martedì 31 luglio 2018

Per il ciclo recensioni librose: Tenebra Lux di Alessandro Del Gaudio

C'è una cosa che accomuna tutti noi scrittori: l’amore per i nostri personaggi. Spesso ci perdiamo a guardare dalla finestra, una mano sotto il mento, fantasticando su di loro, su cosa fargli succedere e come potrebbero sentirsi nello svegliarsi nel cuore della notte e trovarsi soli. Credo sia questo ad avermi colpita di più di "Tenebra Lux". Il rapporto personaggio-autore. La presenza costante e confortante di essi nei momenti più oscuri.
Ma andiamo con ordine.

Titolo: Tenebra Lux

Autore: Alessandro Del Gaudio

Casa Editrice: Leucotea

Genere: Dark/Urban fantasy

Pagine: 174



L'inizio del libro è fresco e originale, ben congeniato: non solo presenta il protagonista dal punto di vista di un personaggio secondario, espediente che apprezzo sempre, ma catapulta subito in un mondo tridimensionale, caratterizzato dal profumo succulento della carne e dalle risate di una cittadina riunita per festeggiare la Pasquetta. Qui facciamo la conoscenza del nostro eroe, Ruffo, un fumettista affetto da una insicurezza cronica con le donne e da un paio di problemi con la sua ragazza: litigi, piatti rotti. Robetta tranquilla, insomma.
La sua sofferenza non può che aumentare quando, durante una telefonata, scopre che la ragazza lo tradisce. Ruffo precipita nell'apatia e nello sconforto: cerca aiuto nei consigli degli amici, esce a bere qualcosa, si getta a capofitto nel lavoro. Nulla, però, sembra tirarlo su di morale, finché una sera, passeggiando per la città in cerca d'ispirazione, non ode un pianto.
In un vicolo, incontra la donna di cui s'innamorerà perdutamente: Alice, una bellissima senzatetto. Nonostante la ragazza si trinceri fin da subito dietro un silenzio ostinato, Ruffo non se la sente di lasciarla al freddo, tutta sola: portatala a casa, le dà una camera e cerca di farla sentire a suo agio. L'influenza della presenza di Alice nell'appartamento, però, non tarda a manifestarsi: già dalla prima notte, Ruffo comincia a fare incubi agghiaccianti su un clown diabolico. Nonostante ciò, lui s'innamora sempre più della ragazza finché, una notte, i due si ritrovano a letto insieme. E' proprio allora che tutto precipita all'improvviso: dal niente, Ruffo perde i sensi e cade in coma.
Da qui, la storia cambia marcia: risvegliatosi in una sorta di versione-Silent-Hill della sua città, Ruffo inizia a vagare per cunicoli e strade deserte, zigzagando tra saracinesche abbassate e incontri con personaggi talvolta spiritosi, talaltra inquietanti, come Pakinopah, il clown, o come Tenebra Lux, lo spirito mefitico che infesta questa sorta di città upside-down.
In sua difesa intervengono delle figure di cui lui non ricorda nulla, ma che si rivelano alleate preziose, determinate a risvegliare la sua volontà di trovare l'uscita dal limbo.

Ruffo ce la farà?
Beh, non ve lo dico, perché il libro merita. E' scorrevole, lineare - e, complice la brevità, stuzzica la curiosità. Per me, che adoro le premesse ed entrare in sintonia con il protagonista, le prime pagine sono state affascinanti, ma è la seconda parte del romanzo quella che ho amato di più, soprattutto il punto in cui i compagni di viaggio di Ruffo rivelano la loro natura.
La prosa è un altro aspetto positivo del romanzo: descrittiva ma con il dono della sintesi, non annoia, anzi, invoglia alla lettura; la semplicità dello stile contribuisce a creare un legame fra il lettore e i personaggi, ma non si risparmia alcune vette di ottima prosa, specialmente in occasione della rivelazione di cui vi parlavo poche righe fa.

Perciò, un libro tranquillo, da leggere quando si cerca qualcosa di toccante ma anche leggero, però (c'è sempre un però) non esente da alcuni aspetti sui quali io, personalmente, avrei lavorato di più.
Tralasciando qualche svista di battitura e nei tempi verbali (ma è una cosa che noto spesso, negli autori contemporanei: in molti preferiscono il passato remoto anche quando, parlando di un episodio passato della vita dei personaggi, sarebbe da preferire l'uso del trapassato prossimo), ci sono un paio di elementi che mi hanno lasciata perplessa.


Parto dal primo. Se da un lato Ruffo è un protagonista simpatico e accessibile, dall'altro ci sono stati momenti in cui ho percepito una rottura dell'incantesimo della lettura, come quando, ad esempio, lui incontra i vari personaggi nella città alternativa. Mi spiego: io capisco che Ruffo sia confuso e abbia perso gran parte dei ricordi, ma personalmente ho trovato che le sue reazioni fossero troppo trama-service. Voglio dire, ok tutto, ma se io mi ritrovassi in una città che sembra la mia dopo una guerra postatomica e davanti a me apparisse un clown alla IT, penso che mi teletrasporterei istantamente in Cina. E, se anche sopravvivessi al confronto con lui, credo che dopo mi rinchiuderei nel primo cassonetto della spazzatura e ci morirei serenamente dentro, senza mai più riaprire il tettuccio, tremando di terrore. Ora, capisco che magari io sono una fifona, ma ho trovato Ruffo un po' troppo impassibile, come se nulla lo turbasse.

L'altro dubbio è rappresentato da Alice: per carità, è una ragazza adorabile (anche se, parere mio, eviterei la descrizione un po' abusata dei suoi occhi "da cerbiatta") e sicuramente ha sofferto, ma in tutta la storia, finale compreso, non veniamo a sapere nulla di lei. Voglio dire, è il personaggio femminile principale. Chi è? Perché viveva per strada? Perché piangeva?

Di conseguenza, ho trovato un po' inverosimile la love-story: anche ammesso che esista l'amore a prima vista, Ruffo davvero deciderebbe di "adottare" una vagabonda senza pensarci due volte? Niente polizia, niente pretesa di sapere lei chi è, nemmeno se è affetta da qualche malattia o se magari è in fuga da qualcuno di pericoloso che la sta minacciando e potrebbe ammazzare anche lui? E il giorno dopo andrebbe davvero al lavoro lasciando lei in casa, come se niente fosse? Non so, ma nella vita reale penso che al ritorno Ruffo si sarebbe ritrovato la porta scardinata e l'appartamento svaligiato dalla squadra di malviventi di cui Alice faceva da esca. Anche volendo ammettere che lei sia un angelo, Ruffo non può saperlo, pertanto avrei apprezzato, anche qui, una presenza minore di scelte trama-service.

Poi, per carità, non sono lacune incolmabili: semplicemente, io avrei aggiunto una ventina di pagine per favorire la verosimiglianza. Ad esempio, un litigio o una fuga da parte della ragazza sarebbero stati una buona idea, secondo me, perché avrebbero creato una tensione per cui il lettore avrebbe desiderato vedere Alice e Ruffo insieme. Oltretutto, in genere le persone che vivono per strada sono scappate di casa o ne sono state cacciate, subendo un grave trauma familiare; questi soggetti cadono spesso in giri di droga, prostituzione e povertà estrema che contribuiscono a farli sentire ancora più emarginati e disprezzati dalla società. Maturano odio nei confronti dei cittadini "normali" e quindi, anche se trovano qualcuno che vuole offrire loro aiuto, nella maggior parte dei casi capita che questi scappino, proprio perché vivono nel terrore del rifiuto e della "fregatura".

