sabato 9 gennaio 2016

Per il ciclo recensioni librose: "I segreti della mente non ansiosa" di Armando De Vicentiis

Ebbene, come alcuni di voi sapranno, in genere non amo leggere saggi né di autoaiuto, né di altro tipo. Fanno eccezioni i saggi di Virginia Woolf, ma del resto i suoi, più che saggi, sono per me dei piccoli racconti, perle di una collana che manda bagliori nel sole di una Londra anni '20, tutta luci e rose sui davanzali e fumo acre delle industrie a piena regime.
Ciò che mi ha spinta ad acquistare "I segreti della mente non ansiosa" del Dr. De Vicentiis è stato il fatto che, da un annetto a questo parte, sono preda di attacchi di ipocondria misti ad ansia ben poco simpatici con i quali cerco di ragionare con vari mezzi. Siano essi un bastoncino d'incenso bruciato per favorire la meditazione o chiacchierarne con chi di competenza, nessuno per ora mi ha aiutata concretamente a uscirne. Per carità, oggi sono molto più forte di un anno fa, ma sarei comunque felice se quella voce maledetta, fredda e sottile, non si facesse più sentire.

Così, sfogliando qua e là qualche manuale, ho deciso di dare una possibilità a questo libro, del quale ho letto ottime recensioni. Ma sapete come sono le recensioni online: per uno che realmente ha letto il libro e ha un numero adeguato di neuroni per sapere cosa sta scrivendo, altri nove magari non hanno letto altri libri in tutta la loro vita, o non hanno un gusto letterario di alcun genere. Vi sembro presuntuosa? E pazienza, la sarò.
Cionondimeno, mi sono dovuta ricredere non solo sui saggi, ma anche sui suddetti recensori. Sì, perché questo libro, diversamente da tutto ciò che avevo provato prima, mi ha aiutata. Sul serio. Con poche pagine, in pochi e semplici concetti, mi ha fornito ulteriori strumenti per combattere l'ansia e, soprattutto, per capire che ciò che io amplifico e vivo come una catastrofe imminente, i non ansiosi affrontano in maniera del tutto diversa. Tutto sta a un semplice concetto: giocare o non giocare la partita a ping pong che ci propone il cervello.
Ma andiamo con ordine.

Il saggio, breve e scritto con un linguaggio semplice e immediato, è strutturato su un alternarsi di capitoli imperniati su due metafore: quella della partita a ping pong e quella del PC. In pratica, De Vicentiis ipotizza che tutti noi, ansiosi e non ansiosi, siamo come computer: conosciamo un numero limitato di possibili risposte a un problema e, ogniqualvolta tale problema ci si presenta, decidiamo di aprire la cartella di riferimento e clicchiamo sul file apposito.
Il dramma sorge quando ci rendiamo conto che, per i più svariati motivi, il file che siamo soliti usare per rispondere a un certo quesito non funziona più. E' qui che si verifica la differenza fra un ansioso e un non ansioso: il primo continuerà ossessivamente a rispondere con quel file, agitandosi sempre di più perché non riuscirà a farlo funzionare (ma prima funzionava! E perché ora no? Perché? Cosa ho fatto di male? Perché ce l'hanno tutti con me? Ora ci riprovo... no, niente! Oh Dio! Perché? Perché?), mentre il non ansioso metterà il file in quarantena e cercherà di rispondere in qualche altra maniera. Giusto?
Sbagliato.
Il non ansioso non cercherà risposte altrove. Il non ansioso, semplicemente, deciderà di non rispondere e di non farsene un problema. E questo sarà già un nuovo file funzionante, o prototipo di risposta, che potrà essere lanciato contro situazioni simili da quel momento in avanti. Con questo De Vicentiis non vuole dire che il non ansioso è un agnostico che non si pone problemi, anzi: ripete più volte che l'ansioso e il non ansioso percepiscono gli stessi sintomi e hanno le stesse paure, solo che il primo ne rimane vittima, mentre il secondo le affronta in maniera distaccata.
Su questa idea si dipana il libro, un capitolo dopo l'altro, come se fossero file disfunzionali da esaminare uno dopo l'altro con un ipotetico antivirus. Ci sono file per tutti i gusti: "sto per morire", oppure "tutti mi giudicano", ma anche molti altri. Ciascuno è un pensiero che genera ansia e che l'individuo ansioso affronta nella maniera sbagliata, e questo perché?
Per rispondervi vi faccio un esempio tratto dal libro.

