di ritmi tranquilli, lenti e piccole abitudini quotidiane, come quella di mangiare tutte insieme quando cala la sera, ma la protagonista no. Lei vuole sapere perché le lumache sono lente e perché non si danno nomi fra di loro. Inutile dire che viene vista come una stramboide (ma va?), perciò si mette in viaggio per dimostrare che non necessita di stabilizzatori dell'umore.

Incontra una tartaruga, parlano un po', poi vede che gli esseri umani stanno asfaltando il prato e vuole avvisare le altre lumache, perciò torna indietro e nel frattempo avvisa le altre creature del prato, complice la sua lentezza, che le permette (eh! Avete capito quanto è importante essere lenti, adesso?) di non superarle senza neanche vederle. Le lumache non le credono fino a quando, salendo su una pianta (perdendo così 8934897651 minuti preziosi del loro e del mio tempo, in cui si muovono "molto, molto lentamente", una frase usata una ventina di volte per tutto il libro), non si convincono e quindi inizia l'esodo verso un nuovo Paese dei Denti di Leone. Succedono cose, muoiono valanghe di lumache, 'na tragedia, poi arrivano in un certo posto, si addormentano, poi si risvegliano in primavera e... fine.

Finisce così, davvero. Non vi svelo proprio tutto, vi ho tenuti nascosti alcuni "colpi di scena", se così vogliamo chiamarli, ma è tutto qui.

Lo stile è davvero molto lineare, senza nessun tipo di virtuosismo letterario. Non viene fatto uso di una particolare capacità descrittiva e i dialoghi sono tipici delle fiabe per bambini, con pensieri semplici e molto spogli.
Il libricino in sé è anche carino, ha un suo perché, le pagine scorrono molto velocemente e si legge in un paio d'ore senza problemi. Lo consiglio spassionatamente ai bambini, ma è adatto anche a un tipo di persone che non ha mai sondato più di tanto la propria interiorità e che, quindi, è più facilmente permeabile di fronte a storie semplici come questa, con una morale chiara e precisa.
Personalmente, avrei sperato di trovare degli insegnamenti non così evidenti ed espliciti; non amo che mi si imbocchi. In più, la morale del libro l'ho trovata un po' scontata. Nulla che non legga ogni mese su Riza, insomma.

Piccola premessa: da qui in avanti potrebbe esserci qualche spoiler. Dicevo: non sono riuscita a individuare in Ribelle - così si farà chiamare la nostra prode lumachina - né nella storia in generale un buon veicolo per il messaggio finale: ossia, che la capacità di far fiorire il nuovo Paese del Dente di Leone lo avevano sempre avuto le lumache dentro di loro. Ho capito cosa voleva dire Sepùlveda (il concetto che siamo noi i portatori del germe del nostro futuro, del nostro destino, siamo noi a decidere quando farlo germogliare eccetera), ma non ho trovato che questo fosse il modo più adatto per dirlo. Un conto sarebbe stato cercare di convincermi che noi tutti cerchiamo la felicità quando essa è già dentro di noi; un conto è dire che queste povere lumache, che avevano obiettivamente necessità di cibo per sopravvivere, in realtà avevano sempre avuto dentro di loro il Paese del Dente di Leone. Queste stavano a morì de fame prima sull'asfalto, poi nel tubo per l'acqua, poi nel bosco, poi spiaccicate in varie posizioni acrobatiche... insomma, il Paese che tanto cercavano non era dentro di loro, hanno dovuto aspettare un'intera stagione in letargo affinché la natura lo facesse germogliare, queste avevano davvero fame e freddo! Se poi anche il letargo vuole essere una sorta di metafora dei momenti bui della vita che in realtà alla fine ci portano a cogliere i frutti più succosi, allora è un altro conto... probabilmente quello è un livello di lettura che io non sono riuscita a cogliere troppo bene.

Ma no, non lo rileggerò per coglierlo. Mi spiace.


In definitiva, il libro è come un'architettura su strati dove vari livelli di lettura si sedimentano uno sull'altro: sta a noi decidere quale affrontare per primo, oppure se cercare d'individuarli tutti insieme. Quanto a me, nessuno di questi strati mi ha entusiasmata; forse rimarrei più soddisfatta dalla lettura di "Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico" oppure da "Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà", ma non so se deciderò di leggerli.
Voi, tanto per non sbagliare, non regalatemeli.
Mi senti, mamma? Papà? Se state leggendo il mio blog, non vi azzardate. Grazie.

