domenica 29 aprile 2018

Editoria cartacea: è davvero morta?

Coucou.
Ultimamente mi è capitato di sentirmi dire che l’editoria è in crisi. 
È inutile scrivere libri, se tanto la gente non li legge.
Le librerie faranno la fine delle agenzie di viaggi.
È inutile cercare di farsi pubblicare da piccole case editrici se tanto rischiano il tracollo ogni due minuti a causa di amazon ed e-reader.” (Ma, sempre a sentire le voci, è inutile anche cercare di farsi pubblicare dai big, perché non considerano gli autori emergenti, ndr).
Il mondo sta andando avanti e, presto, nessuno leggerà più. Si limiteranno tutti a restare incollati davanti agli schermi della televisione, fremendo all’idea di vedere l’intro di una nuova serie tv.

Lasciatemi dire una cosa: non concordo. 
Sì, forse è vero, con l’avvento degli e-reader le vendite del cartaceo possono essersi ridotte. Secondo i dati dell'Associazioni Italiana Editori, se nel 2014 a leggere in digitale erano solo il 28% dei lettori, nel 2017 la percentuale è salita al 40. Questo può sembrare spaventoso. Un incremento del 12% potrebbe far sospettare un effettivo decadimento dei sistemi di vendita tradizionali. Io stessa ammetto di avere un e-reader e mi piace. È piccolo, comodo. Ci puoi scaricare anteprime e leggere un numero discreto di pagine prima di procedere all’acquisto del romanzo. Lo ficchi in borsa, aspetti di salire sul bus, poi lo accendi e scegli la lettura che più ti aggrada. Semplice, veloce. Apparentemente perfetto. Eppure, se dovessi scegliere di acquistare un titolo opterei per il cartaceo. Perché? Beh, innanzitutto perché lo leggo meglio. Esiste un importante studio che ha dimostrato che, leggendo su un e-reader, in media si perde una parola su 10 durante la lettura. Una lettura più disattenta, quindi, ma anche come esperienza meno avvolgente: mancando il rumore delle pagine, il loro odore e la sensazione tattile nello sfogliarle, il cervello registra la lettura a schermo come una esperienza che alla lunga rimane meno impressa rispetto a quella concreta di leggere un libro fisico. In poche parole, tendiamo a dimenticare ciò che leggiamo su schermo e a ricordare ciò che leggiamo sulla carta.
Secondariamente, sceglierei un cartaceo perché mi piace finire un libro e trovargli un posticino in libreria. È un po’ come dire “ok, piccolino, ti ho letto. Sei diventato parte della mia vita. Ora puoi diventare parte anche della mia casa, come una coppa su una mensola.”
Lo so, può suonare folle, eppure non credo di essere l’unica a fare questo ragionamento. Amo il fruscio della carta. Adoro entrare in una libreria e respirare profumo di libri. Mi piace aggirarmi tra i titoli, come una vagante in cerca di una nuova terra, le persone che corrucciano la fronte e si siedono su una poltroncina per gustare una pagina o due del libro che hanno scelto, prima di dirigersi alla cassa. Amo agguantare qualche titolo e leggerne gli incipit. Amo l'idea stessa di avere a portata di mano migliaia di storie che si possono toccare e far proprie.



(Libreria del Mondo Offeso, via Cesare Cesariano 7, Milano.)



Beh, credo si sia capito… mi piacciono le librerie! E non sono la sola… Come faccio a dirlo? L’afferma sempre l’AIE, secondo cui le librerie continuano a essere il canale principale di acquisto, con una percentuale del 76% a fronte di un 29% di internet.
E se è vero che le grandi catene sono quelle che ottengono una media più alta di vendita (il 45% dei lettori sceglie di comprare in una grossa libreria, mentre il 27,8% si rifornisce dalle indipendenti) è vero anche che qualcosa si sta muovendo affinché le più piccole possano essere avvantaggiate. È il caso del decreto di agevolazione fiscale firmato nei giorni scorsi. Secondo tale provvedimento, le librerie potranno accedere a una fascia di credito nella misura massima di 20 mila euro per le indipendenti e 10 mila per le altre. Perché? Per favorire i centri, ovviamente, dove in genere si affacciano piccoli esercizi dotati di carattere e competenza. (Ora, non voglio fare nomi, ma c’è una libreria indipendente, qui dalle mie parti, che è eccezionale. Basta entrare al suo interno per sentirsi DAVVERO in un posto diverso. E, credetemi, non lo dico per la macchina da scrivere che tengono esposta in una teca nel pavimento!)




Sì, è tutto molto bello, direte voi, ma perché vi faccio questo discorso?
Vedete, a volte si ha la tendenza a dare per scontato le cose. Ci ostiniamo a credere che le persone che ci circondano siano contenitori vuoti, gente che passa i pomeriggi a guardare programmi trash in tv, messaggiando con il nuovo iPhone riguardo a pettegolezzi infondati. Gente incolore.
Ragazzi, cerchiamo di aprire gli occhi e di smetterla di etichettare gli altri. Anch’io ho un iPhone. Anch’io a volte sono così stanca da spalmarmi sul divano a guardare roba che è meglio non citare. Anch’io posso sbagliare una parola. Eppure questo non fa di me una persona incolore, o stupida.
Viviamo in una società frenetica, dove si sgobba giorno e notte, persino con la febbre, per non rischiare di perdere il posto di lavoro. Lavoriamo, corriamo a fare la spesa, torniamo a casa e cuciniamo. Tutte cose che Alice e io chiamiamo “bagni di realtà”. Aggiorniamo i nostri contatti sui social network, mettiamo like a qualche foto di sconosciuti che vivono a migliaia di chilometri da noi, poi ci stendiamo sul divano e guardiamo la tv senza più energie, addormentandoci venti minuti dopo senza aver visto quel bel film che volevamo vedere. Siamo talmente saturi di doveri da voler solo continuare a mangiare i giorni nella speranza di poter trarre un sospiro di sollievo.



