giovedì 9 giugno 2016

Esiste il libro più bello del mondo?


Ebbene, oggi vi pongo una domanda che mi ha rosicchiata a lungo.
Tutto è iniziato dopo aver terminato di leggere la saga di Hunger Games, circa una settimana fa, e avervene parlato sulla mia pagina FB. Diciamo che non ero partita bendisposta nei confronti di questa saga, non tanto perché vada o sia andata di moda per lungo tempo, né perché abbia segnato una generazione di ragazzine/i più o meno coscienti di ciò che stavano leggendo; in fondo, anch'io devo essere sembrata piuttosto stupida e urlante, a suo tempo, quando gridavo al mondo il mio amore per Draco Malfoy. E avevo ragione, per la miseria. La saga di Harry Potter era eccezionale.

Il motivo per cui ho iniziato a leggere Hunger Games con diffidenza è Battle Royale, libro di Koushun Takami, se non erro del 1994 o 1996, dove un gruppo di studenti delle medie viene scelto ogni anno per andare su un'isola sperduta e ammazzarsi fra loro fino a decretare un unico vincitore, che andrà a comporre l'esercito governativo. Questo per ricordare la rivolta dei giovani, avvenuta decine di anni prima, contro il potere centrale; le "battaglie reali" non erano altro che una punizione e un monito per le generazioni a venire affinché non sfidassero più il Governo. Vi ricorda qualcosa? A me sì, che diamine. Motivo per cui no, non avrei mai letto Hunger Games, se non mi fosse stato così caldamente consigliato.
E avevano ragione, così come io avevo ragione a volermi riprodurre con Draco Malfoy. Perché in Hunger Games, anche se le premesse sono al limite del plagio, la storia si sviluppa in modo completamente diverso, dal secondo libro in avanti; una storia che mi ha avvinta, specialmente la caratterizzazione di Katniss Everdeen e il suo legame altalenante e carico di tensione con Peeta Mellark, pur detestando, in genere, le storie d'amore. Ma ficcamene una in un gioco mortale dove tutti devono ammazzarsi a vicenda e su uno sfondo postapocalittico, e sono perdutamente tua.

Due settimane scarse. Questo è il tempo che ci ho impiegato per divorare l'intera trilogia, e poi, ruttante e felice, mi sono appollaiata sulla tastiera per chiacchierarne con voi. Sì, buoni, buoni, sto arrivando al punto. A quel punto, una ragazza, il cui giudizio peraltro tengo in alta considerazione, ha commentato dicendo che a lei quella saga non è piaciuta per niente, soprattutto per i motivi per i quali, invece, io me ne ero innamorata. Sono rimasta sorpresa, pensando, come ingenuamente faccio per ogni cosa che mi piace da morire: "Ma come? La bellezza di un'opera non dovrebbe essere universale? Se una cosa è bella, è bella e basta, no? Si può amare o non amare la pizza, ma un'opera che mette in campo emozioni, immagini, sentimenti, dovrebbe essere magnifica per tutti!"

Ho pensato la stessa cosa per svariati libri che per me sono semplicemente perfetti, o vicini alla perfezione: Carrie, Pet Sematary e la saga de La Torre Nera di Stephen King; Sfera di Michael Crichton; 2001 Odissea nello spazio di Arthur Clarke; L'Alchimista di Paulo Coelho; Furore di John Steinbeck; Farenheit 451 di Ray Bradbury; Il signore delle mosche di William Golding; la saga di Harry Potter di J. K. Rowling; le saghe di Hunger Games (Suzanne Collins) e Divergent (Veronica Roth, che deve ancora pagarmela profumatamente per il finale); il succitato Battle Royale di Koushun Takami, La strada di Cormac McCarthy... e ce ne sono molti altri, senz'altro, che ora non mi sovvengono.

Per me questi libri non sono solo perfetti o quasi, ma rappresentano per me la mappa con cui ritrovo me stessa, la mia personale Stella Polare. Senza di loro, non saprei chi sono, né potrei spiegarlo agli altri. Quando morirò, chi vorrà ricordarsi di me dovrà leggere semplicemente questi libri, e mi troverà. Sarò per sempre nell'ombra della Torre, nel rosso campo di rose del Can' Ka no Rey; una degli Intrepidi che salta sul treno gridando di trionfo; e potrei essere io la nuova insegnante di Pozioni, o la prossima donna che, raggiunto il culmine della disperazione e dell'umiliazione pubblica, perde il controllo e sprigiona poteri micidiali contro tutti quelli che l'hanno ferita.