Ultimissimi punti interrogativi, che in un eventuale sequel sarebbe semplice risolvere (come anche le domande su Alice), sono la scomparsa, nel finale, nonostante il coma del protagonista, della sua migliore amica, che nelle prime pagine sembrava la persona più importante della sua vita; un'altra cosa che mi è mancata è stata qualche informazione più dettagliata e magari amalgamata alla storia sui motivi che hanno fatto cadere Ruffo in coma. Magari qualcosa che ha mangiato nella prima pagina, infetto da un verme letale? Un incantesimo di Pakinopah? Una vacanza esotica? Personalmente, avrei citato all'inizio qualcosa del genere, giusto per "poggiare la pistola sulla poltrona nel primo atto, sapendo già che sparerà nel terzo", come direbbe Hitchcock.


Bene, aspetti positivi e negativi terminati. Lo so, lo so: sono una gran pignola. E' vero, tendo a essere
puntigliosa su ciò che leggo, ma preferisco essere onesta e riportare sia le mie impressioni positive che le critiche, cercando di esprimerle nel modo più costruttivo possibile. Il libro mi è piaciuto: è profondo, commovente, in grado di trasportare il lettore per mano dalla prima all'ultima pagina. A un certo punto mi sono ritrovata addirittura con la lacrimuccia!
Vi dirò di più: io spero un sacco che l'Autore decida di scrivere il seguito, non solo perché in questo modo le domande irrisolte potrebbero trovare una risposta, ma anche perché le ultime pagine chiudono la storia con un finale aperto, soprattutto per gli oscuri piani che fanno scintillare gli occhi demoniaci di Pakinopah.

  1. Non posso far altro, quindi, che ribadire il mio consiglio di leggerlo. Tanto, che lo facciate o no, Tenebra Lux vi attende comunque, oltre il cupo arco di ombre che tutti, prima o poi, dovremo attraversare. Ma, se volete essere preparati, c'è un modo piuttosto semplice: basta cliccare qui, acquistare una copia del libro... e inoltrarvi per le vie di questa città distorta, nella speranza di ritrovare la strada di casa, prima che un certo flautista vi trovi e vi faccia perdere il lume della ragione con il suo magico, fatale richiamo.

giovedì 26 luglio 2018

Nel salotto dello scrittore: oltre l'orizzonte

Ebbene sì, amiche e amici: siamo giunti all'ultima puntata della rubrica "Nel salotto dello scrittore", almeno per ora. Ho provato a tardarla, davvero. Il post doveva essere online lunedì, poi martedì - ma, alla fine, non ho potuto fare a meno di scriverlo. Brutta bestia, la nostalgia.
In ogni caso, oggi visiteremo gli ultimi Autori che ho pensato di selezionare; scrittori, poeti, perfino pittori che hanno viaggiato a lungo nel mondo, esplorandone ogni confine, e che alla fine si sono stabiliti laggiù, oltre la linea luccicante dell'orizzonte, dove l'occhio umano non può arrivare, ma che è patria e frizzante giardino in cui danza e ride la fantasia.


Rabindranath Tagore


Rabindranath Tagore, chiamato talvolta anche con il titolo di Gurudev, nacque nel 1861 a Calcutta in una ricca e importante famiglia di Bramho. E' stato lo scrittore più grande della moderna letteratura indiana: a lui appartengono poesie, saggi, drammi (più quasi 2500 disegni e dipinti); le sue opere immortali gli guadagnarono il premio Nobel per la letteratura nel 1913, il primo mai conferito a un letterato non occidentale. Non solo: Tagore ricevette anche il titolo di cavaliere nel 1915, ma lo rifiutò nel 1919 per protestare contro il Massacro di Amritsar, nel Punjab, dove le truppe britanniche uccisero circa 400 dimostranti indiani che si ribellavano contro le leggi coloniali.
Grande difensore dei diritti civili e della cultura, Tagore riuscì, nel 1921, a realizzare il progetto di trasformare la scuola di Santiniketan in un'università internazionale, La Vishva Bharati University. A essa devolse i proventi del premio Nobel e i diritti d'autore dei suoi libri. Non contento, per raccogliere ulteriori fondi per l'università egli compì instancabili viaggi nel mondo: nel 1924 visitò la Malesia, la Cina e il Giappone. Poi si recò in Argentina e, nel 1927, in Europa e anche qui da noi, in Italia.
Il successo di Tagore come scrittore si estese ben oltre i confini della sua terra, raggiungendo gli Stati Uniti e l'Inghilterra dopo la pubblicazione del suo celeberrimo "Gitanjali: Offerte di canzoni".
La casa-museo di Rabindra Bharati può essere considerata come la raccolta delle memorie di Tagore: vi sono catalogati dipinti originali, fotografie, libri e altri documenti importanti di cui l'India è molto fiera.

Curiosità: durante la visita è possibile ascoltare, in sottofondo, opere musicali composte dallo stesso Tagore.


Gabriel García Márquez




"Vengo a chiederti il favore di accompagnarmi a vendere la casa. Non fu necessario che mi dicesse quale era la casa e dove stava, perché per noi ce ne era una sola al mondo: la vecchia casa dei nonni ad Aracataca, dove ebbi la fortuna di nascere e dove tornai a vivere dopo gli otto anni."

G. G. Márquez, "Vivir para contarla", 2002

Ad Aracataca, in Colombia, si trova la casa museo di questo celeberrimo scrittore, vincitore del Premio Nobel nel 1982: tutti i suoi romanzi  ("Cent'anni di solitudine", "Foglie morte", "L'amore ai tempi del colera" e "Cronaca di una morte annunciata", per citarne solo alcuni) furono, in minor o maggior misura, ispirati da questo luogo, così come Macondo, il villaggio immaginario che fa da sfondo alle vicende di "Cent'anni di solitudine".
Un piccolo aneddoto riguarda la nonna dell'Autore: era veggente, motivo per cui, negli anni '70, un amico di Márquez, Plinio Apuleyo Mendoza, gli domandò se fosse stata lei a rivelargli che sarebbe diventato uno scrittore. Lui, però, rispose: "No, è stato Kafka, che raccontava in tedesco le cose allo stesso modo in cui le raccontava mia nonna. Quando lessi a diciassette anni 'La metamorfosi', scoprii che sarei diventato scrittore. Pensare che Gregorio Samsa poteva svegliarsi una mattina e scoprire di essersi trasformato in un gigantesco scarafaggio, mi fece pensare: 'Io non sapevo che questo fosse possibile farlo. Ma, se è così, scrivere mi interessa.'"
Purtroppo la casa originale, che constava di quattordici stanze, venne distrutta da una tempesta, ma nel 2010 è stata ricostruita e oggi è un luogo di pellegrinaggio letterario, piena degli effetti e dei ricordi dello scrittore. Indimenticabili le citazioni scritte su tutti i muri e sparse per il paese.

Curiosità: sul retro della casa vi è un bel giardino con enormi alberi esotici da frutto. L'intero paesino di Cartagena sembra uscito direttamente da uno dei libri dell'autore.


Karen Blixen



A Nairobi, in Kenya, si trova la casa museo della nota autrice, la quale scriveva: "Avevo una fattoria in Africa, ai piedi delle colline Ngong." Ella visse nel complicato periodo coloniale, di cui dipinse un immortale ritratto nel suo libro memoir "La mia Africa". La Blixen arrivò in Kenya nel 1913 per sposare suo cugino, il Barone Bror von Blien-Fincke, con lo scopo di realizzare insieme il sogno di una vita: comprare una grande piantagione di caffè e gestire una fattoria. Il sogno si realizzò, ma andò in frantumi nel 1921 quando la Blixen si separò dal marito e dovette rimanere da sola a curare la piantagione, ormai unica sua ragione di vita. La sua storia, fatta di safari, frustrazioni, tradimenti, relazioni, divorzi, siccità e addirittura la vendita della piantagione a causa di una gravissima crisi del mercato del caffè portò la Blixen a uno straziante ritorno in Danimarca nel 1931, nella quale rimase a dedicarsi alla sua altra passione, la scrittura, dipingendo le emozioni e le avventure vissute nella sua amata, e perduta, Africa. 