È chiaro che un ritmo simile non aiuta la lettura (e neanche la scrittura). Non aiuta nemmeno a sognare. Certo, al mondo esiste anche gente che detesta i libri, che ne è annoiata, ma non sono tutti così. Per fortuna, esiste anche chi si nutre di storie. Persone che se private della lettura cadono in depressione, gente che ha un bisogno costante di vivere in un altro mondo, che sia Hogwarts o Westeros.
Bene, l’editoria VIVE per queste persone e gli scrittori VIVONO affinché loro possano sognare di VIVERE realmente, chi di avventure, chi di amore e chi di tensione.
Quindi, prima di dire che l’editoria è morta, aspettiamo. Prima di persuadere un vostro amico a mollare la scrittura, aspettate. Lasciamo che i lettori affezionati continuino a sognare e proviamo ad avvicinarci a coloro che hanno perso la forza di farlo. Diamogli un posto dove rifugiarsi, o un personaggio (Gatsby, ti amo Gatsby) da amare. Prendiamoli per mano e ficchiamogli il naso dentro alle pagine di un libro, dove potranno inebriarsi del profumo di carta. Vedrete che anche loro, un poco alla volta, diventeranno sognatori.


L’editoria non morirà, finché ci saranno dei lettori.

- Francesca

giovedì 26 aprile 2018

Coerenza e plausibilità

Coucou.
In questi giorni c’è un dubbio che continua a frullarmi per la testa: quando leggiamo un romanzo è così essenziale che tutto sia plausibile?
Mi spiego meglio.
Dopo aver inviato il mio primo libro (che d’ora in avanti chiamerò il Pupo) ad alcune case editrici mi sono trovata a dover progettare l’intera trama della mia prossima creatura. Non che lei mi sia del tutto estranea, sia chiaro. Trattandosi di una saga, sin dal giorno in cui ho messo mano al primo capitolo del Pupo avevo idee ben chiare circa i libri a seguire. Tuttavia (odio quando ci sono i tuttavia) avere qualche punto cardine non significa avere una trama già pronta. Ci sono sempre elementi da dover studiare, dialoghi da costruire e relazioni da instaurare tra i vari personaggi. Proprio per questo motivo mi sono fermata a vagliare alcune opzioni possibili per ciò che devo scrivere. Il risultato? Mah, alcune scelte non mi piacciono, ma sono plausibili. Vi faccio un esempio: ho bisogno che Anna vada a Torino perché là, anche se lei ancora non lo sa, incontrerà l’amore della sua vita. Ma se a Torino Anna ha il terrore di ritrovare il suo ex fidanzato che la stalkera da una vita, allora Anna - per plausibilità delle cose - non andrà a Torino. E questo non mi piace. Altre scene, invece, mi piacciono molto, ma non sono credibili. Riprendiamo Anna. Se decidessi di farla andare a Torino, magari costruendo un aspetto coraggioso (e un po’ stupido) della sua personalità, otterrei delle belle situazioni, ma avrei forzato la mano. Per una scelta logica e razionale Anna NON dovrebbe voler andare a Torino per nessun motivo, tantomeno per qualcosa che lei non sa nemmeno di dover trovare.
Da un lato mi dico che si parla spesso dell’imprevedibilità della natura umana. Le persone possono fare cose incredibilmente stupide, senza pensare alle conseguenze. Dall’altro, però, continuo a ripetermi che voler forzare le cose sia un po’ come costringere la storia a crearsi secondo i miei voleri, prendendo in giro i miei personaggi e i lettori che poi dovranno seguirli. 
Per questo, in passato, ho dovuto riscrivere tutto il Pupo, che si basava su una scelta incoerente con il personaggio che la compiva, ed è per questo che oggi mi sono fermata a pensare. 
Fino a che punto la plausibilità è da tenere in considerazione? Possiamo nascondere un atto incoerente con la buona scrittura? Esistono altri romanzi (o film) dove i personaggi hanno compiuto scelte prive di alcuna plausibilità e nessuno se ne è accorto?

Ecco, su questa ultima domanda vorrei sentire anche i vostri pareri. Personalmente, vagliando gli ultimi romanzi che mi sono capitati sotto mano, ho trovato qualche elemento discordante. 


Pet sematary (Stephen King, 1983)
Allora, premesso che mi è piaciuto moltissimo questo romanzo (l’ho divorato) c’è una questione che forse, in qualità di scrittrice, trovo incoerente: abbiamo un protagonista (medico) sconvolto per la morte di uno studente. Perché sconvolto? Perché in punto di morte il ragazzino gli ha nominato il cimitero degli animali che si trova dietro casa del protagonista. Come se non bastasse, la notte successiva, il povero dottore sogna il ragazzo che lo accompagna al cimitero e gli dice di non avvicinarsi per nessun motivo. Sembrerebbe un incubo, e fin lì tutto ok, ma al mattino successivo il protagonista si sveglia sporco di fango ed erba e quindi è chiaro, non aveva sognato. Era tutto vero! Non so voi, ragazzi, ma se questo capitasse a me col cavolo che mi avvicino al cimitero! Anzi, a dirla tutta cambio casa ed emigro in un altro paese!


Ma io sono una codarda e questo non è il caso del dottore a cui, sfiga vuole, muore il gatto. Personalmente, avrei seppellito la bestiola nel giardino di casa, e avrei comprato un gattino a mia figlia. Ma non il protagonista, no! Lui, nonostante il ragazzo morto e il sogno/non sogno in cui veniva avvisato di non avvicinarsi a quel posto, decide di seguire il consiglio del vicino di casa e lo segue al cimitero, dando il via a tutta la trama.

Adesso, forse esagero io a considerare la plausibilità delle cose e la complessità dello stato mentale umano, ma se questo tizio era davvero così sconvolto e spaventato dal cimitero… perché diavolo c’è andato? Per far proseguire la trama, questo è sicuro. Senza quel tassello non ci sarebbe stata nessuna storia.


Un altro esempio, Shannara (la serie)
Premetto che ho visto solo il pilot della serie tv, quindi non vogliatemene a male se dovessi citare qualcosa non presente nei libri.