Eppure, ad alcuni questi libri non piacciono. Ci sono persone che non riescono nemmeno a leggerli. Hanno idea, queste persone, di quanto mi ferisca tutto ciò? No, e hanno ragione. La mia è una reazione assurda, lo so. Ma io (come, sicuramente, molti altri oltre a e più di me) non mi limito a leggere i libri, ma li annuso, ne addento la copertina e, con le labbra macchiate d'inchiostro, ne mastico lentamente le bianche interiora. Entrano a far parte di me, della mia identità, e rifiutare uno di quei libri è come rifiutare me stessa. E' giusto? E' sbagliato? Oh, lo so che la risposta di maggioranza è più vicina alla seconda opzione, ma è così che sono fatta io. Sbagliata, fuori dalle righe, impulsiva, ma anche reale. Di sangue e ossa e grida di guerra.

In fondo, ci sono anche libri che io stessa non sono riuscita a finire di leggere: IT, ad esempio, pur amando Stephen King; sempre di King, Il miglio verde; e non mi è piaciuto particolarmente L'ombra dello scorpione, così come non ho apprezzato tanti altri libri di svariati autori. Non sto riuscendo a finire Lessico famigliare della Ginzburg. Detesto Il piacere di D'Annunzio, mentre una mia collega mi disse, anni fa, che dal canto suo avrebbe salvato solo quel testo, se si fosse trovata in una biblioteca in fiamme. Sempre lei mi consigliò di leggere Narciso e Boccadoro, perché mi avrebbe conquistata; lo comprai, ma non riuscii ad andare oltre la seconda pagina. Non credo di averglielo mai confessato, perché non volevo ferirla, pensando che reagisse come me a questo genere di giudizi. E chissà quante persone ho ferito in vita mia, con giudizi su libri che per loro erano il sole e la luna, le stelle, le dolci braccia di una madre, Dio.

La verità è che non esiste una verità, bensì solo relativismo.
Però, vi domando: secondo voi, esiste il libro più bello del mondo? Un libro che metta d'accordo tutti, che nessuno possa trovare imperfetto o che, almeno, possa piacere abbastanza ad alcuni e far innamorare altri, ma non disgustare o lasciare indifferente nessuno? La Divina Commedia? La Gerusalemme liberata? Uno, nessuno e centomila? No, no, e no. E allora quale?
E gli altri tipi di arte - scultura, canto, pittura, musica, cinema e via discorrendo - sono diversi? Siamo sicuri che La Venere di Botticelli piaccia proprio a tutti, che chiunque sia innamorato della Gioconda, del Laocoonte, della Sonata al chiaro di luna, di Casta diva cantata da Maria Callas, di Via col vento


lunedì 6 giugno 2016

Edizioni del Baldo: delicatezza e poesia

Buondì, fanciulle e fanciulli!
Cioè, quasi buonasera. Anzi, buonasera inoltrata.
Bene, ora che ci siamo accordati sui saluti, vorrei chiacchierare con voi di una Casa Editrice che ho conosciuto di recente e che mi sta già conquistando: Edizioni del Baldo!



Non sono uno spettacolo? Non solo le copertine, ricche, delicate e attraenti, ma anche la qualità della carta, porosa e un po' antica, come quella dei libri e dei quaderni di una volta.
Andiamo con ordine: la Casa Editrice in questione si occupa di quaderni, ricettari, agende, diari, taccuini tematici, fiabe per bambini e molto altro, spaziando anche ai magneti e alla carta regalo, per non parlare delle splendide borse in cotone, tutte con stampe di qualità. Il sapore di tutto ciò che produce questa Casa è dolce, nostalgico, profuma di buono, di cucine di una volta e vecchi abbecedari, di miele e sapori dell'orto, di sole e innocenza.
Non so come spiegarvelo, ma questi disegni mi fanno sentire al sicuro, come se fossi ancora bambina e nulla di brutto fosse ancora accaduto. Come se... oh, non importa. Ma mi sento così e tanto basta.