Curiosità: i giardini sono spettacolari ed è possibile osservare perfino gli attrezzi agricoli originali utilizzati nella piantagione. All'interno della casa gli arredi sono quelli originali, in stile coloniale, ma è possibile anche ammirare il vestito indossato da Meryl Streep durante le riprese del noto film "La mia Africa", tratto dal romanzo omonimo.


Katherine Mansfield




Casa Thorndon, a Wellington, in Nuova Zelanda, fu il luogo in cui la celebre scrittrice visse pochissimo, per poi trasferirsi con la famiglia a Londra nel 1903 e viaggiare in Europa per il resto della sua vita fino alla morte, avvenuta prematuramente a 34 anni. Ma i suoi primi cinque anni di vita furono condotti qui, in una modesta casa bianca che dava sull'oceano. Nei suoi scritti non si denota un grande amore da parte sua per il luogo, ma alcune delle sue opere più celebri, come "Sulla baia", traggono completa ispirazione dall'aria gravida del profumo di frutti esotici, dallo sciacquio battente della risacca notturna, dal sapore di sale sulle labbra, dalle vesti bianche delle signore sulla spiaggia, come se quei ricordi, malgrado la volontà della Mansfield, si fossero tatuati dentro di lei in maniera indelebile. Oggi la casa è stata riportata alle origini e celebra l'autrice, anche attraverso l'ampio, magnifico giardino circostante. Il profumo dei fiori sotto la pioggia è sontuoso, magico, e riporta indietro nel tempo.

Curiosità: nella casa sono presenti moltissimi oggetti appartenuti alla Mansfield, compresi la sua macchina da scrivere e il pianoforte di famiglia.


Bene, eccoci alla fine, dunque: quella vera, tagliente, cruda, che prima o poi arriva a mozzare tutti i respiri. E voi direte: e che ansia! Sì, lo so. E' che mi affeziono molto alle cose, alle persone, alle idee. A tutto. Mannaggia alla mia sensibilità. Comunque, so bene che la rubrica non è completa: un numero sterminato di Autori non vi ha trovato posto, ma per i motivi vi rimando alla puntata precedente. Qui vi lascio solo i miei più sinceri ringraziamenti per aver viaggiato con me e partecipato alle mie ricerche, nella speranza che - almeno un pochino - vi abbiano emozionati. Grazie, a tutti, anche a chi ha letto senza commentare: mi ha fatto piacere trascorrere un po' di tempo nella vostra silenziosa, discreta e delicata compagnia.
Vi segnalo, comunque, che a breve sarà online una nuova rubrica, dal titolo "Nella valigetta dello scrittore", grazie alla quale io e la mia socia, Francesca, imbratteremo un po' di pagine con i nostri consigli di scrittura e spunti per gli aspiranti Autori, nella speranza di stuzzicarli con le nostre idee. Potete trovare qui la prima puntata, dedicata alle ambientazioni di romanzi e racconti.
A presto e, ancora, a tutti: grazie.


- Alice

lunedì 23 luglio 2018

Nella valigetta dello scrittore: spunti per ambientazioni

Post a quattro mani ~


Signore e signori, prego, entrate. Non fate quelle facce, è tutto a posto. Sedetevi comodi mentre io e la mia collega vi diamo un paio di comunicazioni.
La prima: come sapete, la rubrica "Nel salotto dello scrittore", dedicata alle dimore degli scrittori più celebri sparse per il mondo, terminerà domani. Dopo un viaggio durato settimane, dovremo riporre le nostre cose in valigia, avvitare il tappo alla crema solare, chiudere la zip e tornare a casa. La nostra, questa volta, dove nessun Autore - a meno che non li siate voi stessi - ha mai pianto, accartocciando un foglio via l'altro mentre batteva sui tasti di una vecchia Underwood.
Ma, e qui arriviamo alla seconda e ultima novità, questo non sarà un addio: dato che nessuna delle due ama la parola "fine", abbiamo deciso di inaugurare, con questo post, una nuova rubrica. Il nome - "Nella valigetta dello scrittore" - richiama il progetto precedente, ma allo stesso tempo scende ancora più in profondità nella vita degli Autori: ne esamina l'anima, le armi, gli scudi, le misteriose ampolle alchemiche che si nascondono sotto i pastrani di questi loschi figuri sempre a caccia di parole.
E' a loro, soprattutto, che questa nuova rubrica è rispettosamente dedicata: a chi ha un personaggio in mente e non trova un'ambientazione in cui farlo muovere, o magari ha una storia bomba in testa ma nessun personaggio originale; ed è dedicata alle loro speranze, alle lunghe notti insonni e alla pioggia, tutta quella pioggia che piove loro dentro, continuamente, finché non spunta il sole di un'idea. Ragazzi, quanto vi capiamo. E quanto vi vogliamo bene.
Perciò, beh, speriamo che questo progetto vi piaccia. Dal canto nostro, noi siamo qui per imparare, condividere e proporre spunti per tutti quei dettagli che rendono una storia tridimensionale e vibrante. E nessuna storia può sopravvivere senza i tre pilastri portanti: personaggi, trama, ambientazione.
Perciò, tenetevi pronti: si comincia.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

Dove vorrei essere in questo momento? Lontano, sicuramente. In un posto fresco, dove non mi conosce nessuno. Un posto dove non importa la lingua che parlo o l’ammontare economico in banca, ma dove basta un sorriso. Hai bisogno di aiuto? La macchinetta per fare il biglietto ti sta dando problemi? Se so quando passa il prossimo treno? Ma certo! Tu sei tedesco e non capisci un accidente di quello che sta dicendo l’annunciatrice di Trenitalia, e io non parlo affatto la tua lingua, ma voglio aiutarti e lo faccio, a costo di gesticolare o usare un inglese scorretto. In fondo, siamo tutti uguali, tutti cittadini dello stesso mondo. Un mondo che può essere bello, se vissuto con gli occhi di chi sa godersi la vita.
Ebbene, come detto sopra, oggi parliamo proprio di questo. Non tanto di come godersi la vita o di dove vorremmo essere — sono quasi certa che Alice griderebbe subito ROUTE 66 — ma di location che possono stimolarci. Sia dal punto di vista di esperienze, sia da quello della scrittura.

Riprendo un concetto citato qualche riga fa: i pilastri di ogni storia. I personaggi, la trama e l’ambientazione. Uno scrittore può scegliere di partire da uno di questi a prescindere. Alcuni di voi, magari, si svegliano la mattina già con l’Idea pronta e non hanno bisogno nemmeno di starsi a scervellare per pensare ad ambientazione o trama (raga, vi odio). Ma oggi non vogliamo parlare a loro, bensì a voi. Voi che magari avete il personaggio perfetto per una storia, ma non sapete bene cosa fargli accadere. Voi che avete una trama, ma che vi sembra carente per un qualche motivo che vi è ancora oscuro. Vogliamo parlarvi dell’ambientazione.

Non vogliamo tediarvi, ma da un’ambientazione particolare può scaturire tutto un romanzo o — come nel mio caso — una vera e propria saga. Provate a pensare a libri come Divergent o Hunger Games. Ok la trama. Ok i personaggi, ma cos’è che fa la storia? L’ambientazione. Quel clima tipicamente ostile dato dalla distopia.

Oggi, parlando di ambientazione, abbiamo pensato di suggerirvene alcune, così che magari possiate trovare quel qualcosa che vi mancava o anche solo l’ispirazione per buttarvi a capofitto su quel racconto che volevate scrivere da tempo.
Partiamo con le mie.