In Shannara, la madre del protagonista muore e lui va a parlare con lo zio. Gli mostra delle pietre blu che sua madre, in punto di morte, gli ha ceduto. Lo zio si allarma, dice che è a causa di quelle pietre se il padre del protagonista è morto. Si raccomanda affinché il ragazzo le butti via, poi che fa? Se ne va e molla lì il protagonista che, guarda caso, poco dopo sale in sella e dice allo zio di voler partire per diventare un medico. Lo zio lo lascia andare chiedendogli se si era disfatto delle pietre. A quella domanda il protagonista dice di sì (mica scemo), poi, appena lo zio se ne va di nuovo, apre il pugno e ammira le pietre.
Adesso, ripeto, forse sono io quella esagerata… ma ha senso? Se delle pietre avessero ucciso mia sorella e ora mio nipote me le passasse sotto il naso dicendomi che sono magiche, e che può fare grandi cose con quelle, io altro che dirgli di farle sparire… io le distruggo. Le frantumo in mille pezzi e ci saltello sopra. Cioè, magari sbaglio, ma ho due nipoti e non mi sognerei MAI di fargli correre dei pericoli, specie se questi hanno appena perso i genitori!
Eppure parliamo di una saga che ha avuto successo, quindi mi domando: me ne sono accorta solo io? Sono io che sbaglio a considerare solo quello che GENERALMENTE un pg dovrebbe fare? 

O ancora, Battle Royale (Batoru Rowaiaru, 1999)

Anche in questo caso parlo di uno dei romanzi preferiti, tuttavia c’è una cosa che non mi torna: se ad andare agli Hunger Games (li chiamerò così per praticità) è stata una classe del liceo (o erano medie? Vuoto di memoria) com’è possibile che tutti loro fossero assassini infallibili? Cioè, ok uno o due… ma gli altri? Insomma, io ho trent’anni e la prima volta che ho provato a tirare con l’arco a momenti faccio fuori l’istruttore… com’è possibile che dei ragazzini, invece, riescano a centrare la testa dell’avversario come se niente fosse? 

Lo capisco in Hunger Games, dove la protagonista era una cacciatrice ed era allenata per una situazione simile… ma loro?

Bene, con questo credo di aver finito gli esempi (o almeno quelli che mi vengono in mente). Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate voi, se non altro per capire se sono io quella esagerata o se, davvero, la plausibilità non è sempre così essenziale ai fini di una storia.


Un abbraccio

- Francesca

mercoledì 25 aprile 2018

Libri: street art, murales, sculture fantastiche sparse per il mondo

Succede spesso, durante uno dei miei viaggi (non che ne faccia molti, ma qualche weekend in solitaria ogni tanto me lo concedo; a proposito, uiiiiii!, fra il 10 e il 12 sarò a Torino per il Salone del Libro, ma ve ne parlerò in un altro post), che io mi perda tra i vicoli di questa o quella città. Non in cerca di qualcosa in particolare, bensì, in genere, per perdermi. Lasciarmi trasportare tra le antiche vie dimenticate fino a sentire il mio cuore battere allo stesso ritmo di quello della città.
E' così che mi capita di scoprire piccole forme d'arte, nascoste tanto ai turisti quanto agli autoctoni, ormai troppo abituati al viavai quotidiano per ricordare l'esistenza di questi ritagli segreti di arte: un piccolo murale, una frase scritta su una panchina, o perché no, un libro abbandonato da qualcuno su un muretto, perché qualcun altro lo trovasse e riscoprisse il piacere della lettura.
Oggi mi sentivo così, in vena di scovare forme d'arte nascoste; perciò, anche se al momento sono confinata in casa, ho preso sottobraccio la mia valigia immaginaria e ho deciso di mettermi in viaggio con voi, per meravigliarci tutti insieme davanti alle installazioni librarie sparse per il mondo.

Per iniziare, non dobbiamo andare lontano. Aprite il vostro borsone da viaggio e tirate fuori gli stivaloni da pesca, perché stiamo per andare in un luogo molto, molto umido. Si tratta della libreria Acqua alta a Venezia, in un vicolo silenzioso vicino a Piazza San Marco. Pensate che, per proteggere i volumi dall'umidità e dall'acqua, in questa libreria non esistono scaffali: i libri si trovano su piccole gondole, vasche, barche, canoe. Tutto grazie alla fantasia visionaria di Luigi Frizzo, che nel 2004 ha fondato la libreria e, da allora, ne dirige l'andamento e guida i turisti alla sua scoperta. Il suo fiore all'occhiello è l'uscita d'emergenza: una scala di libri riciclati (ogni singolo tomo sarebbe stato altrimenti destinato al macero) che vi riporterà alla realtà, come al termine di una spedizione nelle viscere della Terra.

E non solo. Da qui godrete anche di una magnifica vista panoramica sui canali della città e, in particolare, sul palazzo in cui Hugo Pratt ambientò una delle storie del celebre Corto Maltese. C'è anche una sorta di finestra sul canale con tanto di sedie e divanetto da cui potersi godere il panorama, magari sfogliando il libro introvabile che cercavate da una vita e che ora, finalmente, dopo averlo reperito gironzolando in questo labirinto di libri, potete stringere forte al petto, odorandone il profumo di carta, polvere e poesia.




Molto particolare anche l'iniziativa Neverending ends: 100 last pages, un'opera d'arte firmata dall'italianissimo Andrea Mastrovito e installata nel Villaggio degli Sposi di Bergamo. Trattasi di lastre di cemento su cui sono state incise le pagine letterarie preferite degli abitanti, in una sorta di biblioteca a cielo aperto pensata per gli amanti e per chi ancora si deve innamorare, perché possano passeggiare e trovarsi anche grazie a queste meravigliose citazioni:


Appena un po' più lontano, a Lanusei (Sardegna), si trova un murale dipinto dall'artista italiano Mauro Angiargiu. Molte delle sue opere, realizzate con le tecniche più disparate, si trovano in tutta l'isola.


