Qualche giorno fa un caro amico e collega scrittore, Carmelo Stelitano, autore di diverse raccolte di poesie e vincitore di molti concorsi letterari di poesia, mi ha chiesto di redigere l'intera raccolta e scrivere la prefazione per la sua nuova silloge: "Una porta nel borgo".
Panico. Emozione.
Mi ci sono messa anima e corpo, ma non vi dirò di più, perché tutto è scritto qui sotto, nella prefazione integrale che vi riporto. Spero che la apprezziate. Spero anche che la apprezzeranno i lettori del libro, la cui uscita è prevista in aprile e del quale curerò la presentazione.
Spero.
Marguerite
Yourcenar
E’ da qui
che inizia il viaggio.
Da una
frase trovata per caso, rovistando tra libri usati simili a cumuli di macerie.
E’ a questo che la guerra dell’ignoranza ha ridotto il mondo, un mondo un tempo
ubertoso che oggi declassa la cultura alla stregua di polvere da nascondere
sotto il tappeto.
Capitali
di questi regni della vergogna sono proprio le biblioteche che la Yourcenar
tanto ammirava, oggi relegate in strade secondarie, lontane dagli occhi di una
gioventù che disprezza tutto ciò che non è immediato, ciò che non si può
cliccare o tweettare.
Se
ripenso alla mia adolescenza, mi è impossibile sradicarla dal fertile terreno
che la biblioteca ha rappresentato per me: mi riferisco a quella di Sarzana, la
città dove mi sono diplomata. Era il mio rifugio. Non avevo niente al di là
dello studio, capite? Né amici – non all’inizio, almeno – né un’esistenza
felice. Studiare era l’unica cosa che mi facesse sentire viva. La biblioteca
era l’unico luogo in cui potevo rilassarmi, dove “mettere in pigiama la mente”,
per dirla alla Stephen Littleword.
E’ per
questo che, quando Carmelo mi ha messo in mano un fascio di fogli chiedendomi
di scrivere la prefazione di questa raccolta di poesie, ho accettato. Perché in
quel manoscritto ho ritrovato tutto ciò che gli anni mi avevano fatto perdere.
Perché ci sono libri più caldi e confortevoli di qualunque pigiama.
La Alice
che si è seduta quel pomeriggio alla scrivania con una tazza di tè in una mano
e i fogli di Carmelo nell’altra non è la stessa che scrive oggi. E’ questa la
magia dei buoni libri: mentre li leggi cambiano continuamente, ora stupendoti,
ora facendoti arrabbiare, ora rallegrandoti, e alla fine ti rendi conto che
quella che è cambiata davvero sei proprio tu.
Mano a
mano che leggevo mi rendevo conto che non era solo la voce di Carmelo a
parlarmi attraverso le pagine, ma anche la mia. La Alice del liceo gridava
molto, sorrideva poco, ma non tremava mai… ed era lei a parlarmi, forte e
chiaro attraverso gli anni: Alice e Carmelo, due ragazzi separati da mezzo
secolo di storia, entrambi innamorati di una biblioteca, delle aule silenziose,
del profumo dolce dell’inchiostro. E mi sono resa conto, con stupore, che
nonostante la biblioteca di cui parlava Carmelo nel manoscritto fosse quella
del mio paese (abito a Santo Stefano dai tempi della terza media), io non c’ero
mai stata. Dovevo rimediare.
Così,
sono partita. Un filo di rossetto, la giacca sulle spalle e via, in macchina verso
il borgo. Il manoscritto di “Una porta nel borgo” sobbalzava dolcemente sul
sedile accanto a me. E’ stato nel parcheggio che ho letto le ultime pagine,
quelle in cui Carmelo ha diligentemente riportato la storia della nostra
chiesa. Leggendo delle confraternite cadute in rovina per aver donato ogni
risparmio per la costruzione della chiesa mi sono commossa, ho sperato e gioito
quando l’ultimo mattone si è seccato al sole di trecento anni fa, scrivendo la
parola fine a una serie di sacrifici protrattasi per decenni.
Lì, nel
parcheggio di Piazza Garibaldi, ho imparato cosa significa essere santostefanese,
ma ancora mi mancava un pezzo fondamentale del puzzle: vivere Santo
Stefano, dopo averne letto la storia.
Sono
partita dal titolo: “Una porta nel borgo”. Ho cercato quella porta, vagando per
quelli che affettuosamente Carmelo ricorda come borgo dritto e borgo storto,
sentendomi più simile alla vecchia Alice di quanto non mi capitasse da anni. Da
sempre la gente mi chiede se io sappia dov’è il Paese delle Meraviglie, ma solo
quel mattino ho sentito la risposta stretta fra le labbra.
Ogni
anfratto del borgo profumava di affumicato, di paioli di rame allineati al
sole, di lavanda secca. Più camminavo, più sentivo l’anima del paese penetrare
dentro di me, le poesie di Carmelo gridare dalle pagine che tenevo strette al
petto. E’ una sensazione che auguro a tutti: sentire voci che sussurrano,
vedere volti che sfumano all’alba come sogni notturni. Santo Stefano era
deserta, ma per me, Alice nel Paese delle Meraviglie, pulsava di una vita
medioevale, le donne con la cuffia bianca in testa, gli uomini in maniche di
camicia seduti a cassetta sui carri trainati dai muli. Quegli odori pungenti mi
hanno accompagnata fino al cuore del borgo, in quella che Carmelo chiama ancora
Piazza Castello; ed ecco, alla mia sinistra, apparire la porta.
Troverai dei gradini, mi
aveva detto lui. Scenderli mi ha dato una sensazione strana, come se dal quieto
silenzio del borgo piombassi nella realtà rombante della Cisa. Guardando le
macchine sfrecciare verso Aulla mi sono sentita fortunata: quei guidatori non
avevano che un metro d’aria per strombazzare la loro rabbia, a me è bastato
fare pochi passi per tornare dove tutto è pace, dolce e calmo come la carezza
di una madre.
E’ questo
l’effetto che vi farà leggere questo libro: tornerete a casa. Vi consiglio di
farlo come ho fatto io, con calma, bevendo un buon tè, magari facendo una
passeggiata su in paese. Forse mi imiterete e rimarrete un po’ qui, o forse no.
Forse vi accorgerete che la biblioteca è aperta, come me, e allora vi farete
coraggio ed entrerete… o, forse, no.
Non
esiste un modo giusto per leggere delle poesie. Ma se vi chiuderete la porta
della biblioteca alle spalle, se vi chinerete a sfiorare la copertina di un
libro o due, allora scoprirete che il punto di arrivo è a un soffio da quello
di partenza. Tutto sarà ciclico, ritmico e naturale come il battito del vostro
cuore.
A voi,
così come Carmelo ha fatto con me, lascio in dono la primavera di queste
pagine. Mai l’inverno dello spirito paventato da Marguerite Yourcenar è stato più
distante.
Alice Bassi
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