venerdì 13 marzo 2015

Lo scrittore e l'immagine-ombra





L'altro giorno, sulla pagina di un'amica - La Leggivendola - ho trovato una citazione di Hemingway che mi ha molto colpita: write drunk, edit sober. Ossia, scrivi da ubriaco, revisiona da sobrio.

Mi ha colpita non solo per l'immagine perfetta che restituisce di uno scrittore immenso come Hemingway e della sua immagine-ombra, quella violenta e dedita all'alcolismo che però lo portava a spremere fuori parole di rare esattezza e intensità; soprattutto, mi ha colpita perché la sento mia. Perché mi fa provare un'invidia cieca e graffiante. Perché scrivere di getto, dopo gli anni che ho passato a editare il mio primo romanzo affinché fosse perfetto per inviarlo alle case editrici, mi ha inaridita profondamente.
E' la verità? Sono solo io che mi credo inaridita, e così mi autoconvinco di non saper più scrivere in maniera fluida, sentendo "i grani di sabbia che scricchiolano sotto gli stivali", come dice Stephen King?
Il dilemma mi distrugge. Mi sento divorata dentro, corrosa, incendiata. Lo stomaco mi brucia nell'acido e il cuore si rattrappisce.
Perché non riesco più a "essere lì", perfettamente in trance, immersa in una storia? Riesco a esserlo in un'ambientazione, ma non nella storia che vorrei raccontare. Voglio davvero raccontarla? E' normale, come scrittrice, provare certe sensazioni, dopo anni che si è lavorato a un romanzo in cui ho messo tutta me stessa?
C'è ancora qualcosa di me che posso dare al "pubblico"?
Qualcosa che voglio dare?
La risposta è sì.
Allora perché ho queste difficoltà?
Di certo non voglio prendere la via degli acidi e dell'alcol, una via che disapprovo profondamente da sempre, anche perché non la reputo l'unica per poter attingere a piene mani al proprio potenziale creativo. Allora cosa posso fare?
Dannati Kerouac, Hemingway, Baudelaire! Dannati tutti!!!

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