Bene, e ora siete pronti ad abbandonare l'Italia con me? Vi prometto che sarà un viaggio favoloso. La prossima tappa non è neanche troppo lontana: si tratta, infatti, di una stupefacente installazione libraria nel paesino svizzero di Romainmtier, al confine con la Francia. Qui ogni anno si svolge un'affascinante fiera del libro usato ed è proprio grazie a questa ricorrenza se l'artista Jan Reymond ha iniziato, nel 2005, a costruire queste installazioni per tutto il paese: utilizzando libri usati rimasti invenduti e materiali rovinati, ha creato un piccolo mondo fatto di magia, stupore e meraviglia, che ha il potere di far immergere chiunque nell'universo dei libri.


Tornando ai murales, spostiamoci in Francia per ammirare quelli che potete trovare a Parigi e alla Bibliothèque de la Cité a Lione:

      

Viaggiamo verso nord e L'Aia, nell'Olanda meridionale, per trovare un'altra forma d'arte a tema libresco. Si tratta della facciata e dei giardini del Meermanno Museum - House of the books, famoso proprio per le sue incredibili installazioni a opera dell'artista spagnola Alicia Martin. Una vera e propria cascata di libri:





Riprendiamo in mano la nostra valigia e spostiamoci questa volta verso est, in Germania, ricca di installazioni e murales artistici. Alcune sono molto famose, come lo strabiliante quartiere degli artisti (Kunsthof) nella città nuova di Dresda, ma oggi voglio visitare con voi qualcosa di nuovo, muovendoci tra Francoforte, dove possiamo ammirare questo dipinto dell'artista brasiliano Tinho, e Colonia, terra fertile per gli artisti e per la cultura letteraria internazionale. Famosa non solo una cascata di libri sulla facciata di questo negozio, ma anche questo piccolo chiosco, chiamato "minibib", nello Stadtgarten: qui è possibile portare i propri libri e prendere in prestito quelli già presenti, un po' come nelle bibliocabine, minuscole biblioteche prive di personale ricavate da vecchie cabine telefoniche. Io ho la fortuna di averne una addirittura a Santo Stefano di Magra, nel paesino in cui vivo!




Altre forme d'arte libresca e murales si trovano anche in Olanda, Svezia, Irlanda, Russia, Polonia, ma io voglio spingere lo sguardo un po' più in là, oltre l'oceano. E' lì che sogno davvero di andare, un giorno, ed è lì che voglio portarvi adesso, volando sulle rapide ali del cielo come il fantasma del tempo passato di Ebenezer Scrooge. L'America, infatti, non è solo la patria degli indiani, dei cowboy, degli hot dog e del Mc Donald's; gli USA offrono anche un panorama variopinto ispirato alla cultura e alla letteratura mondiale, come ad esempio accade nella mastodontica biblioteca pubblica di Kansas City (Missouri): qui, quando nel 2006 si rese necessario ampliare il parcheggio della struttura, si decise di dipingerne la facciata a mo' di scaffale di libreria. Ventidue i volumi presenti, tra cui anche "Il signore degli anelli" di J . R. R. Tolkien e "Fahrenheit 451" di Ray Bradbury.
Magnifica anche la facciata della biblioteca della Contea di Livingston, anche questa dipinta per mascherare e abbellire la struttura dedicata al parcheggio. La biblioteca si trova a Chillicothe (Missouri), e l'opera è stata realizzata dall'artista locale Kelly Poling. I libri dipinti, in questo caso, sono circa 150, dai grandi classici a un volume intitolato "Storia dell'Università del Missouri". Tra le coste dei libri vi sono anche un mappamondo, segnalibri e una ragazza che legge.

Restando sulla costa est, spostiamoci a New York per apprezzare questa gigantesca scultura che invita alla lettura: si tratta della celebre scritta "READ", ossia "leggi/leggete", inteso all'imperativo, posta all'entrata della biblioteca pubblica della città. La scritta, alta dieci volte un essere umano, è stata realizzata mettendo insieme oltre 25.000 libri del Dr. Seuss.


Da tutt'altra parte, a San Francisco, c'è una delle mie creazioni artistiche preferite: si tratta di "Flying books", un'opera composta da due espressioni artistiche. La prima è un murale dal sapore jazz creato da Bill Weber; l'altra, un'installazione di Brian Goggin e Dorka Keehn dal titolo "Language of the birds". E non è finita qui. La magia di quest'opera sta nel fatto che i libri sospesi - ventitré, per l'esattezza - sono tutti costruiti a led a energia solare e muniti di una cordicella per accenderli, perciò questo è il panorama notturno che ne consegue: 


L'installazione si trova sopra la libreria City Lights (l'avranno fatto apposta? Io lo avrei fatto apposta). Per rappresentare al meglio la cultura della Chinatown di San Francisco e North Beach, in cui l'installazione trova le sue fondamenta, i due artisti hanno addirittura inciso, nella pavimentazione della piazza sottostante, parecchie parole tratte da libri in inglese, cinese e italiano. Dalla cultura Beat, alla poesia rinascimentale della città, a scrittori cinesi locali, queste citazioni rappresentano almeno cento autori, compresi Armistead Maupin, William T. Vollmann e Jade Snow Wong.


Anche in America, così come in Europa, esistono svariate città che ospitano espressioni artistiche come queste, e lo stesso accade in America del Sud. Incredibili le opere a Cleveland, Buenos Aires, Colonia del Sacramento; ma c'è un'ultima opera che mi ha colpita più di ogni altra, e per mostrarvela devo farvi viaggiare all'indietro: non solo nello spazio, quindi, ma anche nel tempo.