1) IL MARE


Voi ancora non mi conoscete bene, ma quando il mio libro sarà finalmente pubblicato (e un giorno lo sarà, dannazione!) riuscirete a scorgere un po’ di Francesca tra le righe. Attraverso Alec, un ragazzo che sogna di lasciare il suo paese per recarsi al di là del mare, capirete quanto sia importante il mare per me. Non il mare da balneazione. Odio quel tipo di mare. Il mare che intendo io è l’immensa distesa blu. Quella che parla di opportunità e speranza. Un mondo al di là della linea dell’orizzonte, fatto di avventura e di incertezze. Ora, prendete una scogliera. Potreste avere un personaggio che lotta contro i propri demoni interiori e medita di suicidarsi. Magari i suoi piani non vanno secondo le sue aspettative. Magari vede qualcosa all’orizzonte, una nave di pirati o il gommone di un naufrago che viene sospinto dalle onde verso riva. Oppure pensate a una grotta. Lo scroscio delle onde fra gli scogli, i granchi che escono in cerca di cibo. Due innamorati che si scambiano promesse d’amore, prima di essere brutalmente assassinati (scusate, ho il brutto vizio di distruggere le coppie felici). Insomma, il mare si presta bene un po’ a qualsiasi situazione.


2) LE CATACOMBE DI PARIGI


Ok, Parigi è un già visto nelle ambientazioni. Di solito viene scelta nei romanzi rosa per la magnificenza dei suoi monumenti. Avete mai visto Parigi dall’alto? Avete mai passeggiato lungo la Senna, guardando le luci della città accendersi al crepuscolo? Siamo obiettivi, Parigi è forse la location per eccellenza in fatto di romanticismo. Ma non è della Parigi classica che volevo parlarvi, bensì delle catacombe. Sotterranei antichi, dove tutt’oggi sono ammassati migliaia di scheletri umani. Gente perlopiù uccisa dalla peste, ora disposta come tanti mattoni a formare delle tetre pareti di ossa. Uno scenario da brividi, che si adatta bene a un racconto dell’orrore, ma anche a un urban fantasy o, perché no, magari a una fiaba! Pensate a una bambina che si perde nelle catacombe e magari viene aiutata da uno scheletro gentile a riemergere in superficie!

In ultimo, ma non per ultimo:


3) IL CENTRO COMMERCIALE


Ogni volta che penso al centro commerciale mi viene in mente quel film con la ragazza incinta che vi partoriva dentro. Ma altri, oggi, hanno usato questa location come ambientazione per le proprie storie. Provate a pensare a "The Mist", la nebbia. Un gruppo di cittadini chiusi dentro a un supermercato, mentre fuori dalle pareti di vetro imperversa la nebbia, carica di creature demoniache che non vedono l’ora di cenare. Ora, non so voi ma,  mostri a parte, io mi sono immaginata spesso di restare chiusa una notte in un centro commerciale. Personalmente, posso giurare che se dovesse succedermi una cosa del genere, passerei la notte nel reparto gastronomia ad affettarmi prosciutto crudo e a mangiarmi focaccine. Siccome, però, questo non fa trama, provate a pensare a un attacco terroristico. Siete andati a fare la spesa. Non avevate voglia di perdere tanto tempo perché aspettavate ospiti, ma all’ultimo vi siete accorti che vi mancava il vino. Così siete usciti, giurando che sareste tornati a casa nel giro di mezz’ora, quando un gruppo di uomini incappucciati fa irruzione nel centro commerciale e iniziano a sparare all’impazzata. Voi riuscite a salvarvi per miracolo, magari perché eravate dentro l’ascensore o perché vi eravate allontanati per andare alla toilette, chi lo sa. Il centro commerciale, con le sue corsie e i suoi rifornimenti, è l’ideale per raccontare la storia di qualcuno che cerca di scappare… o di fare qualcosa di incredibilmente stupido.

~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~

Fantastico, Fra. Adesso ho voglia di focaccine al prosciutto. Grazie, eh.
Ma veniamo a noi.

Che siano gelide, sterminate, futuristiche, soffocanti o inquietantemente quotidiane, le ambientazioni che stimolano la mia vena creativa possono essere riassunte in un'unica parola: estreme. Per il clima, o magari a causa degli eventi che le hanno create. Ambientazioni di questo tipo sono perfette per racconti brevi e folgoranti, ma anche come substruttura per romanzi distopici o post-apocalittici.
E voi vi domanderete: ma perché? Una storia non può svolgersi anche nel nostro mondo?
Beh, sicuramente sì. Ma fra tutti i mondi possibili sono nata proprio in questo, perciò preferisco divertirmi a pensare a quelli che mi sono persa. A tutti quei meravigliosi mondi alternativi in cui talvolta rischiamo di ruzzolare, se apriamo la porta sbagliata... o leggiamo la storia giusta.


1) PRYP"JAT'


Silenzio assoluto. E' questo ciò che si può udire a Pryp"jat', Ucraina, sul confine bielorusso, se si è abbastanza folli da recarvisi. Dopo il disastro nucleare di Černobyl' del 1986, la città (che all'epoca era conosciuta come "la città dei fiori", per via delle molte aiuole rigogliose) venne evacuata in fretta e furia, lasciando inutilizzato il luna park che era appena stato installato, con tanto di autoscontro e ruota panoramica. Delle risate sono rimasti solo i fantasmi.
A oggi, le strade sono ancora praticabili, per quanto parecchia vegetazione abbia spaccato l'asfalto, ma la città è totalmente disabitata per l'alta concentrazione di radiazioni. Alcune vie sono chiuse da enormi blocchi di cemento e dappertutto vi sono desolazione, impalcature cigolanti e ruggine. Oh, e porte aperte. Sì, perché all'epoca dell'evacuazione agli abitanti venne detto che sarebbero potuti tornare a casa entro tre settimane, purché avessero lasciato porte e finestre spalancate per far "uscire" le radiazioni. Perciò, aspirante scrittore di racconti, fai attenzione, se decidi di recarti a Pryp"jat': qui non sono solo i morti o i fantasmi, a urlare. Ogni singolo edificio grida ancora con occhi e bocche sbarrate dall'orrore.
Il luna park è in assoluto la zona più radioattiva, distante solo 3 km dalla centrale nucleare. La città possiede anche due ospedali, di cui uno pediatrico, un centro commerciale, due hotel, numerosi bar e ristoranti, un cinema, un teatro e un centro polifunzionale con piscina. Tutto pericolante e abbandonato, naturalmente. Ah, a proposito: qualcuno che vive in queste zone c'è ancora, a dire il vero. Orsi, volpi e lupi sono i padroni incontrastati della città e non è raro vederli passeggiare, con un ringhio selvaggio sulle fauci e il grattare stridente degli artigli.
Beh, aspirante scrittore, per quanto riguarda Pryp"jat' questo è tutto. Non è un luogo facile da descrivere, ma è l'ideale per ambientarci qualsiasi genere di racconto: dall'horror, al thriller, al fantascientifico, al fantasy. E anche alla narrativa mainstream, volendo: nulla vi vieta di scrivere, ad esempio, di un abitante originario che, divorato dalla nostalgia, decide di tornare qui, di nascosto. Dato che ogni primo maggio i residenti possono tornare per poche ore a rivedere le loro case distrutte, forse il tuo personaggio potrebbe sfruttare questa occasione. Forse è malato, sa già di dover morire, e nessuno vuole morire lontano dalla propria casa. Una storia drammatica su uno sfondo ancor più drammatico.