Guardate che meraviglia che sono gli interni dei quaderni che ho comprato:










Fra l'altro, se c'è una cosa che adoro è quando una Casa Editrice lavora con tanta cura e rispetto per la materia prima, ma anche per la mente dei lettori: gli aforismi che trovate nei loro quaderni non sono fra i più conosciuti e questo per me contribuisce a alzare di molto il livello culturale della loro produzione, pur restando di contingenza e non puramente letteraria e/o narrativa.


E voi? La conoscete? :)

giovedì 26 maggio 2016

La mia vita torinese: giorno 3, in cui schivo un serial killer


Giorno 3
In cui schivo un serial killer


COSE BELLE: la colazione letteraria, la mostra su Matisse, due bambini che giocavano senza poter parlare fra loro, i nerd

COSE INQUIETANTI: il serial killer, la canzone che canticchiava il serial killer, i nerd




Bene.
Sono le 7.26 di mattina, io sono immersa nel tepore delle lenzuola, ed è così che mi sento: bene. Odo il vociare del mercato affiorare dalla strada, il profumo di qualcosa di buono, forse del pane, che cuoce da qualche parte.
Sarebbe un risveglio perfetto, sicuramente migliore di quello che ho avuto ieri, se solo, tutto d'un tratto, non sentissi una voce strana in mezzo a quelle del mercato. Sembra che canti, ed è vicina.
Mi alzo, avvolgendomi tipo piadina nel lenzuolo, e mi avvicino alla finestra. Ah, per inciso: non sognatevi di girare in mutande qui, perché l'inclinazione particolare della strada sottostante fa sì che i passanti siano praticamente vostri compagni di stanza. L'ho imparato a mie spese: la prima sera stavo per godermi la liberazione di slacciarmi il reggiseno quando un tizio mi ha fischiato e salutata con la mano. Un tizio. In strada. Che mi sorrideva. Spettacolo.
Ma comunque, tornando alla voce.
Sono appiccicata al vetro, con le mani a coppa ai lati degli occhi per vedere meglio, ma niente. Molti teli stesi sull'acciottolato, mucchi di borse finte, orologi, ombrelli, bonghi; un quantità di signori afroamericani, un bel po' di mediorientali e una moltitudine di cinesi, ma nessuno che stia cantando.
Mistero.
Torno a letto e la voce ricomincia. Più vicina, ora. Di colpo, capisco che non viene dall'esterno.
L'estraneo è già qui.
E vuole uccidermi.



Oddio, non è che ne sia proprio sicura, ma se senti un tipo che canta canzoni inquietanti alle sette del mattino in un corridoio di un hotel, beh, tanto a posto quel qualcuno non deve essere. La canzone aumenta d'intensità, come nella migliore tradizione thriller, da Criminal Minds a La tempesta del secolo, passando per Nightmare, ed io comincio a impensierirmi. Mi sono chiusa a chiave? Sì. E se il tipo avesse una sua chiave? Se fosse l'ospite francese di ieri, quella esagitata per i croissant a colazione, perché magari non ne ha trovati e sospettasse, vista la mia pinguedine, che glieli ho mangiati tutti io?
Dilemma.

Alla fine, decido di rischiare. Mi vesto, tenendo sempre d'occhio la porta (e la finestra, nel caso il mio simpatico amico della prima sera ritorni a salutarmi), mi trucco e mi preparo alla battaglia: ho un pennello per ombretto in una mano (non ho avuto il tempo per affilarlo) e un panino avariato nell'altra. Mi ero scordata di averlo, in realtà: avrei dovuto mangiarlo il primo giorno, ma ora sono felice di essermene dimenticata.
Mi piazzo di fronte alla porta e abbasso la maniglia.
Sono pronta.



Il corridoio è deserto.
C'è solo la voce, che proviene da dietro la porta dirimpetto alla mia. Sopra c'è scritto PRIVATO. La bocca mi si prosciuga mentre richiudo la porta della mia camera, cercando di fare meno rumore possibile. La canzone sembra napoletana e il tipo la canta con uno stonato trasporto che non mi sento di scoraggiare del tutto. E' uno dell'hotel? Un ospite che ha sbagliato porta? Non lo so e non voglio saperlo.
M'infilo la chiave in tasca e me la filo alla velocità della luce.