Per l'esattezza, fino al 2016, quando in una sola notte, il primo di ottobre, in un strada nel centro di Toronto, Hagerman Street, in Canada, è comparso un fiume in piena di libri illuminati da luci soffuse e magiche come quelle natalizie, o come le lanterne galleggianti sull'acqua per la festività giapponese dell'Obon. A realizzare l'impresa è stato un gruppo di artisti anonimi spagnoli, raggruppati sotto il nome di Luzinterruptus, con l'obiettivo di trasformare il traffico di auto nel centro di Toronto in un traffico, per così dire, di libri.
Una magia durata una notte, ma per la cui creazione sono serviti dodici giorni e il lavoro instancabile di 50 volontari, che hanno accatastato, onda su onda, oltre 50.000 volumi. Durante la fatidica notte, ecco la magia:


I passanti potevano fermarsi, sedersi, raccogliere un libro, leggerne qualche pagina, respirare l'aria fragrante e pulita della notte al nostalgico lume di candela dei minuscoli led. Era possibile anche prendere a prestito i libri, ma il vero incantesimo si è verificato quando una folata di vento ha fatto alzare le pagine in volo, in uno spettacolo che solo i fortunati spettatori hanno potuto immortalare. Dieci ore più tardi, la marea si era già ritirata e i libri erano spariti, ma di sicuro, da quel momento, la città avrebbe sempre ricordato questo: che quella strada, per quanto percorsa nuovamente dalle auto, per una notte era stata popolata dai libri e dalla cultura, e che ciò sarebbe potuto accadere di nuovo, in qualunque momento.

Bene, dopo questo viaggio intorno al mondo devo dire che mi sento più felice, un po' più vecchia e, soprattutto, più ricca nell'anima. Ripongo le mie valigie e, intanto, ripenso alle meraviglie viste oggi, a quanto avrei voluto contemplarle di persona e a quanto mi abbia fatto piacere condividere i miei vagabondaggi virtuali con voi.

E voi? Qual è la vostra installazione libresca preferita? Ne conoscete altre? Ce ne sono nelle vostre città? Raccontatemelo nei commenti.

- Alice


*Disclaimer: nessuna delle fotografie presenti nell'articolo è stata scattata da me.Tutti i copyright restano interamente nelle mani dei legittimi proprietari.*

lunedì 23 aprile 2018

Mi presento: due parole su chi è Alice Bassi

Salve.
Sì, lo so che gestisco il blog da anni. So anche che vi ho già raccontato un po' di cose sulla mia passione, la scrittura, e anche sulle mie paturnie personali. Però, a seguito delle presentazioni della mia socia, mi sono resa conto che - accidenti - non avevo mai scritto un post per presentarmi e dirvi qualcosa di più su chi sono io. Non la tizia che gestisce il blog, o quella che ha partecipato a quel concorso (a proposito, perché non smette di parlarne?), ma io. Alice Bassi, in diretta e stereo. Per citare un telefilm che ultimamente mi si è saldato alle ossa come un secondo scheletro, "nessun bis, nessuna replica e, questa volta, assolutamente nessuna richiesta".
Così, ho pensato, in occasione della riapertura del blog, che avrei potuto svelarvi qualcosa di più. Insomma, da una che si chiama Alice ci si aspetta, perlomeno, che abbia visitato un ragionevole numero di tane di coniglio.
Perciò, partiamo.

Mi chiamo Alice e non sono mai stata nel Paese delle Meraviglie. Sono nata in piena notte, 31 anni fa, e pioveva. Diluviava, anzi, e l'intero ospedale ululava e tremava per il fragore del vento e dei tuoni. Faceva pure freddo. Perciò, in un certo senso, sono davvero nata insieme al più vecchio incipit del mondo: "Era una notte buia e tempestosa..."
Che altro avrei potuto fare, se non scrivere?
Forse è per questo che ho iniziato a farlo molto presto, all'età di circa tre anni e mezzo. Mi piaceva. Tutti dicono che, se sei sola e fuori piove, non c'è niente, ma proprio niente che puoi fare, invece non è vero. Un foglio, una penna - o una matita - e appena un angolino di pavimento sono più che sufficienti per volare su Urano, o al centro della Terra, o per navigare insieme al pirata Long John Silver, con il vento a spettinarci i capelli e le narici piene di mare e di salsedine.
Immagino ci sarebbero parecchie cose da dire sulla mia infanzia, così come sulla mia adolescenza; ma è meglio di no. Non tutti i segreti vanno raccontati e non in tutte le tane si nascondono solo innocui conigli.
Vi dirò solamente che sì, sono caduta in parecchi buchi. Profondi, umidi e gelidi come sudari. Laggiù, mi dispiace deludervi, la gente non cammina sottosopra. Non ci sono scacchi, né regine, e nemmeno carte da gioco parlanti. C'è solo l'oscurità, e la paura, e il rumore di qualcosa, non troppo distante da voi, che sgranocchia e risucchia nel buio.
Ma concentriamoci sulle cose belle. Ho un nome che mi piace (non tutti possono dirlo), una collezione di Funko Pop da paura e una sincera, viscerale passione per il brodo coi tortellini. Potrei mangiarlo a colazione, pranzo e cena più o meno per sempre, credo. Altrettanto per sempre potrei ascoltare queste canzoni: Cough Syrup; A thousand times; Hey, Jude; Born to run; Life on Mars?; Space Oddity; Bohemian Rhapsody. Il mio gruppo preferito sono i Queen. Avrei dato qualsiasi cosa per essere al concerto di Wembley nell'86, ma mancava un anno alla mia nascita e se ci sono stata in un altro corpo, l'ho dimenticato.

I miei film preferiti sono Inception e V per Vendetta, ma la mia vera passione sono i libri: libri come rifugi, come calde pantofole da indossare alla fine di una dura giornata là fuori, nel mondo reale; libri come sogni, come erba su cui passeggiare, come caminetti accesi quando fuori nevica, come abbracci, come luoghi in cui tornare. E voi direte: bello, allora ti piaceranno i romanzi d'amore, o fantasy, o comunque roba tranquilla in cui sentirti al sicuro.
Stolti.
I miei generi preferiti sono l'horror e la fantascienza, soprattutto i romanzi distopici, ucronici, postapocalittici o pandemici. Sì, lo so che non ha senso. Forse io stessa sono una specie di distopia vivente. In un futuro indesiderabile governato da un controllo totalitario delle menti, le persone non sono più in grado di leggere ciò che le farebbe stare bene. Una roba così.
A ogni modo, i libri non mi piace solo leggerli, ma anche scriverli. Questo è l'argomento di cui vi ho parlato più profusamente, perciò non farò altro che rimandarvi al link più recente. Qui mi limito a dirvi che non solo non leggo romanzi che mi fanno stare bene, ma nemmeno li scrivo. Adoro l'atto di scrivere, questo sì, sono i contenuti che mi fregano. Ma la penna è capricciosa e va dove vuole lei. Forse talvolta dovrei fermarla, o sussurrarle di andare più piano, o meno a fondo, ma perché, poi? Lei è serena. E' felice, non ha sensi di colpa e nemmeno un passato. Tutto ciò che fa è saltellare da un paragrafo all'altro, facendo sbocciare fiori neri su un prato bianco.
Che si goda la libertà, almeno lei.
Che la mia penna possa viaggiare dove, per adesso, solo i miei occhi e la mia mente osano farlo.