Poniamo che un individuo si faccia ossessivamente una domanda: e se facessi del male a qualcuno? Se fossi gay? Se non amassi i miei figli? Sono solo esempi di pensieri che vengono a chiunque prima o poi nella vita, domande che il cervello vi pone perché è nella sua natura. La maggior parte delle persone sa che sono domande innocenti e le tratta come tali, sorridendoci su, facendo spallucce e scartandole. Ed è giusto così, perché il cervello, ve lo assicuro, produce tanta, ma tanta di quella spazzatura da potercene riempire l'iperuranio.
Allora chi è l'ansioso? Perché lui si lascia irretire dal terrore di fronte a questi quesiti?
L'ansioso è colui, secondo De Vicentiis, che è portatore di un file disfunzionale (o credenza irrazionale) di base, ossia: certe cose non devono succedere. In una mente del genere, non appena una domanda inappropriata appare, la trappola scatta all'istante: se non si devono fare certi pensieri e se certe cose non dovrebbero mai accadere, allora io sono una persona orribile, un mostro che potrebbe davvero non amare i suoi figli, fare del male a qualcuno o non desiderare il/la suo/a partner. E' una prospettiva terribile, un vuoto di orrore che si spalanca per inghiottire l'individuo ansioso.

Ed è qui che arriviamo all'esempio della partita di ping pong, che personalmente ho trovato illuminante: immaginatela insieme a me, disegnate nella vostra mente la scena, col cervello dall'altra parte del tavolo, in scarpette di tela bianca e calzoncini, una racchetta in mano e una pallina. Sta alzando il braccio. Sta per lanciare.
E se fossi gay? (battuta)
Ma no, non è possibile, ho sempre amato le donne! (rilancio)
E se provassi con un uomo e scoprissi che ti piace? (contrattacco)
Ma no, non vorrei mai provarci! Perché sto pensando a queste cose? E poi, come dovrei fare a capire se mi piace un uomo? Mi metto a guardarlo? (rilancio)
Eh, no, così stai pensando da omosessuale. Allora vedi che è vero? (attacco)
Ma no, non è possibile, io amo mia moglie! (controbattuta)
E la partita potrà continuare in eterno, perché la vera vittoria per il cervello è farvi giocare. Nel momento in cui iniziate quella partita, non potete vincere.
E il non ansioso?
De Vicentiis fa anche questo esempio:
E se fossi gay? (battuta)
Boh, chissà, non lo saprò mai! (game over)

Capite? Game over.
Perché il trucco non è cercare in tutti i modi di vincere quella partita tentando disperatamente di trovare qualcosa di definitivo che possa mettere a tacere quella voce, una voce che si farà sempre più irrazionale, isterica e potente mano a mano che il gioco prosegue.
La vera vittoria contro l'ansia è non giocare.

E davvero, mi ha illuminata. Per la sua semplicità, forse eccessiva talvolta, ma che ho apprezzato e sono certa apprezzeranno anche i suoi futuri lettori. Interessante il breve compendio finale, una sorta di saggio nel saggio, che ha come tematica gli autoinganni.
Compratelo. Se siete ansiosi per i motivi più disparati, come me, non potete lasciarvelo scappare.

P.S.: l'esempio che ho usato è lo stesso del libro e in alcun modo riflette le mie opinioni personali sull'omosessualità. Che sono, peraltro, del tutto a favore di qualunque diritto, dal riconoscimento, al matrimonio, alle adozioni. Che poi, che diavolo vuol dire, "diritti"? Perché, noi abbiamo il diritto a ingravidare femmine della nostra specie? Che è, un diritto, perpetrare il proprio makeup genetico, sposarsi? O semplicemente un piacere per suggellare un amore sincero, e anche un atto utilitaristico del tutto legittimo per ottenere il riconoscimento di basilari diritti legali? Boh. Ma comunque, questo non è l'argomento del mio post, perciò concludo qui e vi auguro una serata... senza ansie! ;)

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