«Non ritorneremo.
Addio,
Pryp"jat', 28 aprile 1986»

(Frase sulla bacheca di classe di un asilo della città)


2) ESCAPE ROOM


Ok, passiamo a qualcosa di più, mh, giocoso. Qualcuno di voi conosce le escape room? No? Male, male. Si tratta di giochi online, spesso del tipo punta e clicca, in cui avete un tot di tempo a disposizione per poter risolvere gli indovinelli e scoprire gli indizi segreti nascosti nella stanza in cui siete stati intrappolati. L'obiettivo è riuscire a uscire.
E voi direte: beh, e quindi? Se è solo online, chi se ne frega, giusto?
Sbagliato. Perché la realtà supera l'immaginazione e sono già diversi anni che in quasi ogni città è presente almeno una escape room. Alcune sono tematiche, altre libere. Il denominatore comune è che si può giocare in un massimo di sei persone, si ha un'ora di tempo e, in genere, non serve alcuna conoscenza di base. Questo per permettere a chiunque di giocare.
Provate a immaginare: un gruppo di amici si annoia e decide di provare una di queste famose escape room. Magari con un tema particolare, tipo una zombie room, o una stanza a tema prigione, decidete voi. Questi tipi arrivano e il gestore del gioco sembra una persona normale. Scherza con loro, gli spiega come funziona il gioco e poi li rinchiude.
E poi?
Beh, sta a voi deciderlo. Sappiate che solitamente nella stanza c'è un televisore attraverso il quale il gestore, camuffato alla stregua di "Saw - L'Enigmista", vi può parlare. C'è anche un tubo, attraverso il quale può "sputare" sul pavimento degli aiuti, in genere bigliettini chiusi in palline di plastica. Ma se non mandasse aiuti? Se mandasse una fiala con dentro un virus, e lui volesse solo verificarne gli effetti per un suo macabro studio? Se la luce si spegnesse all'improvviso e uno di loro sparisse, e poi dal tubo cadesse giù un dito mozzato? L'unico limite è la fantasia... e il vostro livello di sadismo.


3) UN'ISOLA SEMIDESERTA


Mi sembra già di sentire il coro dei commenti.
"Ma questa è banale!"
"Dai, è sfruttatissima!"
"Io mi rifiuto di leggere oltre."
Ma no, no, state buoni, non andatevene così in fretta. Datemi una chance.
Immaginatevi un'isola di piccole dimensioni. Diciamo dieci chilometri di lunghezza per sei o sette di ampiezza. Un posto incontaminato, ma servito da un porto, oppure un piccolo eliporto, ma nessun hotel. I turisti, infatti, sono solo scrittori che si recano lì per ritrovare la quiete e non venire disturbati mentre creano. Gli alloggi sono piccole palafitte, la cui porta resta sempre chiusa dall'esterno, in modo che nessuno possa uscirne e rischiare di distrarsi. All'orario dei pasti, qualcuno porta un vassoio davanti alla porta, la apre perché lo scrittore possa raccoglierlo e la richiude subito. Potrebbe sembrare una prigionia, ma loro lo hanno scelto apposta.
Magari all'inizio si trovano anche bene: i romanzi procedono, il clima di mare è salutare. Ma potrebbe succedere di tutto, e a seconda dell'evento il racconto o romanzo si può trasformare in un horror, un thriller, o in un drammatico, o anche in pura fantascienza. Vi basta porvi la domanda principe di tutta la scrittura: e se?
E se un giorno le porte rimanessero chiuse, ora dopo ora, e nessuno riuscisse più a uscire?
E se uno degli scrittori udisse un urlo dalla palafitta accanto, e si scoprisse che all'interno c'è il cadavere di uno dei suoi colleghi, ma la porta fosse chiusa dall'interno?
E se il nostro protagonista si innamorasse della bella ragazza che gli porta il cibo ogni giorno?
E se nel mondo scoppiasse un’epidemia su scala globale e questo isolotto fosse l'unico rimasto incontaminato, ma anche con scarse provviste?


Bene, spero di avervi solleticato la fantasia con queste ambientazioni. Di sicuro, la mia si sta fregando le mani, anche se non so se riuscirò a scrivere uno dei racconti di cui vi ho parlato, oggi. Come sapete, sto attraversando un periodo di blocco e non so quando passerà, né come. Ma passerà. A costo di finire anch'io su un'isola deserta, rinchiusa come un criceto in gabbia, a cercare di controllare la claustrofobia mentre la macchina da scrivere mi fissa, muta, dal tavolino sotto la finestra a sbarre.


- Francesca e Alice

martedì 17 luglio 2018

Nel salotto dello scrittore: scrittori americani (parte 3)

Eccoci giunti a una nuova puntata - la penultima - della rubrica "Nel salotto dello scrittore", dedicata agli Autori e ai luoghi in cui hanno vissuto. Ma non si tratta solo di questo: una casa, specialmente per uno scrittore, non è solo una casa. E' un luogo di strani sogni, di stanze che si moltiplicano all'infinito in cui personaggi, storie e idee si riflettono come in un palazzo di specchi, mostrando ora un sorriso, ora una lacrima, e subito dopo un sogghigno diabolico.
Venite, prendete la mia mano. Addentriamoci insieme nei macabri labirinti della fantasia...


Howard Phillips Lovecraft





Immortale scrittore, poeta, critico letterario e saggista statunitense, H. P. Lovecraft è forse il più importante precursore della fantascienza angloamericana. Non solo: a lui si deve anche l'invenzione del "Necronomicon", il famosissimo pseudolibro di magia nera che molti, ancora oggi, credono reale. In realtà, Lovecraft lo creò di suo pugno, sfruttandolo come espediente letterario per dare verosimiglianza ai propri racconti: egli, infatti, lo citò nelle sue opere come se fosse realmente esistito, dando vita a una vera e propria leggenda secondo la quale il "Necronomicon" (in arabo: Al Azif) sarebbe stato scritto dall'arabo pazzo Abdul Alhazred, vissuto nello Yemen nell'VIII secolo e morto a Damasco in circostanze misteriose. La finzione resse a lungo, tanto che parecchi Autori cominciarono a citare il "Necronomicon" nei loro racconti, contribuendo a legittimare la sua esistenza; alla fine, Lovecraft fu costretto a confessare la verità, poiché troppi suoi lettori lo avevano preso sul serio.
Riconosciuto oggi come uno tra i maggiori scrittori di letteratura horror insieme a Edgar Allan Poe, Lovecraft non godette di particolare successo in vita: le sue opere ("Dagon", "Il colore venuto dallo spazio", "Il richiamo di Cthulhu", "L'orrore di Dunwich", "Il caso di Charles Dexter Ward", "Le montagne della follia" e "La maschera di Innsmouth", per citarne alcune), una sorta di contaminazione straniante fra horror, fantascienza e dark fantasy con sfumature gotiche, weird ed esoteriche, non vennero apprezzate dai critici se non dopo la morte dell'Autore, avvenuta nel 1937 a causa di un cancro all'intestino tenue, all'età di soli 46 anni.
Dopo la morte, il corpo di Lovecraft venne sepolto assieme a quello dei genitori nel monumento funebre di famiglia dei Phillips, nel cimitero di Swan Point a Providence; nel 1977, però, un gruppo di fan particolarmente devoti guidati da Dirk Mosig raccolse i fondi per far realizzare una nuova lapide commemorativa, sulla quale vennero incisi il nome dello scrittore, le date di nascita e di morte e la frase "I AM PROVIDENCE" (io sono Providence), tratta da una delle sue lettere personali.
A Providence, lo scrittore si stabilì in parecchie case, molte delle quali gli ispirarono i suoi racconti dell'orrore. Dal 1904 al 1924 visse al 598 di Angell Street in una casa modesta e spoglia, piuttosto macabra, che egli sfruttò per il suo racconto "La casa misteriosa lassù nella nebbia". Un altro racconto, "La casa stregata", gli venne ispirato dal 135 di Benefit Street, luogo di reali sventure accadute ai vari proprietari della magione e dimora, secondo le voci, di un'entità vampirica sepolta sotto la casa.
Al 140 di Prospect Street si trova la "casa Ward", che diede l'idea a Lovecraft per il suo romanzo "Il caso di Charles Dexter Ward", un apprendista negromante, mentre al numero 65 della stessa via si trova l'ultima residenza dello scrittore: Samuel B. Mumford House. Grazie a questa casa Lovecraft diede vita alle descrizioni nel racconto "L'abitatore del buio", con il suo famoso protagonista Robert Blake (l'alter-ego dell'autore di "Psycho", amico di Lovecraft, Robert Bloch).