- Alice



domenica 22 aprile 2018

Mi presento: due parole su chi è Francesca Bertuca


Coucou.

Mi chiamo Francesca e sono nata incompresa. Incompresa perché i medici erano convinti che fossi un maschio, ma sbagliavano. Oh, se sbagliavano! Incompresa perché cresciuta con la convinzione di vivere in un mondo adatto a tutti, dove i sogni si realizzano, e perciò derisa. Incompresa perché troppo sorridente. Incompresa perché troppo assillante, o troppo fredda. Perché troppo bambina in un mondo di donne e perché troppo maschiaccio in un mondo di bambole. Forse è anche per questo se oggi vi sto parlando. Non voglio prendervi in giro, o spacciarmi per qualcuno che non sono. Non è questa la sede adatta e non è ciò di cui ho bisogno. Quindi, lasciate che vi dica qualcosa di me.
Sono nata e cresciuta a La Spezia, ma, senza nulla togliere alla mia terra, non mi sono MAI sentita a casa. E questo è uno dei motivi che mi hanno spinta a diplomarmi come perito turistico nel lontano 2006. Volevo di più, volevo andare più in là. Mica di tanto, eh. Solo un po’. E così, fresca di diploma e abbattuta per una voce che continuava a ripetermi di volare basso, ho fatto le valige e me ne sono andata. Ma, si sa, la vita non è semplice, soprattutto quando hai vent’anni e credi di avere il mondo in mano. Così, con la schiena ingobbita e le ambizioni deluse, un bel giorno sono tornata a casa. Forse la voce aveva ragione, mi dicevo, forse dovrei volare basso e vivere una vita “normale”. Lavorare, costruirmi una famiglia e fare le valigie solo per le vacanze.



Ci ho provato, lo giuro. Io volevo DAVVERO smetterla di volere andare più in là, ma non ci sono riuscita e, Dio, quanto ho sofferto per questo. Sapete, credo sia stato questo l’inizio di tutto.
Avevo già 29 anni, e un bimbo di tre, quando ho iniziato a scrivere. Fino ad allora ho sempre pensato che l’unico modo per “andarsene” fosse quello di chiudere quella dannata valigia e salire su un treno, o un aereo, o una nave. Invece mi è bastato prendere una penna tra le mani e iniziare a scrivere. All’inizio è stato difficile, lo ammetto. Non sapevo da dove iniziare, ma sapevo di avere una storia da raccontare e oggi sono qua.

Sto tutt’ora lavorando a una saga fantascientifica di cui ho terminato il primo volume a gennaio. Si tratta di un’ucronia intitolata “I figli della cenere”, una storia ambientata in Europa, in un futuro devastato dalle conseguenze della crisi missilistica di Cuba del 1962, per cui il contingente americano e quello sovietico si sono scontrati, dando origine al terzo conflitto mondiale.
Chi di voi scrive potrà capirmi se vi dico che questa saga è per me come una figlia. Mi fa stare in ansia quando la sottopongo a un giudizio esterno, non mi fa dormire… mi fa pure arrabbiare! Ma la amo e sarei disposta a fare qualsiasi cosa affinché anche altri possano amarla allo stesso modo. Affinché, leggendola, possano sentirsi come su un vascello diretto in un mondo lontano. A proposito, colgo l’occasione per ringraziare Alice per avermi sostenuta in questo progetto e per aver sopportato tutti i miei crolli (sono stati moltissimi, credetemi).
Ma torniamo a noi!
Come vi diceva la mia fantastica socia, nonché preziosissima amica, a dicembre abbiamo tenuto un corso di scrittura creativa presso la Biblioteca comunale di Santo Stefano di Magra. È inutile dirvi quanto sia stato emozionante poterlo fare, poter comunicare con persone che parlavano la mia stessa lingua… non sentirsi incompresa, una buona volta.
Se sono qui, oggi, è proprio per questo: parlare con voi. Di libri, di scrittura, di esperienze letterarie. Siamo disposte a confrontarci con lettori accaniti e scrittori disperati, ma anche a recensire qualche vostro lavoro, se lo gradite.

Insomma, questo è il mio primo post e sono certa di essermi già dilungata troppo. Per ora vi saluto, ma restate sintonizzati. Presto torneremo con qualche succosa novità! *_*


- Francesca

venerdì 20 aprile 2018

A volte ritornano... e cambiano rotta.

Salve. Prova, prova. Riuscite a sentirmi? Leggermi? Quella roba lì?
Bene. Se mi state leggendo, probabilmente vi starete ponendo delle domande. Alcune potrebbero riguardare la mia scomparsa dal blog due anni fa. Altre - ma che ci fa qui? Non ci eravamo liberati di lei? - sul perché sia tornata a scrivere proprio oggi. Alcuni non ci faranno nemmeno caso, ma, a qualunque gruppo apparteniate (o che siate tra i pochi che, trovando un mio nuovo post, parteciperanno a riti orgiastici in mio onore; se siete fra questi, amici, dateci dentro e moltiplicatevi), sappiate che questo è un post di spiegazioni, ricordi e una spumeggiante fioritura di novità.

Partiamo dall'inizio. Da due anni fa, per la precisione. Anno 2016, uno dei tanti uguali della mia vita. Come molti altri anni, era iniziato con le migliori intenzioni: sorriderò di più e perderò quei venti chili e smetterò di farmi tanti problemi per i giudizi degli altri e andrò nel Maine a stalkerare Stephen King. Mi innamorerò, mi farò nuovi amici. Sarò buona. Roba da letterina di Babbo Natale, forse, ma fra le decine di buoni propositi ce n'era uno a cui tenevo più che a qualunque altro. Il primo della lista, come nel 2015, 2014 e tutti gli anni precedenti.