Bene, ora partite pure con gli insulti, me li aspetto :3

sabato 9 gennaio 2016

Per il ciclo recensioni librose: "I segreti della mente non ansiosa" di Armando De Vicentiis

Ebbene, come alcuni di voi sapranno, in genere non amo leggere saggi né di autoaiuto, né di altro tipo. Fanno eccezioni i saggi di Virginia Woolf, ma del resto i suoi, più che saggi, sono per me dei piccoli racconti, perle di una collana che manda bagliori nel sole di una Londra anni '20, tutta luci e rose sui davanzali e fumo acre delle industrie a piena regime.
Ciò che mi ha spinta ad acquistare "I segreti della mente non ansiosa" del Dr. De Vicentiis è stato il fatto che, da un annetto a questo parte, sono preda di attacchi di ipocondria misti ad ansia ben poco simpatici con i quali cerco di ragionare con vari mezzi. Siano essi un bastoncino d'incenso bruciato per favorire la meditazione o chiacchierarne con chi di competenza, nessuno per ora mi ha aiutata concretamente a uscirne. Per carità, oggi sono molto più forte di un anno fa, ma sarei comunque felice se quella voce maledetta, fredda e sottile, non si facesse più sentire.

Così, sfogliando qua e là qualche manuale, ho deciso di dare una possibilità a questo libro, del quale ho letto ottime recensioni. Ma sapete come sono le recensioni online: per uno che realmente ha letto il libro e ha un numero adeguato di neuroni per sapere cosa sta scrivendo, altri nove magari non hanno letto altri libri in tutta la loro vita, o non hanno un gusto letterario di alcun genere. Vi sembro presuntuosa? E pazienza, la sarò.
Cionondimeno, mi sono dovuta ricredere non solo sui saggi, ma anche sui suddetti recensori. Sì, perché questo libro, diversamente da tutto ciò che avevo provato prima, mi ha aiutata. Sul serio. Con poche pagine, in pochi e semplici concetti, mi ha fornito ulteriori strumenti per combattere l'ansia e, soprattutto, per capire che ciò che io amplifico e vivo come una catastrofe imminente, i non ansiosi affrontano in maniera del tutto diversa. Tutto sta a un semplice concetto: giocare o non giocare la partita a ping pong che ci propone il cervello.
Ma andiamo con ordine.

Il saggio, breve e scritto con un linguaggio semplice e immediato, è strutturato su un alternarsi di capitoli imperniati su due metafore: quella della partita a ping pong e quella del PC. In pratica, De Vicentiis ipotizza che tutti noi, ansiosi e non ansiosi, siamo come computer: conosciamo un numero limitato di possibili risposte a un problema e, ogniqualvolta tale problema ci si presenta, decidiamo di aprire la cartella di riferimento e clicchiamo sul file apposito.
Il dramma sorge quando ci rendiamo conto che, per i più svariati motivi, il file che siamo soliti usare per rispondere a un certo quesito non funziona più. E' qui che si verifica la differenza fra un ansioso e un non ansioso: il primo continuerà ossessivamente a rispondere con quel file, agitandosi sempre di più perché non riuscirà a farlo funzionare (ma prima funzionava! E perché ora no? Perché? Cosa ho fatto di male? Perché ce l'hanno tutti con me? Ora ci riprovo... no, niente! Oh Dio! Perché? Perché?), mentre il non ansioso metterà il file in quarantena e cercherà di rispondere in qualche altra maniera. Giusto?
Sbagliato.
Il non ansioso non cercherà risposte altrove. Il non ansioso, semplicemente, deciderà di non rispondere e di non farsene un problema. E questo sarà già un nuovo file funzionante, o prototipo di risposta, che potrà essere lanciato contro situazioni simili da quel momento in avanti. Con questo De Vicentiis non vuole dire che il non ansioso è un agnostico che non si pone problemi, anzi: ripete più volte che l'ansioso e il non ansioso percepiscono gli stessi sintomi e hanno le stesse paure, solo che il primo ne rimane vittima, mentre il secondo le affronta in maniera distaccata.
Su questa idea si dipana il libro, un capitolo dopo l'altro, come se fossero file disfunzionali da esaminare uno dopo l'altro con un ipotetico antivirus. Ci sono file per tutti i gusti: "sto per morire", oppure "tutti mi giudicano", ma anche molti altri. Ciascuno è un pensiero che genera ansia e che l'individuo ansioso affronta nella maniera sbagliata, e questo perché?
Per rispondervi vi faccio un esempio tratto dal libro.