Curiosità: a oggi, la casa stregata al 135 di Benefit Street, alla quale Lovecraft si riferì nel suo celebre racconto "La casa sfuggita", è in vendita per poco più di 600.000 euro. Un piccolo prezzo, tutto sommato, per uno dei luoghi più emblematici di Providence e della letteratura... specialmente perché, compreso nel prezzo, c'è anche il vampiro che ne infesta le fondamenta.


Jack Kerouac 



Jack Kerouac, padre del movimento della Beat Generation, è considerato uno dei maggiori scrittori della letteratura americana del XX secolo: dalla sua penna sono usciti non solo il celeberrimo "Sulla strada", che racconta le vicende della beat generation e il viaggio interminabile da est a ovest lungo la Route 66, ma anche "I vagabondi del Dharma", "Big Sur", "Tristessa", "Il dottor Sax", "Mexico city blues" e tante altre opere immortali. I suoi scritti riflettono la volontà di liberarsi dalle soffocanti convenzioni sociali e dare un senso liberatorio alla propria esistenza; un approfondimento della coscienza cercato nelle droghe (come la benzedrina e la marijuana), nella caffeina, nella religione, cattolica e buddhista e che invece sfociò nell'alcolismo. Kerouac, nei suoi frenetici viaggi, sembrava essere alla ricerca di un luogo che gli desse stabilità interiore e riempisse quella deprimente sensazione di vuoto, simboleggiata dalla morte del fratello maggiore, Gerard, all'età di quattro anni e poi del padre, Leo, venti anni dopo, oltre che di una risposta al mistero della vita: affrontare l'enigmaticità dell'esistenza era considerata dallo scrittore, infatti, la sola attività importante a questo mondo.
A causa dei suoi eccessi con l'alcol, che lo portavano anche a brutali risse da bar, egli visse in solitudine i suoi ultimi anni in questa tranquilla casa immersa nel verde a St. Petersburg, Winter Park, in Florida. Il 20 ottobre 1969 si svegliò alle quattro del mattino in seguito all'ennesima sbornia. Verso mezzogiorno, mentre stava bevendo un liquore di malto e scarabocchiando appunti per un libro sul padre, accusò forti dolori addominali e vomitò sangue: il fegato aveva ceduto per la cirrosi epatica. Portato in ospedale, venne sottoposto a 26 trasfusioni e a un'operazione chirurgica nel tentativo di contenere l'emorragia dovuta alla rottura spontanea di varici esofagee. Alle cinque e mezzo del mattino del 21 ottobre, senza mai aver ripreso conoscenza dopo l'intervento chirurgico, Jack Kerouac morì a quarantasette anni.

Curiosità: quasi nulla è rimasto nella casa che appartenesse a Jack. Alcuni dei suoi effetti, come i suoi scritti e la sua macchina da scrivere, sono stati recentemente spostati nell'Università del Massachusetts. Ma qualcosa rimane, ed è lo spirito. Nessuno ha più vissuto in questa casetta dagli anni '70. Nulla è stato rimodernato. Visitarla significa prendersi un momento per sedersi fuori, la notte, insieme a Jack, a guardare le stelle e chiudere gli occhi come lui amava fare cinquant'anni fa, godendosi il fruscio del vento tra i pini. In verità, oggi un solo pino è sopravvissuto, ma questo contribuisce a creare il senso di abbandono e solitudine peculiari di questo Autore. Basti ricordare che, nel '69, Jack disse a un reporter del Times che si recò da lui: "Sono così felice di vederla. Mi sento tanto solo, qui."


Jack London




Si tratta di un ranch a Glen Ellen, California. Nel 1911, London, autore di alcuni dei più famosi libri della letteratura, quali "Zanna bianca", "Il richiamo della foresta", "La peste scarlatta", "Martin Eden" e "Il vagabondo delle stelle", comprò 1400 acri di terra vicino a Sonoma e vi costruì, oltre agli edifici residenziali, anche una fattoria sperimentale: piantò piante di cactus senza spine per foraggiare il bestiame e costruì perfino una porcilaia così gargantuesca che egli stesso la chiamò "pig palace".
A oggi, il parco comprende le rovine della Wolf House, che lo scrittore aveva costruito per sé e la moglie, il cottage dove London si rifugiava a scrivere, la sua tomba e la casa che la moglie costruì insieme alla sorellastra di London dopo la sua morte, la cosiddetta House of Happy Walls ("casa dei muri felici"), oggi adibita a museo. Qui è possibile venire a contatto con molti oggetti ed effetti personali dello scrittore, quali manoscritti e fotografie originali; alcuni reperti li raccolse lui stesso durante i suoi viaggi in giro per il mondo.
Molto dello spirito dell'Autore è rimasto tra questi muri: la Wolf House, ad esempio, deve il nome al soprannome con cui London veniva chiamato dall'amico George Sterling - "The Wolf", appunto, il lupo. Purtroppo, lui e la signora London non poterono mai abitarvi, poiché nell'agosto 1913, durante una rovente notte estiva, l'edificio prese fuoco per autocombustione. La coppia si accorse dell'incendio, ma non poté fare nulla per estinguerlo. London avrebbe voluto ricostruirla, ma morì prima di riuscire a portare a termine il progetto.
Nel 1916, infatti, l'Autore si spense dopo alcuni giorni di coma, all'età di soli 40 anni, a causa di un'uremia per insufficienza renale cronica.

Curiosità: è possibile visitare l'intera dimora, comprese le rovine della Wolf House. Le mura di pietra ci sono ancora, non lontane dalla tomba di London. Il suo corpo, difatti, venne cremato e le sue ceneri disposte sotto la grande roccia che si trova nella tenuta, esaudendo il suo desiderio che le sue ceneri fossero sparse vicino al luogo di sepoltura di David e Lillie Greenlaw, i figli di una coppia di immigrati irlandesi e scozzesi, morti nel 1876 e nel 1877 giovanissimi per cause sconosciute. Quando la moglie di London morì nel 1955, anche le sue ceneri furono collocate sotto la stessa roccia, vicino a quelle del marito.


John Steinbeck



Steinbeck nacque e crebbe con le sue tre sorelle in una casa vittoriana in stile Queen Anne a Salinas, California. Nonostante suo padre fosse un ricco tesoriere della contea di Monterey, oltre al direttore di uno stabilimento per la produzione di farina, e la madre fosse un'insegnante, il piccolo Steinbeck non fu mai un grande amante degli studi, tanto che decise di diventare scrittore a 14 anni e non prese nemmeno la laurea, contrariamente ai pareri dei suoi genitori, preferendo lavorare e stare a contatto con i braccianti. Proprio dalle loro speranze e condizioni di vita, trasse l'ispirazione per scrivere "La valle dell'Eden", "Furore", "Uomini e topi" e le sue altre celebri opere, che gli valsero il prestigioso Premio Pulitzer e il Nobel per la Letteratura (1962).
Le opere di Steinbeck odorano di polvere, fatica, sconfitta, ma anche di viaggio e fuga verso l'Ovest: in "Furore", il suo capolavoro, attraverso le vicende drammatiche e le lotte di Tom Joad e della sua famiglia, vengono raccontate l’America della Grande Depressione, la nascita dei sindacati e le disperate migrazioni di contadini verso ovest degli anni trenta, disposti a lavorare per una miseria e costretti ad abbandonare le loro amate case nel cuore e nella pancia degli Stati Uniti, in Oklahoma e in Arkansas. Destinazione: California, favoleggiata dalle masse di disperati che avevano perso tutto come una terra mitica e generosa, salvo poi ritrovarsi in un incubo di emarginazione, razzismo, carestia e sfruttamento.

Curiosità: oltre a visitare la casa, è possibile mangiare in un ristorante che oggi si trova in quello che, una volta, era il salotto dello scrittore. Il servizio è gestito da un'organizzazione no profit che serve pranzi genuini e nutrienti.