Risatine. Lo so. Non è che uno, a meno di non rivolgersi ai servizi di Self Publishing, possa decidere di pubblicare il proprio romanzo. Bisogna che qualche Editore (mai a pagamento né a doppio binario, ragazzi, non mi stancherò mai di ripetervelo) dimostri interesse. Ed era successo, come vi avevo raccontato qui, in occasione della mia partecipazione al Premio Letterario Nazionale indetto dalla prestigiosa Casa Editrice Neri Pozza.
Allarme spoiler per i pigri che non hanno voglia di cliccare sul link: il mio primo romanzo da esordiente era stato selezionato fra i 12 finalisti della sezione maggiore e fra i 2 della sezione Under 35. Una roba che non mi sarei mai neanche sognata, considerato che il vincitore avrebbe ottenuto un po' di soldini e il Santo Graal per qualsiasi scrittore: il contratto editoriale con Neri Pozza.
Allarme spoiler numero 2: non ho vinto.
Però è stata un'esperienza incredibile, che mi ha permesso di conoscere persone di grande talento e cultura, oltre che di ricevere apprezzamenti insperati. Purtroppo all'epoca ero un tantino troppo immatura per riuscire ad apprezzare appieno l'esperienza nonostante la non-vittoria, ma grazie a quel meraviglioso processo che si chiama maturazione oggi sono una persona diversa. Con i piedi più per terra, forse, e con una lucidità maggiore.

In ogni caso, una volta tornata a casa (e leccatemi le ferite, che, maledizione, bruciavano da matti), mi sono seduta davanti al  manoscritto, ho rievocato alla memoria i consigli che mi erano stati dati e ho deciso che avrei sistemato tutti i buchi della trama e dei personaggi, perché chi mi aveva dato determinati consigli aveva ragione. Dovevo solo mettermi al lavoro.
E mi ci sono messa, ma, più leggevo il testo, più mi rendevo conto che quelli che io pensavo fossero buchi erano in realtà lacune, e le lacune voragini. Magari posso sbagliarmi, in fondo il testo non era malvagio, ma alla fine, lottando contro la nausea, ho posato la penna, mi sono fatta un tè e mi sono detta: ok, Alice. Questo libro non è solo da sistemare, ma da rifare da zero. E sarà meglio che tu cominci subito, se non vuoi finire nel dimenticatoio.

Ma - ri-allarme spoiler - non ci riuscii. Per un anno e mezzo ho vagato, continuando a scrivere quasi solo sul blog, senza essere in grado né di capire come revisionare le fondamenta del romanzo, né come proseguire con l'altro libro che mi frullava in mente, una storia che mi attraeva non poco. Avete presente, quando c'è una sventola da urlo che vi fa l'occhiolino e intanto voi siete sposati con una prostituta rugosa che vi siete ritrovati nel letto dopo una notte brava a Las Vegas?
Ecco. Quella roba lì.
E quindi, cos'ho fatto?
Ho seguito la sventola. Mi pare ovvio. La nuova storia mi piaceva, parlava di me, della mia vita, di un viaggio. Volevo davvero scriverla, motivo per cui buttai giù qualche centinaio di pagine, tutte sparse, senza soluzione di continuità, che però mi piacevano moltissimo. Le sentivo mie, ma c'erano due problemi: il primo, che non avevo ancora una trama. Il secondo: la prostituta rugosa. L'altro manoscritto, in attesa di revisione, che mi aspettava con una sigaretta in bocca e il rossetto sbavato.


E, un brutto giorno, è successo.
Mi sono bloccata. Male, non solo un po'. Inchiodata come un'auto inclinata a metà sul ciglio di un burrone. Non solo non riuscivo a proseguire con il nuovo romanzo, ma non ero nemmeno in grado di studiarne una possibile trama. E, in più, non mi riusciva nemmeno di concentrarmi sul precedente.
Per un po' ho continuato a scrivere sul blog, ma Prostituta Rugosa e Sventola continuavano a darmi il tormento. Ho anche partorito un altro libro, nel frattempo, un breve romanzo sul tema della solitudine (allegria!), che mi ha entusiasmata durante il periodo di stesura - circa una settimana - ma che non è riuscito a farmi venire nessuna idea per sbloccarmi con i due progetti maggiori.
Non so cosa avreste fatto voi, ma, per come la vedevo io, mi restavano due alternative. La prima, darmi io stessa a riti orgiastici, nel tentativo di invogliare di nuovo la Musa a volgere il suo bellissimo e crudele sguardo verso di me; e poi c'era la seconda alternativa, e cioè cambiare nome, sesso, nazionalità e possibilmente pianeta, così da fuggire per sempre dai miei obblighi ma, ahimè, anche da qualcosa di molto più importante: i miei sogni.

E' stato allora che, dopo diversi anni in cui avevamo perso i contatti, ho ripreso a parlare con una mia carissima amica, Francesca Bertuca. Buoni, adesso arrivo al punto. Allacciate le cinture e tenetevi forte, che qui stiamo arrivando alle novità.
Chiacchierando, abbiamo scoperto insieme che sia io, sia lei eravamo aspiranti scrittrici. Lei, in particolare, aveva appena finito la prima stesura della sua opera d'esordio e stava lavorando sulla revisione. Volevo leggere qualcosa di suo? Certo. Ero sicura che non mi scocciasse? Sicurissima.
Così, mi sono ritrovata a sfogliare alcune pagine del suo romanzo. C'era del buono. C'erano anche degli errori, così come nella mia prima opera, ma lo stile di Francesca mi piaceva. Era avventuroso, entusiasta e innocente, tutte qualità che io sentivo di aver perso per il troppo riflettere e scervellarmi, come se da anni non stessi facendo altro che rigirarmi tra le mani un complicatissimo cubo di Rubik.
Iniziai a darle dei consigli, che lei accettò. E questo è importante, ma non quanto ciò che sto per dirvi: e cioè, che lei accettò anche qualcos'altro. Di leggere qualche pagina di Prostituta Rugosa e, a sua volta, darmi un parere, grazie al quale capii tutti i miei errori.
Fu un miracolo. Per entrambe.
Da quell'incontro, nel giro di poche settimane, riuscimmo a uscire dai nostri pantani personali. Lei iniziò a fare progressi vertiginosi, riscrivendo l'intera trama della sua opera, e lo stesso feci io. Non so ancora come, ma le idee, stavolta, c'erano, e fluivano dalla mia penna senza fatica. Cioè, un po' di fatica ovviamente c'è stata, ma non era nulla in confronto al blocco dei due anni precedenti. Stavo scrivendo. Mi stava riuscendo bene. La nuova versione di Prostituta Rugosa mi piaceva e, cosa importante, mi stavo divertendo da matti.