Poniamo che un individuo si faccia ossessivamente una domanda: e se facessi del male a qualcuno? Se fossi gay? Se non amassi i miei figli? Sono solo esempi di pensieri che vengono a chiunque prima o poi nella vita, domande che il cervello vi pone perché è nella sua natura. La maggior parte delle persone sa che sono domande innocenti e le tratta come tali, sorridendoci su, facendo spallucce e scartandole. Ed è giusto così, perché il cervello, ve lo assicuro, produce tanta, ma tanta di quella spazzatura da potercene riempire l'iperuranio.
Allora chi è l'ansioso? Perché lui si lascia irretire dal terrore di fronte a questi quesiti?
L'ansioso è colui, secondo De Vicentiis, che è portatore di un file disfunzionale (o credenza irrazionale) di base, ossia: certe cose non devono succedere. In una mente del genere, non appena una domanda inappropriata appare, la trappola scatta all'istante: se non si devono fare certi pensieri e se certe cose non dovrebbero mai accadere, allora io sono una persona orribile, un mostro che potrebbe davvero non amare i suoi figli, fare del male a qualcuno o non desiderare il/la suo/a partner. E' una prospettiva terribile, un vuoto di orrore che si spalanca per inghiottire l'individuo ansioso.

Ed è qui che arriviamo all'esempio della partita di ping pong, che personalmente ho trovato illuminante: immaginatela insieme a me, disegnate nella vostra mente la scena, col cervello dall'altra parte del tavolo, in scarpette di tela bianca e calzoncini, una racchetta in mano e una pallina. Sta alzando il braccio. Sta per lanciare.
E se fossi gay? (battuta)
Ma no, non è possibile, ho sempre amato le donne! (rilancio)
E se provassi con un uomo e scoprissi che ti piace? (contrattacco)
Ma no, non vorrei mai provarci! Perché sto pensando a queste cose? E poi, come dovrei fare a capire se mi piace un uomo? Mi metto a guardarlo? (rilancio)
Eh, no, così stai pensando da omosessuale. Allora vedi che è vero? (attacco)
Ma no, non è possibile, io amo mia moglie! (controbattuta)
E la partita potrà continuare in eterno, perché la vera vittoria per il cervello è farvi giocare. Nel momento in cui iniziate quella partita, non potete vincere.
E il non ansioso?
De Vicentiis fa anche questo esempio:
E se fossi gay? (battuta)
Boh, chissà, non lo saprò mai! (game over)

Capite? Game over.
Perché il trucco non è cercare in tutti i modi di vincere quella partita tentando disperatamente di trovare qualcosa di definitivo che possa mettere a tacere quella voce, una voce che si farà sempre più irrazionale, isterica e potente mano a mano che il gioco prosegue.
La vera vittoria contro l'ansia è non giocare.

E davvero, mi ha illuminata. Per la sua semplicità, forse eccessiva talvolta, ma che ho apprezzato e sono certa apprezzeranno anche i suoi futuri lettori. Interessante il breve compendio finale, una sorta di saggio nel saggio, che ha come tematica gli autoinganni.
Compratelo. Se siete ansiosi per i motivi più disparati, come me, non potete lasciarvelo scappare.

P.S.: l'esempio che ho usato è lo stesso del libro e in alcun modo riflette le mie opinioni personali sull'omosessualità. Che sono, peraltro, del tutto a favore di qualunque diritto, dal riconoscimento, al matrimonio, alle adozioni. Che poi, che diavolo vuol dire, "diritti"? Perché, noi abbiamo il diritto a ingravidare femmine della nostra specie? Che è, un diritto, perpetrare il proprio makeup genetico, sposarsi? O semplicemente un piacere per suggellare un amore sincero, e anche un atto utilitaristico del tutto legittimo per ottenere il riconoscimento di basilari diritti legali? Boh. Ma comunque, questo non è l'argomento del mio post, perciò concludo qui e vi auguro una serata... senza ansie! ;)

Gocce d'inchiostro #6: Giunti, Feltrinelli, Amazon e i libri introvabili


Buongiorno e buon sabato! :3
Ho appena finito di fare un giro di telefonate fra ventordici librerie e:

1. Ho scoperto che alla Feltrinelli della mia città non hanno una mazza. Cioè, non l'ho scoperto, è stata più che altro una conferma di quanto già sospettavo. Ogni volta che ci vado o che gli telefono non c'è mai verso che abbiano ciò che chiedo. Ora, capisco che non possano tenere troppa roba per timore dell'invenduto e che quindi debbano necessariamente penalizzare la letteratura di nicchia, ma questa volta i libri che ho chiesto sono ciò che di più attuale possa esserci, data l'imminente uscita al cinema dei relativi film: "La quinta onda" di Yancey e "Revenant" di Punke, per non parlare di "La casa per i bambini speciali di Miss Peregrine" di Riggs, anche questo secondo loro disponibile solo su ordinazione, peraltro con tempistiche epocali. Tipo un paio di settimane.
Riuscirò mai a usare la mia gift card natalizia? Chissà.
Comunque, "La quinta onda" è in ristampa e dovrebbe arrivargli il 19 gennaio, perciò attenderò quel momento per sfruttare il mio buono.
La cosa che mi ha più infastidita è che non ho fatto nemmeno in tempo a dirgli il quarto titolo che cercavo che la ragazza mi ha stoppata dicendomi: ah, no, se è un libro di psicologia allora non lo abbiamo sicuramente. Belin, penso io, ma un reparto di psicologia ce l'hanno... perché non posso almeno tentare? Ma comunque, passiamo al punto 2.

2. Ho poi telefonato alla Giunti e, per fortuna, mi ha dato una gioia: dato che ho 72 punti sulla Giunticard, ho deciso che utilizzerò gli sconti per acquistare "Revenant" di Punke, che per la Feltrinelli era in ristampa mentre alla Giunti magicamente ne hanno tre copie in negozio e "La dissociazione traumatica" di Suzanne Boon, librone molto oneroso ma interessantissimo e scritto in maniera scorrevole. Mi sarà molto utile per la documentazione relativa al mio secondo romanzo, e non solo. Anche lì, alla Giunti questo libro me lo fanno arrivare giovedì insieme a quello di Riggs, pertanto ho deciso di lasciar perdere Amazon e Feltrinelli e fare così. Happiness! *_*

3. Al momento sto leggendo "Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza" di Sepulveda, un po' una fiaba per tutte le età, con più livelli di lettura a seconda della generazione. Mh. Sì, sì, carino. Però... e va bene, lo dico.
Sto maturando un'idiosincrasia verso Sepulveda.
Prima la gabbianella e il gatto che le insegnò a volare, e va bene. Bellissimo, un classico imperdibile, e ok.
Poi, 'sta lumaca che impara la lentezza. E va bene, posso ancora apprezzarlo.

Poi vengo a sapere che di recente è uscito "Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà" e giuro che se qualcuno osa regalarmelo, do di matto. Per carità, saranno anche libricini carini, mabbasta. Lo so che ha scritto libri che rimarranno nella storia della letteratura, alcuni li ho anche letti e molto apprezzati, ma per l'amor del cielo, qualcuno gli dia le chiavi per uscire dallo zoo dove si è perso.

4. Nel frattempo, sto valutando se iniziare "Annientamento" di Vandermeer, "Revenant" di Punke (che prenderò domani) o magari qualcosa di completamente diverso, che però non ho ancora identificato. Mumble. Si accettano consigli.

venerdì 8 gennaio 2016

Gocce d'inchiostro #5: perplessità librose

Mentre supplico che il moment act e lo zerinol sortiscano il loro magico effetto, vi ripropongo il mio ultimo post sul blog. Inoltre:

1. Ho finito di leggere "I segreti della mente non ansiosa" del dr. De Vicentiis e ne sono rimasta estasiata. In genere non leggo libri o saggi di autoaiuto, ma dato che da un anno circa devo fare i conti con una fastidiosa forma di ipocondria e che l'ansia fa parte della mia vita da sempre, ho deciso di iniziare il 2016 impostandolo come un vero anno di rinascita: basta ansia, basta ipocondria, più palestra, più dieta, meno ore di lavoro, più tempo di qualità dedicato al mio sogno di pubblicare i miei romanzi... e, ovviamente, più libri.
Presto scriverò la mia recensione di questo saggio, invero molto breve, simpatico e di semplice comprensione. In poche pagine mi ha già fornito molti solidi strumenti per affrontare le mie paure e, per ora, sto riuscendo a mantenermi tranquilla egregiamente.

2. Questa sera ho una mezza intenzione di iniziare "Annientamento" di Jeff Vandermeer, che ho vinto nel giveaway di Paper Moon. Non so se cimentarmi con questa trilogia, avendo ancora da leggere tanti altri libri... vedrò un po'.

3. Grazie all'articolo che ho condiviso l'altro ieri sulla mia pagina Facebook sui film previsti per il 2016 tratti dai libri, ho scovato tre ragazzacci di carta con cui vorrei flirtare al più presto: "La quinta onda" di Yancey, "Revenant" di Punke e "La casa per bambini speciali di Miss Peregrine" di Riggs. Che ne pensate?