Pablo Neruda




Poeta e diplomatico cileno, Pablo Neruda è famoso per aver vinto il premio Nobel per letteratura nel 1971. Ma egli era molto più di un poeta talentuoso: il suo era un animo puro, fanciullesco, stravagante, che amava tutto ciò che era insolito. Avrebbe usato solo penne verdi per scrivere le sue poesie, e il nome che porta lo ha scelto egli stesso: i suoi genitori lo avevano chiamato Ricardo Eliezer Neftali Reyes y Basoalto, ma lui si ribattezzò Pablo Neruda già da adolescente.
Le sue case, tutte e tre cilene, sono piene di strane collezioni di conchiglie, coleotteri, vetro colorato, e ricordi di vita sul mare, le tre spettacolari dimore di Neruda – Isla Negra, La Sebastiana e La Chascona – sono veramente eccentriche, originali come i suoi versi.
Non solo le opere di Neruda hanno testimoniato le lotte politiche-storico-sociali della sinistra nell'America del sud; egli era anche un formidabile scrittore di poesie d'amore. Le "Venti Poesie d'amore" e la "Canzone di Despair" hanno venduto oltre un  milione copie in seguito alla prima pubblicazione. La casa sulle colline di Valparaíso - La Sebastiana - è quella in cui Neruda visse e scrisse di più, godendo di una meravigliosa vista della città e del porto. A oggi, la Fondazione Neruda permette ai visitatori di immergersi nelle stravaganze della casa, che è inclusa del "Neruda Tour".

Curiosità: le suppellettili presenti nella villa sono davvero singolari, simboli e ricordi di vita di mare. Davanti alla finestra a baywindow è possibile vedere, ad esempio, un lampadario con all'interno un uccello tropicale sul punto di spiccare il volo. E' anche presente una stanza denominata “bar del capitano”, dipinto di un rosa acceso, che, a quanto pare, solo Neruda poteva usare.



Finita. La tappa americana del nostro viaggio è terminata, e con essa richiude i suoi petali anche un pezzettino del mio cuore. Erano tanti gli scrittori che avremmo voluto trattare, ma per forza di cose era necessario operare una selezione. Una di quelle brutali, ma anche indispensabili. Oh, a proposito: mentre sceglievo di quali Autori parlare, mi sono imbattuta in una notizia brutta. Ma brutta brutta, che mi ha chiuso lo stomaco. Avete presente Ray Bradbury? Uno dei più grandi scrittori di fantascienza della storia della letteratura, autore di "Cronache marziane", "L'uomo illustrato", "Fahrenheit 451", "Il gioco dei pianeti", "Paese d'ottobre", e potrei continuare fino a stasera? Ebbene, io non vedevo l'ora di parlare della sua casa in California. Mi ero proprio pregustata il momento, lasciandomelo per ultimo, come si fa con il centro dei pasticcini. Purtroppo, però, ho scoperto che la sua dimora è stata recentemente rasa al suolo da un architetto per costruirci la propria "Kuzcotopia", diciamo così, oh yeah.
Sorte simile è capitata ad Asimov, la cui casa è oggetto di una petizione che trovate su Change.org affinché venga preservata e trasformata in una casa-museo o comunque un punto storico riconosciuto, cosa che attualmente non è. A quanto pare, non basta essere il padre della robotica in campo letterario, perché a qualcuno freghi qualcosa del posto in cui vivevi. Ma, ehi, la vita va così.
Per oggi chiudo qui e vi do appuntamento alla prossima settimana, in cui parleremo delle case degli scrittori più esotici e viaggeremo insieme dall'Africa, alla Nuova Zelanda, a...

- Alice

martedì 10 luglio 2018

Nel salotto dello scrittore: scrittori americani (parte 2)

Nella puntata di oggi della rubrica "Nel salotto dello scrittore", come promesso, visiteremo alcune delle dimore dei più grandi scrittori americani nativi o vissuti in Georgia, più altri "intrusi" che vedrete man mano che proseguirete nella lettura. Dalla Georgia al Maine, al Connecticut, a Philadelphia, scorrazzeremo in lungo e in largo su tutto il territorio americano, alla ricerca dei segreti, delle curiosità e... dei gatti di Autori di fama mondiale.
Pronti? 
Via!


Margaret Mitchell



Atlanta, Georgia: fu qui, al tavolo del salotto da pranzo che dà su Crescent Avenue, che la scrittrice, obbligata all'immobilità da una grave lesione alla caviglia, lavorò per dieci anni al suo romanzo epico "Via col vento", che rievoca la guerra di Secessione dal punto di vista dei sudisti. Pochissime persone sapevano, all'epoca, che la Mitchell stava scrivendo un libro, poiché ella la considerava un'attività personale. Finalmente, nel 1936, un Editore accettò di pubblicare l'opera, forzando l'Autrice a terminarla in tempo per la data d'uscita: fu, probabilmente, il più grande successo nella storia letteraria degli Stati Uniti. Dal romanzo fu tratto nel '39 il film con la regia di Victor Fleming, al quale furono assegnati nel 1940 ben otto premi Oscar.

Curiosità: la scrittrice chiamò il suo appartamento "la discarica". Visitando la casa, è possibile sedersi sulle sedie a dondolo antiche rivolte verso Peachtree Road, dove la Mitchell e il marito solevano trascorrere momenti di quiete.


Flannery O' Connor



Questa fattoria andalusa si trova a Milledgeville, in Georgia, ed era la dimora dei genitori dell'Autrice. Fin da piccola, la O' Connor dimostrò subito le sue peculiarità, tanto da sembrare un'adulta nel corpo di una bambina: chiamava i suoi per nome, preferiva andare a messa con gli adulti; era molto precoce intellettualmente e non apprezzava la compagnia dei bambini, ritenendoli infantili. La madre, preoccupata che la bambina non avesse amici, le organizzava dei "playing-dates", una sorta di appuntamenti per giocare con altri bimbi della sua età, costringendola a passare del tempo con loro.
In realtà, la scrittrice avrebbe voluto trasferirsi al Nord, ma quando le venne diagnosticato il lupus (anche suo padre lo aveva) decise di rimanere definitivamente nella fattoria, dove visse fino alla sua morte, avvenuta a 39 anni nel 1951. La malattia le rese molto difficoltoso salire le scale, pertanto dormiva in sala da pranzo, dove scriveva. Durante la sua battaglia contro il lupus, la O' Connor, fervente cattolica, produsse 32 racconti, 2 romanzi e oltre 100 recensioni di libri per due giornali locali, più alcune prose d'occasione. Le sue due opere maggiormente conosciute sono "La saggezza nel sangue" (1952) e "Il cielo è dei violenti" (1960).

Curiosità: è ancora possibile vedere la sua macchina da scrivere personale. Anche le sue stampelle sono ancora lì. Nei 544 acri di terreno intorno alla casa vivono molti pavoni.


Mark Twain



Lo scrittore, il cui vero nome era Samuel Clemens, ha vissuto i suoi anni più felici in questa dimora a Hartfort, in Connecticut, insieme alla moglie e alle tre figlie. Qui scrisse praticamente tutte le sue grandi opere, comprese "Le avventure di Tom Sawyer", "Il principe e il povero" e "Le avventure di Huckleberry Finn". La casa ricorda uno dei traghetti che all'epoca attraversavano il fiume Mississippi e costò una tale somma a Twain che le sue finanze ne vennero prosciugate. La famiglia si trasferì nel Regno Unito nella speranza di sanare le finanze dissestate, ma la figlia maggiore morì poco dopo, proprio in questa casa, durante una visita negli Stati Uniti. Così i Twain non tornarono a vivere più in questa bellissima dimora. L'edificio fu venduto nel 1903 a Richard Bissel e poi cambiò svariati proprietari fino al 1929, quando un gruppo di appassionati dello scrittore fondarono la Mark Twain Memorial and Library Commission e acquistarono la casa per restaurarla e adibirla a museo, prestando particolare cura alla sala del biliardo, al salotto e alla biblioteca. Riuscirono perfino a recuperare un prezioso letto a intarsi che lo scrittore aveva acquistato a Venezia.
L'interno, arredato e pensato da Louis Comfort Tiffany, contiene più di 10.000 oggetti provenienti dall'era vittoriana.