Dieci mesi. Questo è il tempo che ci ho impiegato a rifare tutto il lavoro da zero e revisionarlo, ritrovandomi alla fine con qualcosa che non somigliava affatto a una donnaccia grinzosa: il nuovo manoscritto era smagliante, levigato, luminoso come solo le buone idee (almeno, io la vedo così) sanno essere. Perfino la storia era cambiata, così come il protagonista e qualsiasi altro dettaglio, tranne un paio di nomi di qualche personaggio.
Nel frattempo (e qui siamo a ottobre 2017), anche Francesca era in dirittura d'arrivo con il suo romanzo, perciò tutto filava a meraviglia. Ho inviato la mia opera ad alcuni Editori selezionati, che ammiro e le cui pubblicazioni apprezzo molto. Tempo addietro avevo già inviato anche il romanzo breve. Sono attualmente in attesa di un segno divino per entrambi. Forse finirà bene, forse no, ma sono sinceramente felice di essere riuscita a scrivere sia l'uno, sia l'altro.

E voi direte: embè? Brava, fantastico, ma la novità? Perché sei qui? E soprattutto, che fine ha fatto Sventola?

Una cosa alla volta. Intanto, la novità: da oggi, il blog si amplierà e cambierà leggermente rotta. No, non mi metterò a parlare della ricetta della torta salata di zucchine. L'argomento sarà sempre inerente ai libri. Sarà il punto di vista a cambiare: invece di parlarne come lettrice, ne parlerò anche come scrittrice. Non solo recensioni, quindi, ma anche considerazioni di altro genere sulla letteratura, sugli incipit migliori e tante altre idee che abbiamo già in cantiere. Già, avete letto bene: abbiamo. Perché tutto questo non lo farò da sola: Francesca mi affiancherà nella gestione del blog, che si arricchirà anche con i suoi contatti, i suoi post e, non da ultimo, se tutto andrà bene, con i nostri video in cui vi daremo qualche consiglio di scrittura creativa in pillole.
Sì, perché pochi mesi fa, tra ottobre e dicembre, io e Francesca abbiamo tenuto un corso proprio di scrittura creativa (questa è la pagina FB) presso la Biblioteca comunale del nostro paese, dove abbiamo conosciuto aspiranti scrittori di grande talento. E' stato grazie a queste persone eccezionali se siamo riuscite a portare avanti il progetto del laboratorio e se, oggi, sto scrivendo qui queste novità. Speriamo che le nostre idee potranno stuzzicarvi e, chissà, per chi abitasse vicino, anche portarvi a seguire uno dei nostri corsi. Il prossimo, di scrittura creativa avanzata, si terrà in autunno in provincia di La Spezia. Stay tuned.

Ah, già. Non posso ancora salutarvi: devo ancora dirvi di Sventola.
Beh, sapete come succede. Uno si innamora di una bella ragazza, ci esce, ci sta insieme per un po', magari ci va anche a convivere, e poi si rende conto che quella non è una ragazza, bensì un'idrovora che fagocita emozioni, paure, dolore e qualsiasi emozione spaventosa riusciate a farvi venire in mente. Sventola è un romanzo davvero personale, difficile, come un mio tatuaggio su carta. Sono io. Al cento per cento. E ho paura.
Ho provato a scriverlo, dopo aver terminato il precedente libro, sull'onda dell'entusiasmo, e ne sono uscite fuori 325 magnifiche pagine - l'equivalente della convivenza che vi ho citato poco fa, se vogliamo proseguire con quella metafora. Beh, dopo averle scritte mi sono resa conto che, per quanto mi piacesse lo stile, non stavano in piedi. Un certo evento alla base del libro non poteva verificarsi, compatibilmente con gli obiettivi dei personaggi. E non potevo cambiare i personaggi. Perciò, SBADABAM. Libro crollato. Cestino, apriti e ingoia questo aborto.

Ho provato a riscrivere il libro in più versioni, buttando ogni volta 50, 60 pagine, ma non c'è stato verso di farlo funzionare. Di recente mi sono fatta venire un'idea che potrebbe essere quella buona, ma non sono più in grado di scriverla. Cioè, per ora. La mia situazione è esattamente identica a quella del 2015: troppe idee, troppa ansia, troppi dubbi, mancanza di grosse parti della trama. Ma non posso farci niente: per quanto io e Francesca (senza di te, amica, sarei persa), la quale ha un vero talento per ideare plot, abbiamo buttato giù svariate scalette, non riesco a rispettarle. Non ho scritto i miei due precedenti romanzi visionando una scaletta e non lo farò con questo. Per me, l'unico modo in cui mi sento davvero viva mentre scrivo è farlo al buio, come si dice in gergo. Magari ne parleremo in un prossimo post, perché no. Per ora, vi dico solo che sono depressa e che Sventola (da qui in avanti, Sventola Infame) mi continua a chiamare, ma io non so come risponderle. Vorrei, ma mi mancano le parole.

Beh, anche questo chilometrico post è giunto al termine. A breve leggerete anche il primo che pubblicherà la mia socia, in cui dirà qualcosa di sé. Credetemi, vale la pena leggere ciò che ha da dire. E vale la pena che continuiate a seguire il nostro (che bella parola!) blog.

Per ora, vi saluto e vi auguro di scrivere, leggere ed essere sempre felici.