Mi materializzo di sotto tipo teletrasporto, dove, per fortuna, mi attende la prima cosa bella della giornata. C'è un'unica tavolata in sala buffet, e la ragazza dell'hotel (istantaneamente la elimino dalla lista dei sospettati) mi propone di mangiare insieme agli altri ospiti, che mi sorridono speranzosi. Ora, io sono un animale sociale più o meno quanto la gente per strada mi scambierebbe per Naomi Campbell, ma visto che ho appena scampato la morte (per ora, mi ricorda una vocina) decido di farmi coraggio e socializzare.
E faccio bene, perché intorno al tavolo mi raggiungono, piano piano, diverse persone interessanti: scrittori, artisti, perfino un insegnante della Scuola Holden di Baricco. E scopro, fra il divertimento, l'onore e il panico, che tutti gli altri sono studenti dei corsi della Holden.
Cerco di dividere l'attenzione fra il loro talento e il mio tentativo di capire se uno di loro abbia la voce del serial killer, ma alla fine sono costretta ad ammettere che non sospetto di nessuno di loro: sono tutte persone fantastiche, brillanti e molto simpatiche, esponenti di un mondo di cui spero tanto, un giorno, di meritare di far parte anch'io.

Lascio i bagagli in giacenza, salutando per l'ultima volta Henry, Mike e Georgia (ma solo nel mio cuore; col cavolo che salgo di nuovo lassù, con un serial killer a piede libero) per poi dirigermi verso la mostra su Matisse, ospitata dal Palazzo Chiablese.
Pare quasi che sappia di cosa sto parlando, nevvero? Eppure mi perdo qualcosa come tre volte per percorrere i 15 minuti scarsi che mi separano, secondo il GPS, dalla mia destinazione.
Comunque, alla fine riesco ad arrivare e, anche se non è permesso fare foto nemmeno senza flash (ma poi, io non me ne intendo e sicuramente ci saranno ottimi motivi, ma famo a capisse: nun è che se ce faccio la foto je copio l'idea a Matisse, eh), m'inoltro (che fa? Cincischia???) per le sale del museo. Che è bello, porca vacca se è bello!



Non ci sono solo quadri di Matisse, ma i suoi spiccano e la selezione proposta è davvero impressionante. Molti sono gli stili - dal fauvismo fino ad arrivare a una semplificazione brutale delle forme e dei colori, con una predilezione anche per il circo e i suoi protagonisti - che il pittore e scultore ha attraversato lungo tutta la sua produzione artistica. 
Bella anche la piccola stanza-cinema, in cui viene mandato in onda un video di una decina di minuti in cui Matisse mostra come dipingeva: pochi, semplici tratti, con accostamenti di colori complementari... ma anche con tanta riflessione e, sì, anche tentennamenti. Guardando al rallentatore la sua mano, si nota come il pennello ondeggi molto sul foglio prima di calare e tracciare con precisione quella singola linea che andrà a comporre l'opera finita.
Guardate che meraviglia questo dipinto, con quale candore risalta l'abito della ragazza sullo sfondo rosso:


All'uscita, vado a pranzo a La maison de Marie, un ristorantino in una corte interna di Via Garibaldi. Anche qui, prima di trovarlo mi perdo tipo due volte, però alla fine lo individuo. Patate al forno da paura, così come il vitello tonnato. Sembrano buoni anche i dolci, ma preferisco stare a guardare due bambini, uno italiano e uno francese, che prima stanno con le loro famiglie ai rispettivi tavoli, poi si guardano con desiderio e infine, abbandonata ogni remora, si corrono incontro e si mettono a giocare, senza nemmeno parlare la stessa lingua. Ma a cosa sarebbe servito, in fondo? Ridono allo stesso modo, e tanto basta.

L'ultima avventura che mi aspetta è il Museo di Arte Orientale. In realtà, qui ci sono già stata due anni fa, ma stavolta c'è una mostra temporanea che mi solletica: quella sui guerrieri e i samurai nell'epoca moderna, dal nome "Bushi".