Curiosità: proprio accanto alla scrivania di Twain è presente un lunghissimo tavolo da biliardo, il gioco preferito dello scrittore. Egli lo amava così tanto che a stento riusciva a staccarsene per scrivere le sue opere.


Ernest Hemingway




Uno degli scrittori americani più amati del Novecento, visse qui, a Key West, Florida, prima di scappare a Cuba con la sua terza moglie e sceglierla come luogo in cui continuare a dedicarsi alla scrittura. Fu un periodo molto prolifico, in cui egli scrisse alcuni dei suoi capolavori, tra cui “Fiesta. Il sole sorge ancora”, ambientato in Spagna nei giorni della corrida di San Firmino di Pamplona e “Addio alle armi”. Da Key West, Hemingway si avventurò anche alla volta di Cuba con la sua Pilar, ed è in quest’isola che è ambientato il suo “Il vecchio e il mare”, romanzo che gli valse il Pulitzer e il Premio Nobel.
La casa è la tipica abitazione in stile coloniale, con imposte colorate, intonaco chiaro e un terrazzo al piano di sopra. In giardino, all'entrata, vi è una fontana a forma di nave da guerra. E' possibile accedere allo studio dell'Autore solo camminando attraverso un ponticello che si estende dalla camera da letto al piano di sopra: qui è custodita la macchina da scrivere originale di Hemingway, la sua mitica Underwood. In giardino vi è anche una gigantesca piscina, la cui storia è peculiare: non solo fu la prima costruita a Key West, ma fu anche talmente costosa che l'Autore vi spese quello che lui chiamò, simbolicamente ma anche materialmente, il suo "ultimo penny", che oggi è possibile vedere incastonato in una mattonella del pavimento.

Curiosità: Hemingway amava spassionatamente i gatti e pensava gli portassero fortuna. Ancora oggi nella sua dimora vivono circa 40 gatti, discendenti dei mici domestici originali dello scrittore. E non solo nel giardino. I mici si rotolano sul letto di Hemingway, dormono a pancia all'aria sui pavimenti e bighellonano dappertutto. Fuori vi è anche un piccolo cimitero dedicato solo a loro.


Edgar Allan Poe




Conosciuto soprattutto per i suoi poemi e brevi romanzi, Edgar Allan Poe, nato a Boston nel 1809, merita più elogi di qualunque altro scrittore per la trasformazione della breve storia da aneddoto in arte. Egli ha virtualmente creato la "detective story" e perfezionato il thriller psicologico. Inoltre ha prodotto alcune delle critiche letterarie più influenti del suo tempo e ha avuto un'influenza sulla letteratura di tutto il mondo.
Poe, amico di Charles Dickens, si trasferì in questa umile casa di mattoni rossi nella periferia di Philadelphia nel 1843 insieme alla sua adorata moglie, Virginia, e a sua suocera, Maria Clemm, per circa un anno prima di trasferirsi a New York. In questo periodo scrisse "Il gatto nero", nel quale descrive un sinistro seminterrato simile a quello presente in questa casa. Scrisse qui anche tre dei suoi capolavori: "Il cuore rivelatore", "La caduta della casa degli Usher" e "Lo scarabeo d’oro".
Purtroppo, l'Autore dovette affrontare devastanti lutti: la madre biologica morì quando lui aveva solo due anni, quella adottiva quando ne compì venti anni, la giovanissima moglie (cugina di primo grado) per una polmonite, il fratello per motivi legati all’alcolismo. Eventi che lo lacerarono e che in qualche modo influenzarono la sua sinistra produzione letteraria.
Nel periodo in cui  visse in questa casa, Poe divenne redattore del Graham’s Magazine, che nell’aprile del 1841 pubblicherà "Murders in the Rue Morgue", il primo racconto poliziesco della storia della letteratura. Nel giro di poco, il giornale aumentò gli abbonati da cinquemila a trentasettemila. Di lì a poco, il suo "Lo scarabeo d'oro" gli valse la vincita di un premio da ben cento dollari del Dollar Newspaper. Il successo fu tale che si rese necessario mandare in ristampa il giornale, e finalmente Poe ricevette attenzione a livello nazionale.

Curiosità: per la magione sono disseminati piccoli indizi delle opere di Poe. Fuori, un corvo nero si libra in volo da un piedistallo; nel seminterrato, invece, c'è il celebre gatto nero, con la schiena arcuata e le fauci digrignate in un soffio eterno.


Stephen King


Forse, non tutti sanno che Stephen Edwin King iniziò a scrivere da piccolissimo a causa di una malattia. Iscritto in prima elementare, infatti, egli passò i primi nove mesi malato: colpito prima dal morbillo, poi da problemi a gola e orecchie, fu costretto a ritirarsi dalla scuola per volere di sua madre e a passare diversi mesi in casa. È durante questo periodo che King iniziò a scrivere, copiando interamente fumetti ai quali aggiungeva descrizioni personali. Il suo primo racconto, completamente inventato da lui, trattava di quattro animali magici a bordo di una vecchia macchina, guidati da un enorme coniglio bianco, con il compito di aiutare i bambini.
Durante questo periodo iniziò anche a leggere e vedere tutto ciò che gli interessava: dapprima scoprì i film sugli extraterrestri, poi, a dodici anni, rinvenne nella soffitta della zia i libri del padre, appassionato di Edgar Allan Poe, H.P. Lovecraft e Richard Matheson, nonché scrittore.
King non fece successo facilmente: collezionò per anni centinaia di lettere di rifiuto da giornali ed Editori, tanto da arrivare ad appenderle con orgoglio in camera sua. Si ritrovò, nel 1973, a  lavorare prima in una lavanderia e poi come benzinaio; in seguito, a insegnare in un liceo di provincia e scrivere racconti per chiunque fosse disposto a pagarglieli qualche dollaro. Viveva con la moglie Tabitha in una roulotte, cercando invano un Editore per il suo primo romanzo, "Carrie", che aveva scritto su una macchina da scrivere che si era fatto prestare e che, in mancanza d'altro, poggiava sulle gambe. Dopo svariati tentativi a vuoto, e dato che nessuno sembrava interessato al manoscritto, King lo buttò addirittura nel bidone della spazzatura. Se Tabitha non l'avesse recuperato e salvato dalla distruzione, forse la vita di Stephen king sarebbe stata molto diversa; nel giro di poco un piccolo Editore, la Doubleday, acquistò i diritti di "Carrie" per 2500 dollari. Il libro non ebbe molto successo in edizione rilegata, ma vendette oltre un milione di copie in quella economica, consacrando King e permettendogli di scrivere a tempo pieno.
Oggi, King vive con la moglie e i tre figli a Bangor, nel Maine, in un'abitazione eccentrica e "creepy" in stile gotico, circondata da una recinzione in ferro battuto decorata con pipistrelli, creature rettili a tre teste e ragni. Al centro del cancello vi è un monogramma che porta incisa la lettera "K". Non è improbabile, data la vicinanza alla strada, incontrare il celebre scrittore di horror (e non solo).

Curiosità: in occasione dell'uscita del remake di "IT" nelle sale americane, a fine 2017, a una delle finestre è apparso un palloncino rosso.


Ed eccoci giunti al termine di questa nuova tranche di scrittori americani. La prossima volta proseguiremo il nostro tour, spostandoci nel Rhode Island a casa di H. P. Lovecraft, passando per la California e... e...
Beh, non posso dirvi di più. Per ora, spero che il viaggio oltreoceano vi stia appassionando quanto appassiona me. Alla prossima.


- Alice