Chiedo un biglietto, faccio una figuraccia con l'assistente quando non trovo il portafoglio e poi, passata la paura, mi dirigo verso questo spettacolo:




E via, che altro c'è da dire?
Beh, che subito dopo mi aspetta questo:



E questo:



E lì comincio a sentirmi su di giri, anche perché ero convinta mancassero cinque mesi (CINQUE! SOLO CINQUE, VI RENDETE CONTO?!) al Lucca Comics, invece dentro trovo degli artbook originali da poter sfogliare (dopo aver indossato dei guantini bianchi che, per qualche motivo, connetto al serial killer che ormai dovrei aver seminato) e anche la cosa più straordinaria dell'universo:










Sì.
Citazioni che scorrono sullo schermo come le introduzioni dei film di Star Wars.
Non penso di aver mai visto una cosa più nerd e mastodonticamente figa in tutta la mia vita. Devono pensarla così anche gli altri visitatori della mostra, che da qui in avanti chiameremo, per semplicità, i nerd. I nerd sono decine, tutti intorno a me, e contemplano le action figure sotto le teche di vetro con un misto di stupore, rimpianto e bramosia febbrile. Copiosi rivoli di bava colano dalle loro bocche di fronte a queste meraviglie:




















Ma la cosa più bella sono i loro figli, che un po' mi fanno pena. Perché? Beh, vi faccio un esempio di uno dei dialoghi cui ho assistito:

Bambino inspiegabilmente non nerd: "Mamma, sono stanco, perché siamo ancora qui?"
Madre nerd: "Taci."
Bambino: "Ma ho fame! E mi scappa la pipì! E poi mi annoio..."
Madre nerd: "Ma piantala. Non capisci niente."
Bambino, sul punto di mettersi a piangere: "M-Mamma, che cos'hai? Perché fai così?"
Madre nerd: "BAMBINO, TU NON CAPISCI NIENTE."

Povera donna. Cioè, lo so che il 99% della gente avrebbe appoggiato il bambino, ma io la capisco, quella madre nerd. Uno dei motivi è il seguente:



Cioè, capite che c'è una statua a dimensione naturale di Yoda, e che la sua spada laser si illumina al passaggio delle persone? Voglio dire, bambino, taci. Impara e taci.

Ma, purtroppo, anche questo paradiso finisce, e così devo necessariamente proseguire la mia visita lungo il museo vero e proprio, le cui collezioni, a dire il vero, conosco già. Rimango comunque affascinata dalle armature, un paravento giapponese dipinto con rami di ciliegio su fondo oro e da questo:



No, non è avorio.
Sono ossa umane. Di bambini inspiegabilmente non nerd? Non lo sapremo mai.
Comunque, poco dopo esco dal museo e, purtroppo, so già che i miei minuti a Torino sono contati. Dopo alcuni saluti e aver recuperato il trolley, mi avvio verso la stazione e salgo sul treno. Mi metto comoda (per quanto possa stare comoda una persona con un trolley grosso quanto un giocatore neozelandese di rugby) e mi preparo alle quattro ore di viaggio che mi riporteranno a casa, dove il mio gatto, i miei genitori ed i miei amici (sì, sono consapevole di aver anteposto il gatto a loro) mi aspettano.
Il macchinista sale a bordo e il panorama fuori dal finestrino inizia a muoversi. Anche morire sarà così? Chiudere a chiave una stanza, preparare i bagagli e lasciare un posto che hai amato profondamente, per tornare in un luogo che sai essere la tua vera casa?
Non lo so. So solo che ora la campagna scorre veloce e che porterò sempre nel cuore questo weekend, con le sue cose belle e quelle inquietanti, gli incontri, le emozioni, gli sguardi di Van Gogh, la pioggia improvvisa, gli alieni fluorescenti sulla parete, gli Urania, i mici del Miagola Caffè e, sì, anche un po' il serial killer, che in fondo deve sentirsi depresso quanto me, ora che sa di avermi mancata. Tornerò, non preoccuparti, mio inquietante amico.
Tornerò.


Fine del viaggio